Ecco come Charamsa, dalla doppia vita, difendeva il celibato dei preti

Charamsa ha fatto solo danni alla causa dei sacerdoti sposati e dei loro diritti civili e religiosi (ndr)

Nella sua seguitissima conferenza stampa di sabato 3 ottobre a Roma, aveva puntato il dito contro il celibato imposto dalla Chiesa cattolica a chi come lui ha scelto l’ordinazione sacerdotale. “E’ una disciplina disumana” sono state le sue parole, “una sana vita sessuale è la cosa più bella e fantastica che l’umanità possiede”. Eppure, appena qualche anno prima monsignor Krzysztof Olaf Charamsa, il teologo polacco gay rimosso dal Vaticano dopo il sclamoroso outing, dimostrava di avere idee molto diverse al riguardo.

IL LIBRO IN DIFESA DEL CELIBATO

Bisogna rovistare negli archivi della casa editrice Elledici di Torino, legata al carisma di don Bosco, per scovare qualche pagina redatta nel 2011 da monsignor Charamsa in difesa della condizione indicata dalla Chiesa per gli ecclesiastici. Si tratta di un contributo che l’allora officiale della Congregazione per la dottrina della fede aveva scritto per la pubblicazione “Preti sposati? 30 domande scottanti sul celibato”, un libro dall’impronta apologetica nel quale diversi sacerdoti hanno prestato la loro penna per sostenere la bontà di questo percorso. A curare l’opera, il teologo svizzero don Arturo Cattaneo, docente alla Facoltà di Diritto canonico San Pio X di Venezia, mentre la prefazione porta la firma del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto per la Congregazione per il Clero, annoverato nella corrente più conservatrice all’interno del variegato panorama di porporati italiani.

L’ENCICLICA DI PAOLO VI

A monsignor Charamsa viene chiesto l’arduo compito di fornire una sintesi del pensiero di Paolo VI sul celibato dei preti, riferendosi all’enciclica scritta dal Pontefice nel 1967 dal titolo “Sacerdotalis caelibatus”, “che rimane – rileva il teologo polacco – senz’altro il principale insegnamento del Magistero sul tema”. Secondo Charamsa, “il Pontefice non si ferma davanti alle dolorose perplessità del momento” e che tale scelta “non si tratta certamente di un’imposizione dall’alto, cieca e sorda a obiezioni avanzate con crescente insistenza”.

LE RAGIONI TEOLOGICHE DEL CELIBATO

Da profondo conoscitore della materia, l’autore elenca “le ragioni teologiche della scelta celibataria operata dai ministri di Dio”. Si comincia con la “dimensione cristologica”. “E’ innanzitutto Cristo – scrive -, Pontefice sommo ed eterno Sacerdote, ad essere stato celibe”; dunque un “modello diretto e il supremo ideale”, perché “la verginità del Signore ha significato la sua totale dedizione al servizio di Dio e degli uomini”. “In questa luce – continua Charamsa – la scelta del celibato è sempre stata vista come segno di un amore senza riserve e stimolo di una carità aperta a tutti. La ragione più profonda del carisma del celibato è perciò senz’altro l’assimilazione o la configurazione alla carità e alla donazione vissute dal Redentore”.

“IL CELIBATO NON VA CONTRO LA NATURA UMANA”

C’è poi una “dimensione ecclesiologica” del celibato, dovuta al fatto che “il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell’amore col quale l’eterno Sacerdote ha amato la Chiesa”. Don Charamsa spiega che “il primo motivo del celibato non è funzionale, ossia la maggiore disponibilità e libertà, che pure esiste, per il ministero, ma è l’amore sponsale di Cristo per la Chiesa”. Il livello del suo intervento si eleva ancora di più quando dichiara che “la scelta del celibato anticipa in qualche modo la realtà del regno escatologico, nel quale non ci si sposa più”. Ma è sulla dimensione antropologica che il teologo polacco mette nero su bianco frasi oggi apertamente contraddette: “Le rinunce legate al celibato costituiscono una particolarissima offerta resa all’amore di Cristo”. E ancora: “Il celibato non va contro la natura umana, e non sopprime le esigenze fisiche, psicologiche e affettive”, anzi “eleva integralmente l’uomo e contribuisce alla sua maturazione e perfezione attraverso la pratica del dominio di sé, nonché la sapiente sublimazione della propria psiche”. Insomma, siamo ben lontani da quella “disciplina disumana” fortemente criticata poche settimane fa.

SENZA VITA SPIRITUALE NON C’E’ CELIBATO

Tra le righe, emerge la consapevolezza della difficoltà di una scelta del genere: per ‘sopportare’ la privazione della vita di coppia occorre “la formazione di una personalità equilibrata, forte e matura: una personalità degna di un uomo di Dio”. Inoltre, aggiunge, “il celibato non può essere disgiunto da un’ascesi particolare, propria del sacerdote e certamente superiore a quella richiesta agli altri fedeli. Vivere fedelmente la scelta celibataria richiede combattimento spirituale, umiltà e perseveranza nella fedeltà alla grazia. Solo un’autentica vita spirituale offre una solida base per poter perseverare in questa scelta”. Per quanto riguarda infine “i casi particolari di ammissione di ministri sacri coniugati, appartenenti alle Chiese o Comunità ecclesiali non cattoliche, che desiderano aderire alla Chiesa cattolica ed esercitare il ministero”, ebbene questi per don Charamsa “non potranno mai significare un rilassamento della legge vigente del celibato e non devono essere interpretati come un preludio alla sua abolizione”.

formiche.net

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