Papa Francesco, Messa crismale: sacerdoti ministri di misericordia, ma non i preti sposati

La Messa crismale, celebrata stamani in San Pietro, è stata l’occasione per Papa Francesco per rimettere a fuoco la vocazione del sacerdozio e il suo esercizio a servizio della misericordia di Dio.

Delusione del movimento dei sacerdoti lavoratori sposati: “Noi possiamo essere, come preti sposati, servi della misericordia di Dio”. Ma Papa Francesco non mette mano alla riforma della Chiesa.

È iniziata alle 9.20 circa, con la processione dei concelebranti lungo la navata centrale della basilica di San Pietro, la Messa crismale durante la quale i sacerdoti rinnovano le promesse fatte al momento della loro ordinazione e vengono benedetti l’olio degli infermi, l’olio dei catecumeni e il crisma. I colori dominanti il bianco e l’oro. Papa Francesco ha chiuso la lunga processione, cui hanno partecipato i cardinali, i vescovi e i presbiteri (diocesani e religiosi) presenti a Roma, avanzando con passo sicuro. Il Coro della Cappella Sisina, diretto dal maestro Massimo Palombella, ha intonato l’inno del Giubileo, «Misericordes sicut Pater», mentre Papa Francesco si avviava all’Altare della Confessione, accompagnato dai concelebranti. Comincia così il triduo pasquale, in attesa della lavanda dei piedi di questo pomeriggio alle ore 17, quando il Papa si recherà nel «Cara» di Castelnuovo di Porto per lavare i piedi a migranti e rifugiati.

Gesù è «segno di contraddizione». «Con le sue parole e i suoi gesti, fa in modo che si riveli quello che ogni uomo e donna porta nel cuore», ha detto il Papa, nell’omelia. Dopo le parole di Gesù che ha citato Isaia – «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» – nella sinagoga di Nazareth «avrebbe ben potuto scoppiare un applauso», ha detto Francesco: «E poi avrebbero potuto piangere dolcemente, con intima gioia, come piangeva il popolo quando Neemia e il sacerdote Esdra leggevano il libro della Legge che avevano rinvenuto ricostruendo le mura». «Ma i Vangeli ci dicono che sorsero sentimenti opposti nei compaesani di Gesù», ha commentato Francesco: «Lo allontanarono e gli chiusero il cuore». All’inizio, infatti, «tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca», ma poi «una domanda insidiosa si fece largo: ‘Non è costui il figlio di Giuseppe, il falegname?». E infine: «Si riempirono di sdegno. Volevano buttarlo giù dalla rupe…». «Si adempiva così quello che il vecchio Simeone aveva profetizzato alla Madonna: sarà segno di contraddizione», ha spiegato il Papa.

Il demonio è il nemico dell’umanità. «Lì dove il Signore annuncia il vangelo della misericordia incondizionata del Padre nei confronti dei più poveri, dei più lontani e oppressi, proprio lì siamo chiamati a scegliere, a combattere la buona battaglia della fede», ha ricordato il Papa, sulla scorta di San Paolo. «La lotta del Signore non è contro gli uomini ma contro il demonio, nemico dell’umanità», ha proseguito nell’omelia della Messa crismale, con cui inizia il triduo pasquale: «Però il Signore passa in mezzo a coloro che cercano di fermarlo e prosegue il suo cammino». «Gesù non combatte per consolidare uno spazio di potere», ha ammonito Francesco: «Se rompe recinti e mette in discussione sicurezze è per aprire una breccia al torrente della misericordia che, con il Padre e lo Spirito, desidera riversare sulla terra. Una misericordia che procede di bene in meglio: annuncia e porta qualcosa di nuovo: risana, libera e proclama l’anno di grazia del Signore».

