IL BRASILE PIANGE LA SCOMPARSA DI TOMÁS BALDUINO

37643. GOIÁS-ADISTA. Dei grandi Padri della Chiesa latinoamericani, i vescovi dell’eroica e profetica, forse irripetibile, generazione di Medellín e di Puebla, non resta quasi più nessuno: se ne è andato, il 2 maggio scorso, all’età di 91 anni, anche dom Tomás Balduíno, frate domenicano brasiliano e vescovo emerito di Goiás (diocesi che ha guidato per 31 anni, dal 1967 al 1999), cofondatore, nel 1972, del Consiglio Indigenista Missionario (Cimi) e, nel 1975, della Commissione Pastorale della Terra (Cpt). Una vita intera spesa al servizio dei poveri, dei contadini, degli indigeni, per i quali, come ha scritto il teologo e suo amico Marcelo Barros, è stato davvero, per usare le parole dell’Apocalisse, «fratello e compagno nella tribolazione e nella testimonianza del Regno»: annunciando la sua morte per una tromboembolia polmonare, la Cpt ha ricordato come pure negli ultimi tempi, malgrado le sue critiche condizioni di salute, il vescovo domenicano continuasse incessantemente a preoccuparsi della lotta per la riforma agraria, non volendo far mancare il suo contributo al documento sulla terra elaborato dalla Cnbb, la Conferenza episcopale brasiliana (e infine approvato il 7 maggio dalla 52ª Assemblea generale della Cnbb).

Una vita ricca, piena, avventurosa, quella di dom Tomás, il quale, nominato nel 1957 superiore dei domenicani della Prelatura di Conceição do Araguaia, nel Pará, non solo aveva appreso la lingua degli indios xicrin e kayapó, ma, per poter raggiungere aree remote e quasi inaccessibili dell’Amazzonia, non aveva esitato a prendere il brevetto di pilota. Da allora, sul suo elicottero rosso donatogli da un gruppo di amici italiani, avrebbe compiuto innumerevoli viaggi, prestando soccorso a perseguitati politici e trasportando medici, farmaci e alimenti. Persino, a volte, pappagalli, come ebbe modo di raccontare nel libro scritto nel 2008 insieme ad altri vescovi, teologi e dirigenti sociali per festeggiare gli 80 anni del suo grande amico Pedro Casaldáliga: «Su richiesta degli indios tapirapé – raccontò nell’occasione –, trasportai più di una volta in aereo degli arara addomesticati dagli indios rikbatsa del fiume Juruena. Attraversavo tutto lo Stato del Mato Grosso in direzione Est-Ovest. In uno di quei viaggi diedi un passaggio a Pedro, che era diretto alla sua Prelatura. Un giro lungo ma compensato dalla bellezza estremamente varia del panorama. Pedro ebbe un’ispirazione: una cronaca di quel viaggio piacevolissimo dal titolo “Un elicottero rosso, carico di dodici arara rossi e condotto da due vescovi dello stesso colore”».

Di attacchi i due vescovi ne hanno subìto tanti, da parte del regime militare, dei latifondisti, e pure in seno alla Chiesa: nel libro per gli 80 anni di Casaldáliga, Balduino raccontò di quando l’arcivescovo di Diamantina, dom Geraldo Sigaud, uno dei fondatori del movimento integralista “Tradizione, famiglia e proprietà”, accusò lui e dom Pedro di essere comunisti e di come il nunzio apostolico, Sebastiano Baggio, prese a pretesto la denuncia per sollecitare da Roma una visita apostolica alle loro due chiese, quella di São Felix do Araguaia e quella di Goiás. Ma molti di più sono stati i riconoscimenti ottenuti, dentro e fuori il Brasile, e soprattutto gli atti di riconoscenza e di amore, come quello che i partecipanti alla XX Assemblea del Cimi, nel 2013, hanno espresso ai due vescovi forzatamente assenti per motivi di salute («la vostra testimonianza profetica e la saggezza da voi condivisa per decenni con i popoli indigeni e i missionari – era scritto nel messaggio dell’Assemblea – continuano, e continueranno, a illuminare le nostre vite») o come la lettera inviata nella stessa occasione a Balduino, in quel momento ricoverato in ospedale, dai popoli indigeni degli Stati di Tocantins e Goiás («Per noi, lei è un maestro, un consigliere, un profeta, un instancabile difensore della causa e della vita dei popoli emarginati, schiavizzati ed esclusi». «Un buon pastore che ha sempre brandito l’arma della verità e della saggezza cristiana, volando in cieli turbolenti, navigando in acque agitate o trebbiando sentieri pieni di spine di questa America Latina. Che non si è mai lasciato intimidire, né si è mai piegato dinanzi all’arroganza e alla prepotenza dei tiranni»). Gli stessi popoli che gli hanno reso omaggio, secondo i rituali indigeni, durante i funerali, celebrati a Goiás il 5 maggio.

