Mancano le vocazioni, suore e preti sono sempre meno: si offrono i preti sposati

La notizia di marsicalive.it spinge il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati, fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone, ha ribadire la propria disponibilità a rientrare in servizio nella chiesa cattolica romana per arginare la crisi dei sacerdoti (ndr).

Avezzano. Mancano le vocazioni, suore e preti sono sempre meno: l’Opera don Orione lascia Avezzano. Un addio che sa di tristezza e di una storia che si spezza. La storia dell’Opera don Orione con Avezzano.

Un amore nato dalla solidarietà e che dal terremoto del 1915 ha accompagnato generazioni di marsicani con una presenza discreta e coinvolgente.

 

L’Opera Don Orione ha annunciato la decisione di ritirare la propria comunità religiosa da Avezzano. Una scelta sofferta, maturata a causa della progressiva diminuzione del numero dei religiosi e dell’impossibilità di presidiare con continuità tutti i territori in cui la Congregazione è presente.

 

“Noi religiosi siamo pochi e purtroppo non abbiamo più la possibilità e la capacità di essere presenti in tutte le nostre Istituzioni – ha dichiarato Don Giovanni Carollo, Direttore Provinciale della Congregazione – Molti confratelli sono ormai anziani, si sono ritirati dal ministero pastorale attivo o si ritireranno a breve. È nostra responsabilità occuparci anche di loro”.

La Congregazione orionina manterrà la cura del Santuario della Madonna del Suffragio, garantendo la presenza dei sacerdoti ogni fine settimana e nei giorni festivi. Sarà inoltre assicurata la continuità del servizio religioso agli ospiti della RSA e della casa di riposo – attualmente 75 – grazie ad alcuni sacerdoti che si alterneranno tra Avezzano e Roma.

L’Opera assicura fin da ora la prosecuzione del servizio assistenziale senza soluzione di continuità e la tutela dei livelli occupazionali. Le interlocuzioni per il passaggio di gestione verranno avviate nei prossimi mesi.
Nella giornata odierna, la decisione è stata comunicata alle istituzioni cittadine, al vescovo, alle parti sindacali, ai lavoratori e alle famiglie coinvolte.

“Il legame con Avezzano e la Marsica – ha concluso Don Carollo – è storico e profondo, e continueremo a coltivarlo nella misura in cui potremo”.

 

“Oggi pomeriggio ho partecipato ad un incontro, in qualità di consigliere regionale, con i sindaci della Marsica presso l’Istituto Don Orione dove i rappresentanti legali giunti da Roma hanno annunciato di ritirare la propria comunità religiosa da Avezzano”. Ha dichiarato Massimo Verrecchia, Capogruppo di Fratelli d’Italia in Consiglio regionale.
“Una scelta, a detta loro, maturata a causa di una progressiva diminuzione del numero di religiosi e dell’impossibilità di avere continuità. Sono intervenuto per chiedere di ripensare su questa decisione.
Per noi la figura di Don Orione è stata la speranza e la certezza della rinascita di Avezzano e della Marsica, un’icona emblematica a noi tutti per aver saputo soccorrere i nostri concittadini durante il terribile terremoto di Avezzano del 13 gennaio del 1915″.

All’incontro hanno partecipato il Comitato “Amici di Don Orione”, numerose associazioni, il clero, sindaci della Marsica e rappresentanti della politica regionale, che si sono ritrovati per riflettere su una notizia che ha colpito la città: il ritiro dei sacerdoti dell’Opera orionina da Avezzano previsto per giugno 2026. Una scelta motivata dalla Congregazione con la mancanza di vocazioni, ma che la comunità locale fatica ad accettare.

In sala era presente il vescovo, mons. Giovanni Massaro, insieme a numerosi primi cittadini della Marsica. Tra gli interventi che hanno segnato la serata, quello del sindaco di Avezzano, Gianni Di Pangrazio, che ha interpretato il sentimento diffuso nella popolazione: “Ho ascoltato attentamente le relazioni, ma resta il fatto che ci state dicendo che ve ne andrete. E non è una buona notizia.”

