Polvere di cemento. Sarebbe questo il materiale depositato sugli abiti di Yara Gambirasio, diverso dalle composizioni del terreno di Chignolo d’Isola dove, il 26 febbraio, è stato ritrovato il corpo senza vita della ginnasta tredicenne di Brembate di Sopra. Inevitabile il riferimento al cantiere di Mapello, più volte al centro delle indagini e ripetutamente puntato dai “cani molecolari”. Ma può essere formulata un’altra ipotesi: Yara potrebbe essere entrata a contatto con la polvere di cemento in un altro ambiente.
Per esempio all’interno di un furgone che la stava trasportando, ormai da sequestrata, verso il suo terribile destino. Quello del furgone bianco è un fantasma che ha attraversato a più riprese l’enigma della sua scomparsa e uccisione. Degli innumerevoli avvistamenti uno solo viene giudicato credibile: quello da una donna di Ambivere. La sera del 26 novembre poco dopo le 19 la donna scende in via Papa Giovanni XXIII per depositare il sacchetto dell’immondizia. È stato allora che ha visto sfrecciare quella che le è apparsa come la parte posteriore di un automezzo bianco da cui ha sentito provenire un grido di donna, forse di ragazza. Una testimonianza scarna ma circostanziata che viene creduta.
Un altro particolare per la pista dei cantieri: un filamento di juta ritrovato sul retro dei leggins di Yara. Materiale simile a quello usato per i sacchi di cemento. È però al lavoro sui dna che si affida gran parte delle speranze per risalire al carnefice. Il profilo genetico sugli slip della bambina appartiene ragionevolmente all’assassino. Non coincide con il dna maschile rimasto (insieme ad uno femminile) su due dita di un guanto, mentre la traccia sul giubbino è stata esclusa. Il fatto che sia rimasta una sola impronta fa pensare che a uccidere Yara sia stato un unico carnefice, qualcuno che abita nella zona, è la convinzione. Lo stesso che viene cercato comparando il dna sull’indumento intimo con i 2.500 raccolti.
di G.Mor.
ilgiorno.it
20 Giugno 2011