Sono sempre di più gli italiani che si trasferiscono all’estero e c’è la crisi dei rimpatri

Manifestazione degli studenti Erasmus. Immagine d 'archivio - RIPRODUZIONE RISERVATA

“Dal 2020 l’Italia conta circa 652 mila residenti in meno. Nello stesso periodo, invece, continua la crescita di chi ha deciso di risiedere fuori dei confini nazionali (+11,8% dal 2020). Oggi la comunità dei cittadini e delle cittadine residenti all’estero è composta da oltre 6 milioni 134 mila unità: da tempo, l’unica Italia a crescere continua ad essere soltanto quella che ha scelto l’estero per vivere”. E’ quanto afferma il 19/esimo Rapporto Italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, diffuso oggi.
“Che l’impatto sia differente ed eterogeno – si legge nel Rapporto – è di facile deduzione, ma quanto potente sia la ripercussione dell’attuale emigrazione sui territori già provati da criticità, quali lo spopolamento e la depressione economica, è materia…

ansa

Papa Francesco va alla Gregoriana e delinea la road map culturale per una università più pop: non basta tutta la Chiesa deve evolversi!!!

Papa Francesco va alla Gregoriana e delinea la road map culturale per una università più pop

Papa Francesco che non ha mai fatto mistero della sua allergia per l’erudizione accademica, gli estenuanti dibattiti dei teologi e il sapere cattedratico paludato ha rivolto alla università Gregoriana, l’ateneo dei Gesuiti – che visitato stamattina – l’invito pressante a trasformarsi in un centro di studi più aperto al popolo, sostanzialmente più democratico, dove le conoscenze non devono essere fonte di discriminazioni, né di differenziazioni o di distanze. «C’è bisogno di una università che sia carne di popolo» ha detto sintetizzando il concetto, in un lungo discorso piuttosto inusuale che ha pronunciato per l’inaugurazione dell’accademico.

E’ sembrato una road map operativa. «Meno cattedre, più tavoli senza gerarchie, uno affianco all’altro, tutti mendicanti di conoscenza toccando le ferite nella storia». L’università come «luogo di ricerca per la cultura dell’incontro e non dello scarto, un luogo di dialogo tra passato e presente, tra la tradizione e la vita, tra la storia e le storie». Francesco ha sottolineato, in un altro passaggio, che l’istruzione non deve essere mai un privilegio.

All’ateneo dei gesuiti dove hanno studiato nel corso dei secoli oltre venti santi, Francesco ha evocato la storia gloriosa che ha alle spalle. Adesso si tratta di attrezzarsi per far fronte ad una nuova stagione segnata dalla Intelligenza artificiale e dalla tendenza globale alla polarizzazione, alle divisioni. «Bisogna disarmare le parole e fare attenzione a quando il pensiero scivola nell’ideologia» ha ammonito Francesco. «Deporre le armi, mettere l’altro sullo stesso piano per guardarsi occhi. Disarmarsi: disarmare i pensieri, disarmare le parole, disarmare gli sguardi e poi essere alla stessa altezza per guardarsi negli occhi. Non c’è dialogo tra alto e basso: solo così l’insegnamento diventa un atto di misericordia che produce una doppia felicità: di colui che dà e di colui che riceve».

Infine sulle sfide poste dall’IA al corpo docente, al rettore ha chiesto: «Avete considerato l’ impatto dell’intelligenza artificiale sulla ricerca? Nessun algoritmo potrà sostituire la fantasia, l’ispirazione, l’amore». Da qui l’invito a «camminare nel presente in fiamme, che ha bisogno del nostro aiuto, e tenere in mano il futuro. Insieme: passato, presente e futuro».

Il Messaggero

Gli stipendi da fame che umiliano i prof

È un mestiere delicato, importante come pochi altri. Soprattutto è il mestiere che esige più lungimiranza, cioè un’attitudine che, giorno per giorno, dovrebbe farti guardare al futuro: provare a immaginarlo, a immaginare come costruirlo. A pensare come sarà il mondo quando non ci sarai più tu. Fare l’insegnante è, dovrebbe essere tutto questo, perché significa preparare al mondo le giovani generazioni, fornire loro gli strumenti per diventare adulti in un mondo che sarà diverso da quello presente. Non è questione tanto di vocazione, nel senso che insegnanti si diventa senza necessariamente nascere con questa missione in testa. È questione di una responsabilità immensa, bellissima e non di rado molto faticosa.