Il primo cittadino ha riconosciuto con realismo gli aspetti pratici, a partire dalla garanzia che la RSA continuerà ad operare. Ma lo sguardo, inevitabilmente, si è spostato sul valore spirituale e storico dell’opera. Perché se l’assistenza e i servizi sono importanti, il tessuto umano e pastorale costruito nei decenni lo è altrettanto.

“Il Comitato e tutte le persone che mi hanno parlato – ha proseguito Di Pangrazio – chiedono con forza che i sacerdoti rimangano. Ne abbiamo qui di capaci, solidi, volenterosi. E pensare che a giugno se ne andranno ci lascia increduli.” Parole pronunciate non solo a nome dell’amministrazione avezzanese, ma anche dei numerosi sindaci e rappresentanti regionali presenti.

Il primo cittadino, richiamando la storia comune, ha ricordato come San Luigi Orione non sia soltanto una figura religiosa, ma una parte dell’identità marsicana: “Don Orione è un’entità che rappresenta tutta la Marsica. Lo abbiamo vissuto passo dopo passo, attraverso generazioni. Qui non parliamo solo di un’opera, ma di un pezzo di storia.”

E ha aggiunto, con un richiamo diretto ai responsabili orionini: “Chiediamo un occhio di attenzione, per la Marsica, per Avezzano, per una storia che non merita di essere interrotta.”

Non è mancato, infine, un accenno al senso di appartenenza e orgoglio locale: “Siamo coraggiosi, forti, generosi, ma anche determinati nel difendere le nostre istituzioni. Non abbiamo mai chiesto un euro per la struttura. Continueremo a farlo, ma chiediamo che la vostra posizione venga rivista.”

La serata si è conclusa con un appello condiviso: far sì che la voce del territorio arrivi ai superiori della Congregazione, affinché la decisione venga riesaminata e l’eredità spirituale di Don Orione continui ad essere presenza viva e operante nel cuore di Avezzano e della Marsica.

marsicalive.it

Incontri sacerdoti sposati per la riforma della Chiesa

Di seguito  il Calendario Incontri 2025 

–  7 Dicembre 2025 – Verbania

– I meeting sono con costi vitto e alloggio e spese di viaggio a carico di tutti i partecipanti. Per iscrizione all’incontro dopo aver versato quota annuale di 50 Euro (solo per i non iscritti al Movimento) scrivi a sacerdotisposati@gmail.com  

Programma: 

Ore 10 Incontro

Ore 11,30 – 12,30: colloqui personali

Ore 13 Pranzo insieme in ristorante del posto (Costo a carico dei partecipanti per il Pranzo 35 Euro)

La redazione 

(Effettuare pagamento da qui versando quota di iscrizione di 50 euro e inviare comunicazione dell’avvenuto pagamento sacerdotisposati@gmail.com )

Dove va la Chiesa cattolica?

Lo scalpore che ha suscitato l’intervento di Giorgia Meloni al Meeting di Rimini, con le sue lodi sperticate, tra le ovazioni dei presenti, per l’impegno di Comunione e Liberazione in politica in netto contrasto con la «scelta religiosa» dell’Azione cattolica, ha subito riportato a questioni che sembravano archiviate definitivamente.

Azione cattolica e Cielle

Personalmente ho pensato a un rigurgito della vecchia guardia di Cielle. Un rigurgito, cioè, da parte di chi ha steso un testo di quel tenore (non certamente farina del sacco di Meloni) perché, dopo oltre sessant’anni, non ha ancor oggi digerito l’allora estromissione di Gioventù Studentesca (GS) dall’Azione cattolica, estromissione voluta dall’arcivescovo di Milano Giovanni Colombo in accordo con Paolo VI.