Uscire dai recinti. «Ci fa bene uscire dai nostri recinti», «rompere gli schemi ristretti», come ha fatto il buon Samaritano, che «praticò la misericordia»: «Si commosse, si avvicinò al ferito, bendò le sue ferite, lo portò alla locanda, si fermò quella notte e promise di tornare a pagare ciò che si sarebbe speso in più». Nell’omelia della Messa crismale il Papa si è soffermato sulla «dinamica della misericordia, che lega un piccolo gesto con un altro, e senza offendere nessuna fragilità, si estende un po’ di più nell’aiuto e nell’amore». «Ciascuno di noi, guardando la propria vita con lo sguardo buono di Dio, può fare un esercizio con la memoria e scoprire come il Signore ha usato misericordia con noi, come è stato molto più misericordioso di quanto credevamo, e così incoraggiarci a chiedergli che faccia un piccolo passo in più, che si mostri molto più misericordioso in futuro», il consiglio di Francesco, che ha citato le parole del salmo: «Mostraci, Signore, la tua misericordia». Secondo il Papa, «questo modo paradossale di pregare un Dio sempre più misericordioso aiuta a rompere quegli schemi ristretti nei quali tante volte incaselliamo la sovrabbondanza del suo cuore». «Ci fa bene uscire dai nostri recinti – ha proseguito – perché è proprio del cuore di Dio traboccare di misericordia, straripare, spargendo la sua tenerezza, in modo tale che sempre ne avanzi, poiché il Signore preferisce che si perda qualcosa piuttosto che manchi una goccia, preferisce che tanti semi se li mangino gli uccelli piuttosto che alla semina manchi un solo seme, dal momento che tutti hanno la capacità di portare frutto abbondante, il 30, il 60, e fino al cento per uno».

Incarnare la misericordia in mille modi. «Come sacerdoti, siamo testimoni e ministri della misericordia sempre più grande del nostro Padre: abbiamo il dolce e confortante compito di incarnarla, come fece Gesù, che passò beneficando e risanando, in mille modi, perché giunga a tutti». Così il Papa ha sintetizzato la vocazione dei sacerdoti, indissolubilmente legata alla misericordia, «una misericordia in cammino, una misericordia che ogni giorno cerca di fare un passo avanti, un piccolo passo in là, avanzando sulla terra di nessuno, dove regnavano l’indifferenza e la violenza». «Noi possiamo contribuire ad inculturarla – ha proseguito – affinché ogni persona la riceva nella propria personale esperienza di vita e così la possa comprendere e praticare – creativamente – nel modo di essere proprio del suo popolo e della sua famiglia». «Non dobbiamo aver paura di eccedere», ha esortato Francesco, parlando ai sacerdoti di «due ambiti nei quali il Signore eccede nella sua misericordia»: l’incontro e il perdono, che «ci fa vergognare e ci dà dignità». «Il primo ambito nel quale vediamo che Dio eccede in una misericordia sempre più grande, è quello dell’incontro», ha detto il Papa: «Egli si dà totalmente e in modo tale che, in ogni incontro, passa direttamente a celebrare una festa». L’esempio scelto è quello della parabola del Padre Misericordioso: «Rimaniamo sbalorditi di fronte a quell’uomo che corre, commosso, a gettarsi al collo di suo figlio; vedendo come lo abbraccia e lo bacia e si preoccupa di mettergli l’anello che lo fa sentire uguale, e i sandali propri di chi è figlio e non dipendente; e poi come mette tutti in movimento e ordina di organizzare una festa». «Nel contemplare sempre meravigliati questa sovrabbondanza di gioia del Padre, al quale il ritorno del figlio permette di esprimere liberamente il suo amore, senza resistenze né distanze, noi non dobbiamo avere paura di esagerare nel nostro ringraziamento», il commento di Francesco: «Il giusto atteggiamento possiamo prenderlo da quel povero lebbroso che, vedendosi risanato, lascia i suoi nove compagni che vanno a compiere ciò che ha ordinato Gesù e torna a inginocchiarsi ai piedi del Signore, glorificando e rendendo grazie e Dio a gran voce».

Dopo essermi confessato festeggio? «La misericordia restaura tutto e restituisce le persone alla loro dignità originaria». Ne è convinto il Papa. Per questo, ha spiegato durante l’omelia della Messa crismale, «il ringraziamento effusivo è la risposta giusta: bisogna entrare subito alla festa, indossare l’abito, togliersi i rancori del figlio maggiore, rallegrarsi e festeggiare… Perché solo così, partecipando pienamente a quel clima di celebrazione, si può poi pensare bene, si può chiedere perdono e vedere più chiaramente come poter riparare il male commesso». «Può farci bene domandarci: dopo essermi confessato, festeggio?», il consiglio di Francesco: «O passo rapidamente a un’altra cosa, come quando dopo essere andati dal medico, vediamo che le analisi non sono andate tanto male e le rimettiamo nella busta e passiamo a un’altra cosa». «E quando faccio l’elemosina – l’altra domanda – do tempo a chi la riceve di esprimere il suo ringraziamento, festeggio il suo sorriso e quelle benedizioni che ci danno i poveri, o proseguo in fretta con le mie cose dopo aver lasciato cadere la moneta?».

