L’antropologo del sacro

Ha 92 anni ed è considerato il paleoantropologo di matrice cattolica più importante al mondo. I suoi studi sull’homo religiosus e sul senso del sacro sin dalle origini dell’umanità, hanno fatto scuola. Per questo il Papa lo ha voluto nominare cardinale. In questa intervista il prete belga fa il punto sulle sue ricerche e la sua eredità.

Ries con Lorenzo Ornaghi in occasione della Laurea honoris causa conferitagli dalla Cattolica nel 2010

Ries con Lorenzo Ornaghi in occasione della Laurea honoris causa conferitagli dalla Cattolica nel 2010 (foto UFFICIO STAMPA JACA BOOK).

Quando si parla di storia e di antropologia delle religioni, il primo nome che viene in mente non può che essere quello di Julien Ries. Nominato cardinale da Benedetto XVI nel Concistoro del 18 febbraio scorso, Ries, 92enne sacerdote della diocesi belga di Namur, è stato professore ordinario di Storia delle religioni all’Università Cattolica di Lovanio dal 1968 al 1990, fondandovi nel 1975 il Centre d’Histoire des Religions, che, oltre a organizzare colloqui scientifici e seminari di studio, si è distinto negli anni per la pubblicazione della collana scientifica Homo religiosus.

Già membro del Segretariato romano per i non cristiani e componente del comitato di redazione del Dictionnaire des Religions, lo studioso belga ha recentemente donato all’Università Cattolica di Milano la sua ricchissima biblioteca, formata da prezioso materiale come i suoi manoscritti, gli appunti personali, quelli utilizzati per la preparazione dei corsi, la corrispondenza con i maggiori studiosi del settore. Circa 8 mila documenti che sono confluiti nell’Archivio Julien Ries per l’antropologia simbolica diretto dal professor Silvano Petrosino. Tentiamo, in questa intervista, di fare con lo studioso belga il punto sui suoi lunghi anni di studio.

Veduta di Stonehenge

Veduta di Stonehenge (foto K. DOHERTY/REUTERS).

 

Professore, l’homo religiosus, cioè la fondamentale esperienza del sacro da parte dell’uomo, è stata approfondita da Mircea Eliade e da lei stesso ripresa nei suoi studi. Può farci una sintesi del suo lavoro?

«Rudolf Otto e Nathan Söderblom hanno posto le fondamenta degli studi sul sacro, che poi hanno orientato anche il lavoro di Mircea Eliade. Partendo da questa solida base noi abbiamo fatto un importante percorso attraverso le religioni concentrandoci sull’espressione del sacro analizzato per mezzo della semantica storica. Questo lavoro ci ha portato alla scoperta dell’homo religiosus, della sua identità e della sua conformazione. I dieci volumi del Trattato di antropologia del sacro (pubblicati dalla Jaca Book tra il 1989 e il 2009 a cura dello stesso Julien Ries, ndr), hanno convalidato il nostro metodo e dimostrato che questo concetto è operativo e fondamentale per la ricerca nel campo delle scienze delle religioni. Nel corso di tutto questo cammino il metodo comparato tipologico di Eliade e il metodo comparato genetico di Georges Dumézil hanno dato un grosso contributo al successo del nostro lavoro. La descrizione complessiva del metodo utilizzato è esposto nei volumi V e VI dell’opera omnia. In sintesi, è lungo tutta la sua esperienza del sacro che l’homo religiosus diventa il protagonista della storia delle religioni nello spazio e nel tempo».

La sala delle Origini dell'umanità all'interno del Museo di storia naturale di New York

La sala delle Origini dell’umanità all’interno del Museo di storia naturale di New York
(foto S. STAPLETON/REUTERS).

 

Si può parlare allora della nascita di una nuova materia, l’antropologia religiosa, e di un nuovo approccio per la reciproca comprensione di uomini di fedi diverse?

