Se la Chiesa rischia di perdere le donne. Per una fede non sottomessa al modello patriarcale

Ha raccontato una volta la teologa Joan Chittister di una bambina di cinque anni che, dopo aver interrogato i genitori a proposito dell’assenza di donne prete nella sua parrocchia, e avere così appreso che «non ci sono sacerdoti donne nella nostra Chiesa», è rimasta un minuto in silenzio e poi ha chiesto: «E allora perché ci andiamo?». Così, stanche di essere trattate come cittadine di seconda classe, e insofferenti rispetto a qualunque riconoscimento che non sia di fatto accompagnato da cambiamenti strutturali, le donne alzano con sempre più forza la voce, senza paura neppure di muovere rilievi a papa Francesco e di andare in tal modo controcorrente rispetto al clima di entusiasmo che si respira attualmente nella Chiesa (v. Adista Notizie n. 29/13). Critiche rispetto all’auspicio espresso dal papa, durante il suo viaggio di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù, di «una vera e profonda teologia delle donne nella Chiesa», al di là dunque anche della sua chiusura rispetto al sacerdozio femminile, vengono per esempio espresse dalla teologa statunitense Katie Grimes, la quale, in un articolo apparso sul sito Womenintheology.org (21/8), del quale è una delle animatrici, evidenzia come il problema non venga dalla mancanza di una “teologia delle donne”, ma, esattamente al contrario, dal «fatto che tanti rappresentanti della Chiesa la considerino necessaria». «Invece di chiedere una “vera e profonda teologia delle donne” – sostiene infatti la teologa -, avrei preferito che il papa invocasse una critica più incisiva del sessismo, della misoginia e dell’androcentrismo. Invece di una teologia più profonda delle donne, avrei voluto che riconoscesse la necessità di più teologia fatta dalle donne».

E se Katie Grimes contesta la dottrina della complementarità sessuale (sostenuta anche da papa Francesco), che fonda il sacerdozio esclusivamente maschile sulla differenza tra i sessi, sottolineando così «nelle donne l’iconica rappresentazione di Maria e negli uomini la rappresentazione di Gesù», una critica puntuale all’immagine di Maria viene da un’altra teologa statunitense, la notissima religiosa benedettina suor Joan Chittister, la quale, in un articolo pubblicato sul numero del 30/8 del National Catholic Reporter, rivendica la figura di Maria come donna non condizionata da risposte maschili, dotata di «un senso elevato di responsabilità personale» e «assolutamente priva di dubbi riguardo al suo posto nella gerarchia della Chiesa».

Convinto che le religioni siano profondamente in debito nei confronti delle donne, «eterne dimenticate e grandi sconfitte», è anche il teologo spagnolo Juan José Tamayo, che, invitato lo scorso giugno dall’Associazione cattolica per il Diritto a decidere di El Salvador a tenere una conferenza in occasione dell’inaugurazione della Scuola di Teologia Femminista, ha evidenziato, da un lato, il peso enorme della violenza – fisica, psicologica, religiosa e simbolica – di cui le donne sono state e sono ancora oggi vittime e, dall’altro, il sorgere negli ultimi decenni di «un’autentica ribellione delle donne in campo religioso, tanto a livello personale che collettivo, tanto all’interno delle religioni che nella società». E ha concluso lanciando un allarme: se «nel XIX secolo le religioni hanno perso la classe operaia perché hanno scelto di stare dalla parte dei padroni sfruttatori» e se «nel XX secolo hanno perso i giovani e gli intellettuali a causa delle loro posizioni filosofiche e culturali integraliste», nel XXI secolo, andando avanti per questa strada, rischiano di perdere le donne, «che sono state finora le migliori e più fedeli seguaci». E, allora, «senza la classe lavoratrice, i giovani, gli intellettuali e le donne, le religioni arriveranno al capolinea. E non potranno dare la colpa del loro fallimento a nessuno, avendo loro stesse compiuto il loro harakiri».

(claudia fanti) – adista documenti 33 2013

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