Non pavoneggiarsi. Dio «non solo perdona debiti incalcolabili, come al servo che lo supplica e poi si dimostrerà meschino con il suo compagno, ma ci fa passare direttamente dalla vergogna più vergognosa alla dignità più alta senza passaggi intermedi», ha detto ancora il Papa, soffermandosi durante l’omelia della Messa crismale sul secondo ambito «nel quale vediamo che Dio eccede in una misericordia sempre più grande, il perdono stesso». «Il Signore lascia che la peccatrice perdonata gli lavi familiarmente i piedi con le sue lacrime», ha ricordato Francesco: «Appena Simon Pietro gli confessa il suo peccato e gli chiede di allontanarsi, lui lo eleva alla dignità di pescatore di uomini». Noi, invece, «tendiamo a separare i due atteggiamenti», l’analisi del Papa: «Quando ci vergogniamo del peccato, ci nascondiamo e andiamo con la testa bassa, come Adamo ed Eva, e quando siamo elevati a qualche dignità cerchiamo di coprire i peccati e ci piace farci vedere, quasi pavoneggiarci». «La nostra risposta al perdono sovrabbondante del Signore dovrebbe consistere nel mantenerci sempre in quella sana tensione tra una dignitosa vergogna e una dignità che sa vergognarsi», la ricetta di Francesco: «Atteggiamento di chi per sé stesso cerca di umiliarsi e abbassarsi, ma è capace di accettare che il Signore lo innalzi per il bene della missione, senza compiacersene». Il «modello» che «può servirci quando ci confessiamo», è allora quello di Pietro, «che si lascia interrogare a lungo sul suo amore e, nello stesso tempo, rinnova la sua accettazione del ministero di pascere le pecore che il Signore gli affida». Serve, davanti al confessionale, una «dignità che sa vergognarsi», che «ci salva dal crederci di più o di meno di quello che siamo per grazia», partendo dalla consapevolezza che «è il popolo povero, affamato, prigioniero di guerra, senza futuro, residuale e scartato, che il Signore trasforma in popolo sacerdotale».

No a preti ciechi, privi della luce della fede. «Come sacerdoti, noi ci identifichiamo con quel popolo scartato, che il Signore salva, e ci ricordiamo che ci sono moltitudini innumerevoli di persone povere, ignoranti, prigioniere, che si trovano in quella situazione perché altri li opprimono». Nella parte finale dell’omelia della Messa crismale, celebrata nella basilica di San Pietro, il Papa ha insistito sulla dignità della vocazione sacerdotale. «Ognuno di noi sa – ha proseguito – in quale misura tante volte siamo ciechi, privi della bella luce della fede, non perché non abbiamo a portata di mano il Vangelo, ma per un eccesso di teologie complicate. Sentiamo che la nostra anima se ne va assetata di spiritualità, ma non per mancanza di Acqua Viva – che beviamo solo a sorsi –, ma per un eccesso di spiritualità ‘frizzanti’, di spiritualità ‘light’. Ci sentiamo anche prigionieri, non circondati, come tanti popoli, da invalicabili mura di pietra o da recinzioni di acciaio, ma da una mondanità virtuale che si apre e si chiude con un semplice click. Siamo oppressi, ma non da minacce e spintoni, come tanta povera gente, ma dal fascino di mille proposte di consumo che non possiamo scrollarci di dosso per camminare, liberi, sui sentieri che ci conducono all’amore dei nostri fratelli, al gregge del Signore, alle pecorelle che attendono la voce dei loro pastori». Gesù, invece, «viene a riscattarci, a farci uscire, per trasformarci da poveri e ciechi, da prigionieri e oppressi in ministri di misericordia e consolazione».

Fonte: Sir

 

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