«Eliade ha mostrato che la scienza delle religioni può condurre a un nuovo umanesimo. I volumi II, III e IV dell’opera omnia mettono in evidenza l’homo religiosus e la sua esperienza del sacro basandosi fondamentalmente su tre costanti: il simbolo, il mito e il rito. L’antropologia religiosa s’interessa all’uomo in quanto creatore e utilizzatore dell’universo simbolico del sacro e in quanto portatore di credenze religiose che orientano la sua vita e il suo comportamento. Questi tre volumi rappresentano un saggio di antropologia che possiamo chiamare “antropologia fondamentale”, perché su di essa si innestano le diverse antropologie religiose particolari: induista, buddhista, zoroastriana, ecc. Alla base di ciascuna di esse possiamo trovare l’homo religiosus e la sua esperienza del sacro fatta attraverso la mediazione del simbolo, del mito e del rito. Alla luce del libro di Teilhard de Chardin Le phénomène humain, poi, possiamo aggiungere che questa antropologia fondamentale è il risultato dell'”ominizzazione”, che è un vero e proprio salto nell’evoluzione. A partire da questa nuova antropologia nasce il cosiddetto homo symbolicus et sapiens, l’inizio di un mondo nuovo al cuore del quale si trova il pensiero e la coscienza. Il fenomeno umano inizia, in altre parole, con lo sgorgare del pensiero e della coscienza. La nostra antropologia religiosa fondamentale ci apre insomma a orizzonti completamente nuovi sull’uomo».

Cerimonia della lustrazione in un affresco romano alla Villa dei Misteri di Pompei

Cerimonia della lustrazione in un affresco romano alla Villa dei Misteri di Pompei
(foto L. ROMANO-MIN. BENI e ATTIVITÀ CULTURALI/SCALA, FIRENZE).

 

Cosa può dirci della posizione di Claude Lévi-Strauss, antropologo di fama ma pessimista sull’esito dell’incontro di uomini e fedi diverse?

«L’orizzonte di Lévi-Strauss è sintetizzato in quanto ha scritto nel suo libro Tristes tropiques. Basandosi sugli studi di circa ottocento miti raccolti presso le popolazioni dell’America senza una propria scrittura, Lévi-Strauss ha tracciato le linee di un’antropologia strutturale, attraverso cui cerca di capire il funzionamento dello spirito umano. Egli rifiuta però di cercare nei miti un senso che possa rivelare le aspirazioni dell’umanità. Per lui i miti non dicono nulla sull’ordine del mondo, nulla sulla natura del reale, nulla sull’origine dell’uomo, nulla sul suo destino. Lo studio dei miti permetterebbe soltanto di sciogliere, o meglio di capire, certi meccanismi operativi dello spirito umano. Il messaggio che il mito offre si limiterebbe così solo alla scoperta del funzionamento della corteccia cerebrale. Paul Ricoeur valuta una siffatta antropologia come “affascinante ma inquietante” perché sfocia di fatto in una visione completamente materialista della cultura. In più Lévi-Strauss ha scritto che lo spirito “con il quale lui stesso affronta i fatti religiosi suppone che si rifiuti da principio ogni loro specificità”. Siamo, insomma, alla presenza di un vero e proprio pessimismo, negatore dei grandi valori culturali e religiosi».

Rappresentazione di due divinità azteche nel manoscritto detto Codex Borbonicus,

Rappresentazione di due divinità azteche nel manoscritto detto Codex Borbonicus,
codice indigeno precolombiano del XV secolo conservato alla Biblioteca nazionale di Parigi
(foto WHITE IMAGES/SCALA, FIRENZE).

 

Quale contributo su questi temi può ancora dare invece Teilhard de Chardin?

