Così Giulio ammette l’evasione fiscale. L’affaire Milanese ora rischia di diventare la tomba politica di Tremonti.

La tanto attesa lettera al Corriere della sera con cui il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, avrebbe dovuto chiarire una volta per tutte il pagamento in nero dell’affitto al suo ex braccio destro, Marco Milanese, alla fine si è rivelata più un boomerang che la pietra tombale dell’affaire casa. Invece di smentire definitivamente i sospetti di evasione fiscale, la ricostruzione fatta dal ministro li alimenta e quasi li conferma. Prefigurando così uno scenario paradossale: sulla poltrona di via Venti Settembre siederebbe uno che paga meno tasse del dovuto.
Vediamo perché. Nella missiva al quotidiano milanese, Tremonti mette in fila i fatti. La sua abitazione principale è a Pavia, quindi dorme a Roma solamente tre giorni alla settimana, per lavoro. Fino al 2008 le notti romane le aveva passate in albergo o nella caserma della Guardia di Finanza, per poi accettare l’invito del suo braccio destro a trasferirsi in una casa presa in affitto dallo stesso Milanese. Il servizio tuttavia era tutt’altro che gratuito.
In cambio, il ministro versava ogni mese al suo consigliere politico una somma cospicua: quattromila euro in contanti. Cosa che è andata avanti fino a qualche settimana fa, il sette luglio, ovvero quando la notizia dell’affitto pagato cash diviene di dominio pubblico. Inoltre, lo stesso Tremonti rivela di aver pensato alla stipula di un normale contratto, ma di aver poi preferito la soluzione Milanese «per motivi di privacy».
Ora, quello che subito balza agli occhi della ricostruzione tremontiana è l’assoluta mancanza di un contratto formale fra il ministro e Milanese. Un contratto più che mai necessario, in quanto l’affare fra i due non costituisce solamente un rapporto informale «fra privati cittadini» come sostiene il ministro, ma un vero e proprio subaffitto. A sostenerlo è uno che di locazioni sa tutto, il segretario nazionale del Sunia, il sindacato degli inquilini, Daniele Barbieri. «Non c’è dubbio che dalle parole di Tremonti viene fuori il classico schema del subaffitto. E il ministro dovrebbe sapere bene che in questo caso è necessario registrare l’accordo e pagare l’imposta di registro al fisco, che si aggira sul due per cento del canone annuo e che deve essere versata equamente dalle parti».
Quindi, basta fare due semplici calcoli per stimare l’entità della presunta evasione del ministro. Tremonti versava quattromila euro al mese al suo ex consigliere, ossia 48mila all’anno. Il due per cento di questa somma è 960 euro, che diviso due significa 480 euro. Una cifra minima per chi si può permettere di pagare cento volte tanto solo per l’affitto, ma pur sempre un’evasione fiscale. «A questa va poi aggiunta –prosegue Barbieri – l’eventuale evasione di Milanese. Il deputato del Pdl avrebbe dovuto denunciare i soldi tremontiani nella sua dichiarazione dei redditi. Se non lo ha fatto, allora dovrebbe intervenire l’Agenzia delle entrate ». Conclude amaramente Barbieri: «Mentre da un lato si intensificano gli strumenti per la lotta contro l’evasione fiscale, basti pensare alla cedolare secca, il ministro dell’economia non trova niente di meglio che vivere in affitto senza pagare le tasse».
In questa situazione già abbastanza critica, va poi aggiunta un’altra circostanza che non ha niente di illegale ma che sicuramente lascia interdetti. Tremonti infatti ammette candidamente di farsi pagare lo stipendio da ministro, 2.390 euro, in contanti, ai quali ne aggiungeva altri 1.610, sempre cash, per regolare i conti con Milanese. Ebbene, continua ancora oggi la predilezione per il denaro frusciante? E perché? Per essere meno “tracciabile”? Insomma, malgrado la lettera, Tremonti ha ancora tanto da spiegare.

di Gianni Del Vecchio – europaquotidiano

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