In tanti piangono la morte del vescovo: come uno dei più ferventi sostenitori della lotta per la riforma agraria lo ricorda il Movimento dei Senza Terra, che ne evidenzia «la grandezza del carattere» e «la coraggiosa militanza pastorale e politica» in una delle regioni più violente del Paese: «Siamo eternamente grati per il contributo ricevuto da dom Tomás nella costruzione della nostra organizzazione. Mai ci ha fatto mancare la sua parola di sostegno e di orientamento», scrive la direzione nazionale del Mst, assegnando con convinzione al vescovo, «per la sua traiettoria di vita e la sua coerenza politica in difesa dei poveri», un posto «nel pantheon di coloro che Bertolt Brecht ha definito come imprescindibili, perché lottano per tutta la vita».

E davvero per tutta la vita, ha ricordato Jelson Oliveira a nome della Commissione Domenicana di Giustizia e Pace del Brasile (www.ihu.unisinos.br), «ha danzato con gli indigeni, ha camminato con i senza terra, è salito su asini, cavalli e aerei, si è seduto con presidenti, ha issato bandiere, ha abbracciato alberi e persone in tutto il mondo. Ha suscitato rabbia, ha infastidito tanti, ha provocato molti. Ha espresso la dolcezza propria dei vecchi amici e l’asprezza dei grandi profeti».

E come «inviato da Dio per infastidire» il potere lo descrive in un commosso omaggio il teologo Paulo Suess, evidenziando come «nessun inverno politico o ecclesiastico» sia «riuscito a soffocarlo sotto una lastra di ghiaccio neoliberista o neoagostiniana» (www.cimi.org.br).

«Sei partito – lo piange, sempre sul sito del Cimi, un altro dei suoi amici, il vescovo di Xingu dom Erwin Kräutler – per entrare nella Patria definitiva. Lasci un’immensa nostalgia, innumerevoli e graditi ricordi. Piangiamo la tua morte, ma allo stesso tempo siamo profondamente grati a Dio per averci concesso la tua presenza fraterna e solidale per tanto tempo».

Un’eredità che non muore: dom Tomás – si legge sul sito della Cpt (www.cptnacional.org.br) – «resta vivo nelle lotte del popolo povero di tutto il mondo. La sua voce risuona nel grido del contadino e dell’indigeno che rivendicano la terra. I suoi insegnamenti continuano ad essere presenti nelle Chiese che difendono il popolo oppresso. Il suo cuore continua a battere in coloro che si organizzano, che lottano, che marciano per un mondo più giusto».

Una parola che non muore: «Si è spenta la voce di Tomás Balduíno. Resterà la sua parola», scrive il poeta militante brasiliano Pedro Tierra: «La parola che bagna come balsamo. La parola che fustiga. Incendia. La parola che perdona ma indica – sempre – il cammino della Giustizia. E cosa siamo nella vita? Siamo i resti delle parole che popolano il cammino di pietra o fiori, che fanno sanguinare i piedi dei nostri figli». (claudia fanti)

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