Malgrado tutto questo, i dati Ocse appena pubblicati ci dicono che gli stipendi dei nostri insegnanti sono «incredibilmente più bassi, praticamente rispetto a tutto il resto del mondo». L’Italia destina all’istruzione il 4% del Pil contro una media del 5% degli altri paesi d’area Ocse, cioè “avanzati”. Tanti altri sono i dati, pressoché tutti desolanti per noi, del rapporto Ocse, come ha segnalato la deputata Isabella Del Monte di Italia Viva. Abbiamo ad esempio il poco invidiabile maggior divario retributivo di genere dell’area Ocse, nonostante l’evidenza che le donne ottengono migliori risultati nel loro percorso scolastico. E il divario si sta ampliando, invece di assottigliarsi. È, insomma, un quadro della situazione piuttosto triste, che soprattutto non pare dar segni di miglioramento, anzi.

In tale contesto, il “peccato originale” è proprio quello del valore che l’insegnamento ha in Italia, della percezione che la gente ha della categoria di persone cui affida la formazione dei propri figli. L’insegnante è ormai nella grande maggioranza dei casi colui dal quale si va a protestare perché ha assegnato un voto troppo basso a tuo figlio, perché non ha spiegato la lezione come avrebbe dovuto e dunque tua figlia ha sbagliato la versione di latino. Si è perduta quella fiducia nel corpo insegnante che era il presupposto per lasciare in classe i propri figli e consegnarli all’iter scolastico. Ma questa perdita, forse, è il frutto più di un’idea di genitorialità fondata esclusivamente sul principio di protezione incondizionata della prole che delle carenze dei docenti. Ed è un principio molto scivoloso, spesso controproducente.

Ovvio che i figli non vanno mandati allo sbaraglio sempre e comunque. Ma la scuola è per loro il primo, cruciale ingresso nel mondo sociale ed è qui che imparano ad osservare e affrontare i delicati equilibri che la vita ti impone continuamente. In parole povere: scuola significa anche avversità, cose che non vanno come vuoi, inciampi ed errori. La (troppo) assidua partecipazione dei genitori alla scuola e l’incondizionata difesa dei figli nuoce in primo luogo a questi ultimi. E scredita una professione bellissima ma impegnativa, a volte impervia. C’è forse anche questo a monte del fatto che i nostri insegnanti sono così indecorosamente pagati, cioè così poco stimati in una scala di valori che non è soltanto economica.

Perché poi, quando si dice che saranno pure sottopagati ma si fanno tre mesi di vacanze estive e lavorano solo al mattino, si fa finta di sapere che non è questione di tempo “calendarizzato” ma di quello percepito, e che percepiremmo tutti dentro un’aula di scuola, dove un’ora di lezione vera e propria è un concentrato di impegno, attenzione ed esercizio di una responsabilità immensa verso i propri studenti e la società tutta. E che un insegnante vero non smette mai di studiare, quando non è in classe a fare lezione.

La Stampa

Papa è andato a trovare Emma Bonino: bel gesto si, e i veri problemi della Chiesa nel dimenticatoio. Occorrono subito riforme e la riammissione al ministero dei preti sposati

Il Papa è andato a trovare Emma Bonino - RIPRODUZIONE RISERVATA

Papa Francesco questa mattina è andato a trovare a casa Emma Bonino, che era stata recentemente dimessa dall’ospedale

“Una visita di cortesia inaspettata e una piacevole sorpresa”, si apprende da ambienti vicini a Bonino.

Sono stati molti gli incontri tra il Papa ed Emma Bonino in questi anni.

Al centro dei dialoghi soprattutto il tema dei migranti. Nel febbraio del 2016 Papa Francesco incluse Bonino “tra i grandi dell’Italia di oggi”. In questo elenco c’era l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e anche, tra i “grandi dimenticati”, l’allora sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. Napolitano autore di un “gesto di eroicità patriottica”, quando ha accettato l’incarico per la seconda volta. Mentre Bonino “ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa”. E anche se non la pensa come la Chiesa, “pazienza”, disse Francesco, “bisogna guardare alle persone, a quello che fanno”.

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Scaffale basso. I libri rosicchiati del topolino, una piccola luce che accende il mondo

I LIBRI DEL TOPOLINO. IL VENTO. LA MERENDA. MONIQUE FELIX; CAMELOZAMPA; 12,90 CAD.

Onore all’editore Camelozampa che nella sua ricerca di classici contemporanei riporta in Italia dopo decenni di assenza “I libri del topolino” una serie (tre milioni di copie vendute nel mondo, già tradotta in 17 lingue) pubblicata dall’autrice svizzera Monique Felix a partire dal 1980, il cui primo libro è stato premiato nel 1981 con la Mela d’Oro alla Biennale di Bratislava. Formato quadrotto come gli originali, rivisitati con una copertina rigida raffinata e un’emblematica rosicchiatura che lascia intravvedere il protagonista, i libri del topolino sono il classico esempio di quanto ricchi di racconto possano essere i silent book, nati da mani sapienti e genialità indiscusse. La storia con una sequenza quasi cinematografica e un incipit che si ripete in ogni volume, ci presenta il topolino intrappolato nella pagina bianca del libro sotto il titolo, guardare in camera – si direbbe in un video – e incontrare lo sguardo del lettore. Come evadere da quella prigione verrà da sé: che altro può fare un topolino se non rosicchiare la carta? Di pagina in pagina lo vediamo instancabilmente all’opera finché mordicchiato tutto il contorno e abbattuto ogni limite si apre una finestra sul mondo. E allora sì che di nuovo grazie alle pagine del libro, il topolino potrà partire per nuove avventure. In terra, in cielo e chissà anche per mare. Dai 3 anni

