Il conclave sotto i peggiori auspici: uomini di chiesa osate cambiare. Spazio a una nuovo Papa sposato

Le due notizie di lunedì 25 febbraio, a tre giorni dalla fine programmata del pontificato di Benedetto XVI, gettano una luce sinistra sul conclave che sta per iniziare. La prima notizia è quella delle dimissioni, prontamente accettate da Roma, del cardinale scozzese O’Brien, per le accuse rivoltegli alla fine della settimana scorsa di abusi commessi decenni fa su seminaristi. Inoltre il cardinale O’Brien, prossimo ai 75 anni, tradurrà le sue dimissioni da vescovo diocesano nella sua mancata partecipazione al conclave, in una decisione (non è ben chiaro quanto spontanea) che crea un precedente – l’ennesimo di questa travagliatissima fase di passaggio di pontificato. O’Brien, che la settimana scorsa in un’intervista alla Bbc si era espresso a favore dell’ordinazione sacerdotale di uomini sposati, non è certo un liberal, anzi. Ma il caso di O’Brien è diverso da quello del cardinale di Los Angeles Mahony, in quanto riguarda non una responsabilità di mancati provvedimenti su colpevoli, ma un’accusa relativa a comportamenti personali. Nel clima attuale basta il sospetto o l’accusa per far scattare l’esclusione dal conclave, probabilmente il più avvelenato da quello del 1800 che si tenne a Venezia. C’è da chiedersi se questa aura di sospetto su alcuni cardinali diocesani non avvantaggi ulteriormente la Curia romana che possiede una maggioranza relativa dei voti al conclave.
La seconda decisione, ancora più importante, è il motu proprio Normas nonnullas con cui Benedetto XVI modifica, per la seconda volta durante il suo pontificato e a poche ore dall’inizio della vacatio sedis, le regole per il conclave. Il motu proprio è finalizzato a garantire la libertà e la segretezza dei lavori del conclave, ma soprattutto a dare ai cardinali che parteciperanno alle fasi preparatorie del conclave la possibilità di anticipare la data di inizio delle votazioni rispetto ai 15-20 giorni che fino ad ora dovevano intercorrere tra la vacanza della sede e l’inizio del conclave. Questo motu proprio è di grande importanza per vari motivi: un primo motivo è che dando la possibilità a tutti i cardinali (e non solo agli elettori, ma anche a quelli più anziani di 80 anni che quindi non entrano in conclave: sono ben 86 i cardinali non elettori, rispetto ai 117 cardinali elettori) di decidere sulla data del conclave, il papa avvantaggia la Curia romana garantendole margini di manovra circa la possibilità di anticipare l’inizio delle votazioni e quindi accorciando il tempo che i cardinali non romani hanno di prepararsi all’inizio degli scrutini. Nel collegio degli elettori la Curia romana è già ampiamente sovrarappresentata (circa il 35 per cento dei votanti), e con questa mossa viene ulteriormente sovrarappresentata in un momento decisivo per la preparazione di questo conclave che definire straordinario è un understatement.
Ma l’elemento che colpisce maggiormente è l’incoerenza tra una macchina vaticana che denuncia le pressioni esterne contro il conclave (questa volta da parte della stampa e non più, come una volta, da parte degli imperi) e che allo stesso tempo pare piegarsi a queste pressioni. Tra gli effetti di queste pressioni non è da escludere la vicenda O’Brien, che in altri tempi avrebbe incontrato maggiore garantismo. In punta di diritto canonico, però, se si dovessero verificare altri casi di cardinali “esclusi” dal conclave a furor di popolo e se si dovesse avere un’elezione con una maggioranza dei due terzi particolarmente risicata, ci si potrebbe legittimamente chiedere se il nuovo papa è stato eletto con la maggioranza richiesta o con un quorum alterato dalle pressioni esterne.
Tutto questo prepara il conclave sotto i peggiori auspici. La pressione a cui questa elezione papale dovrà resistere potrebbe prendere il via con una conventio ad excludendum dei vescovi diocesani oppure provenienti da certi paesi, o ancora peggio, avere come esito l’elezione di un papa inquisitore dotato di poteri straordinari. Il conclave deve eleggere il successore di Pietro, e non la versione ecclesiastica di Di Pietro.

do Massimo Faggioli – europaquotidiano

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