Don Giussani, come si sa, non aveva nessuna intenzione di fondare un nuovo movimento nella Chiesa. Il suo obiettivo era piuttosto quello di impossessarsi dell’Azione cattolica, riformandola dal suo interno: un’AC da lui giudicata troppo ingessata, frenata dalla sua pesante struttura organizzativa, incapace di offrire ai giovani una proposta forte di incontro con la persona di Gesù.

Giussani era talmente convinto di questo che arrivò fino al punto di chiedere alla Conferenza episcopale italiana di allora che GS non fosse considerata un’esperienza «accanto all’Azione cattolica» ma, come ebbe modo di spiegare ai suoi, un’esperienza «dell’Azione cattolica, come siamo sempre stati».

Il suo disegno – per fortuna – non andò in porto, e fu costretto a dar vita ad un movimento a sua immagine e somiglianza. I giovani ciellini di allora, a lui più vicini (rimasti laici oppure diventati preti, vescovi o cardinali) rimasero però ancorati a quell’idea, mai digerita appunto, e dopo una vita intera rigurgitano ciò che ancora è rimasto loro sullo stomaco.

È più che evidente che quel pezzo del discorso di Meloni lo abbia scritto un reduce di quella esperienza, oggi ghost writer del governo in carica, dopo esserlo stato di altri governi di centrodestra. E bene ha fatto Rosy Bindi che su Avvenire ha rimesso il campanile al centro del villaggio, seguita da altri interventi che si sono successivamente succeduti come quello – ineccepibile – di Marco Vergottini su SettimanaNews, che ha richiamato le differenze sostanziali e pastorali tra AC e CL.

Devo però confessare che leggere queste cose oggi mi fa uno strano effetto. Mi riportano a un tempo (per noi entusiasmante) che non c’è più. A un passato che crediamo esista ancora, intatto come allora, ma che in realtà è solo nella vita di chi l’ha vissuto, e che ha ormai superato ampiamente i sessanta, settanta, ottant’anni.

La realtà della Chiesa, oggi, è un’altra. Così come lo sono i problemi che la dividono. Davvero crediamo ancora (come il reduce ciellino autore del testo letto da Meloni) che esista una contrapposizione tra AC e CL così come l’abbiamo vissuta mezzo secolo (e più…) fa?

Chi partecipa alla vita del movimento o a quella associativa in parrocchia e nelle diocesi, non sa nulla delle dispute teologiche o pastorali di allora, così come non ci sono molte occasioni di incontro (o di scontro) tra gli appartenenti alle due organizzazioni.

Le generazioni postconciliari, poi, a partire dai papaboys di Giovanni Paolo II (pure loro ormai maturi e attempati…), neppure sanno cosa siano la scelta religiosa o l’impegno politico dei cattolici. Forse neppure sanno cos’è il Concilio Vaticano II così come lo abbiamo letto, studiato, approfondito, conosciuto, difeso e annunciato noi boomers cattolici. Per loro è solo storia della Chiesa (come lo fu per noi il Vaticano I) e non documento vivo, punto di riferimento imprescindibile per la pastorale e la liturgia, per la presenza nella società e per il dialogo ecumenico.

Crisi della Chiesa e il vecchio che avanza

La realtà della Chiesa di oggi è diversa: sociologicamente, politicamente, ecclesialmente.

Sociologicamente assistiamo – come ovunque in questa epoca – ad un ritorno al privato, ad un individualismo vissuto come chiusura a nuove esperienze comunitarie di impegno e di accoglienza. Restano attive (molto attive, per fortuna) quelle iniziative sorte negli anni Settanta da preti di strada e da vescovi intraprendenti. Ma nuove opere che rispondano ai bisogni di povertà e di emarginazione ne nascono raramente.

Anche il tempo dello stato nascente o dell’«effervescenza collettiva» – come la definiva Durkheim –, che diede vita alla stagione dei nuovi movimenti, è finito. Basta guardare ad alcune iniziative del mondo cattolico promosse nelle parrocchie o nelle piazze per notare come la partecipazione, quando c’è, è anagraficamente riconducibile al secolo scorso.