«Teilhard de Chardin è stato un ricercatore di fama internazionale in paleontologia, paleoantropologia e preistoria. Allo stesso tempo fu un saggio e un filosofo, un uomo che ha avuto l’intuizione di un’evoluzione creatrice nell’ottica di una “cosmogenesi in movimento verso il punto Omega”. Nel fenomeno umano de Chardin ha visto il momento capitale dell’evoluzione e una prova dell’esistenza di Dio. L’evoluzione, in altri termini, è la crescita stessa del corpo di Cristo. Nello spazio di tempo che va dall’Incarnazione alla Parousìa egli vede un’era che rappresenta il completamento, l’ultimazione del mondo e della storia. Il suo libro Le phénomène humain mostra che l’ominizzazione è l’inaugurazione di un tempo nuovo, un altro mondo che nasce, un’epoca in cui la terra prende una pelle nuova e trova la sua anima. L’uomo è l’essere pensante che appartiene a un ordine superiore e nuovo, che ha un suo posto a parte nella struttura del mondo. Nell’evoluzione l’apparizione dell’uomo è quindi il superamento di una soglia. “L’apparizione del Pensiero ha rinnovato la faccia della terra”, ha scritto Teilhard. Henri de Lubac ha visto in questo gesuita un saggio, un profeta e un mistico. La riedizione della sua opera omnia è una fortuna insperata per la nostra generazione, che ha urgente bisogno di un rinnovamento spirituale e intellettuale: de Chardin è il “profeta” di cui la nostra civiltà ha oggi urgente bisogno».

 

Lei aveva costituito a Lovanio un Istituto per gli studi comparati sulla storia delle religioni. Perché ha ceduto allora il suo ricchissimo archivio personale all’Università Cattolica di Milano?

«All’Università cattolica di Louvain- la-Neuve abbiamo creato un Centro di storia delle religioni, che esiste tuttora come centro di ricerca indipendente dall’università e che pubblica la seconda serie della Collection homo religiosus. In questi anni una certa democratizzazione nella gestione di molte università sta causando una vera e propria destabilizzazione nel lavoro di ricerca scientifica, e questo è il caso del Belgio. La ricerca sulla storia delle religioni con un taglio internazionale, per come l’avevamo concepita e organizzata all’origine, non sarà più assicurato a Lovanio per l’avvenire. Ora grazie alla Jaca Book e all’Università Cattolica di Milano è stato creato nel capoluogo lombardo l’Archivio Julien Ries per l’antropologia simbolica, che sta continuando il programma originario con lo stesso metodo di lavoro grazie sia a un’eccellente équipe di giovani ricercatori e professori che alla copiosa documentazione di cui dispongono i miei archivi. Questi ultimi, poi, sono costituiti da tutto il materiale che ho personalmente raccolto e conservato in occasione di diversi congressi interuniversitari e da una quantità importante di lavori scientifici. La vicinanza della Jaca Book e dell’Archivio rappresenta in questo senso una vera manna. Il modello adottato in occasione dei nostri congressi e dei numerosi colloqui di Lovanio è stato a sua volta adottato anche nell’ambito dell’Archivio e le prime pubblicazioni sono attualmente in corso».

Lei a suo tempo ha anche presentato alla Jaca Book diversi testi di Raimon Panikkar, che ha poi deciso di pubblicarne l’opera omnia e di diventarne l’editore internazionale. Quali sono le sue sensazioni?

«Ho incontrato molte volte e quindi ho conosciuto bene il professor Panikkar, grande specialista in storia delle religioni, ma esperto anche nel campo dell’incontro di culture diverse e nel dialogo inter e intrareligioso. Ricercatore geniale e impegnato in due culture – quella dell’India e quella dell’Occidente – Panikkar è stato capace di infondere un supplemento d’anima al nostro Occidente. Una volta ho chiesto a un mio studente di redigere una dissertazione dottorale sul pensiero e il metodo di Panikkar, facendone pubblicare anche il lavoro. Nel corso degli anni, poi, ho chiesto regolarmente ai miei studenti di studiare bene le sue opere. In occasione di un incontro con il direttore della Jaca Book Sante Bagnoli ho auspicato di vedere pubblicati anche in italiano certi lavori di questo autore. Adesso non posso che rallegrarmi vivamente per la pubblicazione della sua opera omnia, che permetterà ai lettori italiani e specialmente agli studenti di beneficiare dell’apporto del pensiero di un grande maestro».

