Don Mario, prete dei gitani che dice messa in roulotte

di Zita Dazzi

Da 30 anni vive da nomade tra i nomadi
Pregiudizi Sugli zingari, tante menzogne. Sapete che hanno raccolto 88 mila euro per fare una chiesa?
Scelte di vita Questo tipo di libertà è l´unica alternativa sensata alla vostra civiltà falsa e malata
 
Nomade fra i nomadi per scelta, non per nascita. Don Mario Riboldi, famiglia brianzola, amico in gioventù del futuro papa Paolo VI, avrebbe potuto invecchiare comodamente fra gli stucchi dorati del Vaticano. Ma ha scelto di consumare la sua vita fra i campi e di girare l´Italia dietro alle carovane degli zingari. La sua roulotte è piccola, ma accogliente, come il caravan dove celebra tutti i giorni. L´acqua viene dalla fontana, il riscaldamento dalla stufetta a gas. Il sorriso, sornione, sembra un fermo immagine dal Tempo dei Gitani.
Da trent´anni vive e celebra la messa in una roulotte. Parla al gregge dei suoi fedeli in «romanes», la lingua degli zingari, e critica la civiltà dei «gagi», i non-zingari, con tutti i loro pregiudizi, la loro violenza, la «fretta che non permette di apprezzare la bellezza della natura».
Diffidente e sarcastico nei confronti delle gerarchie, dei politici, della città che lavora e che produce, a 76 anni suonati, don Mario Riboldi, può permettersi il lusso di criticare tutto e tutti, affacciandosi sui campi di Brugherio, nello spiazzo di ghiaia sotto la tangenziale, dove ha definitivamente parcheggiato il suo caravan 16 anni fa, dopo aver girato il nord Italia e l´Europa.
Nato a Biassono e nominato da papa Montini cappellano dei gitani per l´Italia, don Riboldi è invecchiato al ritmo del jazz di Django Reinhardt, il grande musicista di cui si innamorò anche Woody Allen che gli dedicò il film Accordi e Disaccordi. Dal chitarrista tzigano vissuto negli anni ‘40 discende anche la famiglia allargata dei rom con cui il nostro arzillo sacerdote abita da tempo. A vederlo oggi, don Mario sembra un personaggio momentaneamente uscito da un film di Kusturica. Anche quando indossa i paramenti per andare a celebrare la messa delle cinque del pomeriggio nella roulotte vicino alla sua, si presenta come uno di quei patriarchi gipsy scavati dal tempo e dai viaggi. Cappellino nero, baffetti tagliati corti, bianchi come le lunghe basette che gli incorniciano il volto affilato, sorriso sornione e voce resa roca dalle troppe sigarette o forse dagli acciacchi dell´età, Riboldi vuole smontare i luoghi comuni sui gitani uno a uno.
«Voi chiedete solo dei furti e dell´elemosina, quando parlate dei rom. Ma cosa mi rispondete se io vi spiego che i gitani hanno raccolto ben 88.000 euro per costruire una chiesa a Tejùs, in Romania? E non sto parlando dei romeni, perché i rom non sono solo quelli della Romania. Sto parlando dei nostri rom: i synti, i manuche, i giostrai, i camminanti. Tutti italiani, molti cattolici, comunque credenti».
Seduto nella sua roulotte, sotto al crocefisso e fra le pigne di ritagli dei giornali archiviati per testimoniare la «montagna di menzogne scritte sui rom», è difficile immaginarlo bambino nella calma piatta della Brianza. Come arduo è raffigurarselo giovane diacono nel seminario di Venegono, in mezzo a tanti di quei monsignori che oggi vivono nelle chiese del centro.
«Voi mi volete incastrare», è la risposta standard a quasi tutte le domande. «Ma io sono più furbo di voi e vi dico quel che voglio dirvi io: com´è possibile che dal popolo gitano, con tutto il male che la gente ne pensa, sia venuto fuori un beato, Zeffirino, primo martire gitano, mentre altri due sono in corsa per la canonizzazione?». Don Mario sfoglia la rivista degli zingari cattolici, che lui cura da decenni. «Certo, la messa per questa gente è un punto di arrivo. Io quando predico prendo in mano la Bibbia, capitolo uno versetto uno. Si comincia con 15 che ti ascoltano, si finisce con 3. Ma a me ne basta uno. Non è la quantità che conta, ma la qualità. Perché di Dante Alighieri ce n´è uno, ma è grazie a lui si è smesso di parlare male del Medioevo».
Don Riboldi sabato scorso ha portato i suoi zingari a pregare a Sant´Ambrogio. La Curia ambrosiana, dopo la sua rinuncia alla nomina vaticana («Non avevo nessuna intenzione di passare la vita dietro a una scrivania») lo apprezza e l´ha eletto cappellano degli zingari della diocesi. «Fra questa gente succedono cose esaltanti. I loro sono valori autentici. E se in cambio dell´"integrazione" si chiede la rinuncia alla libertà, allora io sono d´accordo con loro e rimango a vivere fra i boschi. Questo tipo di libertà è l´unica alternativa sensata alla vostra civiltà malata». (fonte: repubblica milano)

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