La realtà della Chiesa è diversa anche politicamente. Un gran numero di cattolici (vescovi e cardinali compresi…) rimangono affascinati e ammirati da politiche identitarie, che brandiscono rosari e statue della Madonna, che prendono a modello autocrati capi di Stato, che sventolano bandiere e invocano Gesù Cristo per dare battaglia (fisicamente, non solo metaforicamente) a stranieri, musulmani, gay, lesbiche, woke, abortisti… Basta guardare alla Francia o all’Italia, per domandarsi da quale elettorato traggano sostegno leader e partiti che raccolgono oggi maggioranze di destra.

Ma la realtà della Chiesa di oggi è diversa anche – e soprattutto – ecclesialmente. Stiamo assistendo al vecchio che avanza. Come un fiume carsico, infatti, il movimento tradizionalista che si pensava incanalato tra gli argini della corrente lefebvriana, è riemerso con particolare risalto in molte realtà ecclesiali, soprattutto in Francia, Svizzera, Stati Uniti, Spagna, Germania e Italia, come anche evidenziato, proprio su SettimanaNews, dal politologo austriaco Thomas Schmidinger.

Parroci che celebrano la messa con le spalle rivolte ai fedeli. Preti che impongono nelle loro parrocchie riti in latino. Ragazze che assistono col velo in testa e giovani che si inginocchiano con le mani giunte per ricevere la Comunione in bocca. Ma soprattutto – e questo dovrebbe far riflettere – chiese che si riempiono di giovani con queste caratteristiche mentre tutte le altre restano vuote. Scene ormai ricorrenti, che i più anziani non vedevano da sessant’anni e che si ripresentano con sempre maggiore frequenza anche nelle nostre parrocchie.

In occasione dell’ultima Pasqua, la Francia ha assistito a un record di battesimi: 10.384 adulti (il 45% in più rispetto all’anno prima e il 60% in più in dieci anni) e oltre 7.400 adolescenti tra gli 11 e i 17 anni. Fenomeni simili sono stati osservati nella Svizzera francese dove si conferma l’aumento del numero di catecumeni. In diverse località, la partecipazione a celebrazioni particolari è aumentata in modo significativo. Un incontro per cresimandi, tenutosi recentemente a Ginevra, città di Calvino, ha registrato un’affluenza record.

Il comun denominatore di queste manifestazioni, che qualcuno potrebbe considerare confortante, è che questo riavvicinamento ad una rinnovata pratica religiosa è legata a un movimento tradizionalista che avanza, soprattutto nei grandi centri urbani.

Cosa sta, dunque, accadendo nella Chiesa cattolica? Sembrerebbe un nostalgico ritorno al passato, se protagoniste fossero persone anziane che non hanno mai accettato le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II. Invece ci si accorge che, a ripescare antiche liturgie, addobbi impolverati riposti nei depositi parrocchiali, comportamenti che si pensavano abbandonati, sono preti di fresca ordinazione e giovanissimi fedeli. È una nuova generazione di cattolici che avanza guardando a un passato che non hanno mai vissuto e quindi che per loro è novità. Non è quindi un ritorno al passato ma un «ritorno al futuro».

È un fenomeno non organizzato in strutture definite, ma piuttosto spontaneo e informale. Un fenomeno che, però, si va diffondendo in modo crescente. Non tanto per il numero di persone che vi aderisce (nelle realtà locali sono ancora pur sempre una minoranza, anche se in aumento) quanto per diffusione sul territorio. Sono fedeli che – pur non frequentando le messe tridentine – si comportano nelle nostre chiese secondo norme liturgiche ormai in disuso o addirittura abolite. Comportamenti spontanei, alimentati da sempre più numerosi preti (giovani preti, appunto) che reintroducono gesti, culti, pratiche, suppellettili, vesti e ornamenti sacri che l’ultimo Concilio aveva raccomandato di eliminare.

A tutto ciò va aggiunto, cosa impensabile fino a pochi anni fa, che in ogni diocesi ci sono luoghi di culto dove viene autorizzata la celebrazione della messa vetus ordo e che diventano punto di riferimento e di ritrovo sistematico.