Lei ritiene che un cristiano possa veramente comprendere altre culture? Perché tanti oggi temono un’invasione culturale e religiosa?

«Credo che un cristiano sia non solo abilitato a comprendere altre culture ma che ne possa anche più direttamente beneficiare. I Padri della Chiesa avevano già compreso questo e, proprio grazie a questa intuizione, l’epoca ellenistica ha rappresentato una grande ricchezza per la cultura cristiana dei primi secoli. Cosa che avverrà più tardi anche per il Rinascimento. La pubblicazione di molte opere dei Padri in questi anni è davvero un segno di speranza. Il ripiegamento identitario della nostra Europa è dovuto invece alla mancanza di apertura culturale dei nostri responsabili e alla povertà dei mass-media, che sono, da un lato, nelle mani di persone incapaci e, dall’altro, impegnati solo a promuovere un orribile mercantilismo. Si parla molto di mondializzazione ma in realtà, se di mondializzazione si tratta, questo è un affare che riguarda solo il grande capitale internazionale. Guardiamo poi al continente africano: l’interesse qui si limita solamente allo sfruttamento delle risorse da parte e a favore dei capitalisti. Per fortuna due Papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno vegliato sulla situazione, stanno formando una gioventù con uno spirito nuovo e si sforzano di dare ai cristiani il senso di un’apertura culturale e religiosa. Questo è davvero consolatorio per il nostro futuro».

Lei sta attualmente lavorando a un volume sulla morte e sull’eternità. Ma l’eternità è una visione veramente comune per tutta l’umanità?

«Sì, sto terminando in questi mesi il volume XII dell’opera omnia: Sopravvivenza e immortalità nel pensiero religioso dei popoli. Alla fine della mia carriera universitaria avevo tenuto un corso proprio su questo soggetto. Il libro – che sarà suddiviso in 25 capitoli, 20 dei quali li ho già terminati – verrà pubblicato quest’anno. Il testo comincerà con le credenze dell’uomo preistorico e terminerà con l’escatologia cristiana. Esiste in questa materia un vasto campo di ricerca che è del più grande interesse. Franz Cumont, ad esempio, aveva pubblicato nel 1949 un interessante libro intitolato Lux Perpetua. Prendiamo poi le prime tombe scoperte in Medio Oriente: esse risalgono a ben 90 mila anni fa e contengono le vestigia di scheletri ma anche i resti di alimenti e attrezzi, segno della fede dei viventi in una vita dopo la morte. La stessa credenza si è poi sviluppata lungo i millenni. Anche quello che risulta da documenti molto antichi va precisandosi sempre più. Pensiamo poi allo Zoroastrismo, il cui pensiero escatologico termina con il rinnovamento del mondo. O, ancora, all’Egitto dei faraoni di 4 mila anni fa, in cui troviamo tracce di corpi conservati attraverso l’imbalsamazione e, sotto il Nuovo Impero, un papiro nel quale l’iscrizione “Libro dei morti” è inserito dentro una bara. La visione cristiana dell’aldilà, poi, comporta la sopravvivenza dell’essere umano, l’esperienza della risurrezione, il giudizio, il paradiso, il purgatorio e l’inferno. Concludendo, posso dire che il volume XII dell’opera omnia sarà la mia ultima opera, il mio personale “canto del cigno”».

Angelo Stabin

Jesus Marzo 2012

Traghettilines BOMPIANI 1+1 Abbonanti ad un 2024 di divertimento - Mirabilandia Pittarello - Saldi fino al -70% Frigo vuoto e voglia di vino? Te lo consegniamo in 30 minuti alla temperatura perfetta! Duowatt - Banner generici con logo Tekworld.it Bus Terravision Aeroporto Milano Malpensa Plus Hostels Transavia 2021 Radical Storage Bus notturno Fiumicino Aruba Fibra veloce Hosting Aruba - Scopri di più