Leonardo: quello smeraldo per Gesù nell’Ultima Cena

Per la prima volta l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci conservata nel Cenacolo di S.Maria delle Grazie a Milano viene indagata da uno studio inedito che esplora la simbologia delle pietre preziose ravvisabili nell’opera. E’ un fronte inesplorato e anche poco conosciuto del dipinto. Se ne occupa una ricerca indipendente che esamina le pietre preziose e il relativo significato biblico, e che parte dalla moda alla corte di Ludovico Il Moro di indossare minerali sugli abiti a chiusura di mantelli e pellicce. “Approfondire lo studio di un dipinto destinato alla vita monastica significa indagare sui contenuti teologici, rintracciabili in tutti i dettagli voluti dal Maestro, comprese le pietre preziose”, spiega la professoressa Elisabetta Sangalli di Monza, libera docente che ha dedicato a questa analisi il nuovo volume ‘Leonardo e le dodici pietre del Paradiso’ (ed. GenialTutor.com, pagg. 230, euro 27). “Leonardo da Vinci – spiega ancora la studiosa – con grande probabilità dipinse le pietre del Cenacolo conferendo loro un’interpretazione personale, svincolandole dal semplice abito cortese, e associandole a ogni personaggio in base ai carismi propri di ciascuno”. L’artista quindi riportò nell’Ultima Cena “con chiara intenzione, solo otto delle 12 pietre bibliche”, preziosi che il popolo di Israele usava per confezionare la veste del sommo sacerdote. Tra questi lo smeraldo sulla veste di Gesù: è pietra, viene spiegato, “considerata portatrice di pace e simbolo di rinascita e che, sino all’età medioevale, venne relazionata alla possibilità di rigenerazione”; inoltre lo smeraldo che compare sulla veste del Cristo, discendente dalla tribù di Giuda, era invece associato dalla tradizione ebraica alla tribù di Levi, l’unica ad avere accesso al sacerdozio.
Sulla veste di San Giovanni c’è uno yahalom, un diamante “con chiaro rimando alla luminosa spiritualità dell’apostolo prediletto e al suo cuore puro”, mentre la pietra blu-azzurra sulla figura di Andrea “sembrerebbe rifarsi maggiormente alla tradizione medioevale, che associava all’apostolo lo zaffiro, il Primo fondamento della Città celeste descritta nel cap. 21 dell’Apocalisse”. Ogni interpretazione di questa iconografia inedita viene rimandata da Elisabetta Sangalli anche al confronto con copie coeve fedeli all’originale e a citazioni bibliografiche precise, mentre il bookshop del Louvre ha annunciato all’autore che il volume sarà inserito nel catalogo delle pubblicazioni di arte.

ansa

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