Altri riti tridentini avvengono, senza autorizzazione, in località dove, da un giorno all’altro, fedeli comuni si ritrovano ad assistere a incomprensibili liturgie in latino, creando in loro non poche perplessità. E a un cardinale di Santa Romana Chiesa viene autorizzata la celebrazione della messa preconciliare in San Pietro, cuore della cristianità.

Oltre il folclore, il rischio di dividere

Ora, non è di per sé molto importante se qualche nostalgico celebra in privato messe preconciliari rimpiangendo ciò che magari non ha mai vissuto perché nato molto anni dopo il Concilio. Sono gusti personali, così come può essere semplicemente liquidato come folclore religioso il riproporre in chiesa riti, vesti, inni e paramenti scomparsi da oltre mezzo secolo.

Ciò che invece comincia a preoccupare è quando tutto ciò viene imposto a un’intera comunità parrocchiale da un singolo prete, creando sorpresa, sconcerto, divisione, abbandono e dispersione. È una visione di Chiesa che preoccupa perché rompe la comunione e incrina l’unità della Chiesa stessa, in nome di una tradizione male interpretata. Per dirla con Gustav Mahler, «fedeltà alla tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle ceneri». Di fronte a questi rigurgiti del movimento tradizionalista sembra si sia arrivati invece ad adorare ciò che è morto, piuttosto che tener vivo ciò che è risorto.

Un mondo in transizione

Questi fenomeni indicano una tendenza ma, nello stesso tempo, sono indice di una Chiesa che non ha ancora chiaro davanti a sé il cammino da intraprendere. È un periodo di transizione verso un modello di Chiesa, ma soprattutto di cristianità, che non è più e nello stesso tempo non è ancora.

Ritornano alla mente riflessioni del passato che oggi sembrano profetiche. A cominciare dal celebre testo del giovane teologo Joseph Ratzinger che, nel 1969, scriveva: «Dalla crisi attuale emergerà la Chiesa di domani – una Chiesa che avrà molto perso. Sarà di una taglia ridotta e dovrà ripartire da zero. Non sarà più in grado di riempire tutti gli edifici costruiti durante il suo periodo prospero. Con la riduzione del numero dei fedeli, perderà numerosi privilegi. Contrariamente al periodo anteriore, la Chiesa sarà percepita come una società di persone volontarie, che s’integrano liberamente e per scelta. In quanto piccola società, sarà condotta a fare molto più spesso appello all’iniziativa dei suoi membri».[1]

Ma ancor più spiazzante è quanto scriveva Emmanuel Mounier nel 1946 di fronte ad una società del dopoguerra intrisa di un cristianesimo onnipresente e onnipotente («i giorni dell’onnipotenza» li avrebbe descritti Mario V. Rossi…), che già mostrava in Francia i segni della sua contraddizione, che è la natura stessa, la natura paradossale del Regno: disarmato e trionfante, inafferrabile e radicato.

Le parole di Mounier sembrano descrivere in modo impressionante la fotografia della realtà odierna: «Il cristianesimo non è minacciato di eresia: non appassiona più abbastanza perché ciò possa avvenire. È minacciato da una specie di silenziosa apostasia provocata dall’indifferenza che lo circonda e dalla sua propria distrazione. Questi segni non ingannano: la morte si avvicina. Non già la morte del cristianesimo, ma la morte della cristianità occidentale, feudale e borghese. Una cristianità nuova nascerà domani, o dopodomani, da nuovi strati sociali e da nuovi innesti extraeuropei. Ma bisogna che noi non la soffochiamo con il cadavere dell’altra».[2]

Che la salvezza della Chiesa possa davvero venire non già da un nostalgico ritorno al passato (o al futuro…) ma piuttosto dai poveri, dagli emarginati, dai migranti che hanno “invaso” le nostre terre? Bisogna però non soffocarla con la cristianità raccontata da Meloni.

vinonuovo.it