IL PICCOLO JACOMINUS. RÉBECCA DAUTREMER; RIZZOLI; 16 EURO

I bambini più grandicelli e gli adulti forse conoscono già molte cose di Jacominus Gainsborough, anche lui ormai un classico contemporaneo. Il coniglio di cui l’artista francese Rébecca Dautremer ha raccontato in vari capitoli tutti scenografici l’intera esistenza, i giorni felici e quelli più complicati da adulto, l’amore della sua vita Dolce Vidoq, i tre figliolini, gli amici, l’inciampo che gli ha lasciato una gamba stramba e lo ha costretto alla gruccia. Insomma tutto il suo mondo; una storia in cui l’imperfezione non deforma il proprio sguardo positivo sull’esistenza avanzando a colpi di flashback, piena di ricordi, avventure, viaggi e riflessioni senza mai concludersi davvero. Quanto fosse carino, tenero, burlone, ingegnoso e tanto altro Jacominus da piccolo lo scopriamo in questo librotto con le pagine spesse cartonate dove il coniglietto in una serie di istantanee che ne descrivono sinteticamente il carattere, appare con i compagni di gioco, coniglietti, topini, pulcini, cagnolini. In realtà bambini, come umanizzato è tutto il mondo che Rebécca Dautremer rappresenta con Jacominus. Dai 3 anni

IO MI PIACCIO COSÌ. ISABELLA PAGLIA; ILLUSTRAZIONI DI FRANCESCA PIRRONE; LA MARGHERITA EDIZIONI; 12,95 EURO

Che cosa sono i difetti? Un nasino un po’ schiacciato, due denti un po’ troppo distanti tra loro, un viso pieno di lentiggini o una macchia scura sulla pelle di un braccio? Gli occhiali sul naso, una cicatrice sulla guancia, un particolare che va oltre quale canone prestabilito? L’esuberanza, la timidezza, la vivacità? Sarebbe meglio sgombrare il campo fin da piccoli e capire che perfezione e normalità applicati all’aspetto fisico o a un tratto del carattere sono due concetti vuoti, anzi ambigui e ingannevoli. Questo albo aiuta a mettere le cose a posto e i puntini sulle i: con un catalogo divertente delle creature animali più varie, ciascuna con la propria caratteristica e la propria unicità, Isabella Paglia racconta – accompagnata dalle illustrazioni allegre e cariche di humor di Francesca Pirrone – la bellezza delle diversità fatte di tanti colori, mille caratteristiche e peculiarità personali. Di quella varietà e perfezione a modo proprio che rendono più ricca la nostra umanità. Una lettura preziosa da condividere a casa e a scuola e su cui lasciare la parola ai bambini. Dai 3 anni

UNA PICCOLA COSA. ALBERTO BENEVELLI; ILLUSTRAZIONI DI LORETTA SEROFILLI; STORIEDICHI EDIZIONI; 16 EURO

A volte basta una piccola cosa per innescare un grande cambiamento, una scintilla per accendere una luce abbagliante, una parola per far ritrovare una fiducia che pareva smarrita. Questa storia, perfetta da leggere ad alta voce prima del sonno, si apre in una notte buia che più buia non si può. La città sembra non solo addormentata, ma reclusa, trincerata dietro le persiane a luci spente, come se gli abitanti si nascondessero impauriti e intristiti da qualcosa. Ed ecco scattare quella piccola, piccolissima cosa. Non si sa di chi sia la voce narrante di questa storia se non all’ultima pagina, ma scopriamo che proprio lo slancio con cui questa creatura si mette in gioco per stanare i barricati in casa scardina le paure e fa sì che pian piano la città di apra alla luce. E gli abitanti, uno per uno con una tranquillità ritrovata, ritornino alla vita consueta. Il racconto di Arturo Benevelli e le illustrazioni di Loretta Serofilli, realizzate ad acquerelli, acrilici e collage, fotografate e poi lavorate in post produzione per dare spessore ai personaggi, ci parlano di gentilezza, generosità e di coraggio nel fare il primo passo per dar vita a un cambiamento. E non solo, perché aprire le finestre significa uscire dall’isolamento, incontrare il vicino di casa e abbandonare il clima di sospetto. Mettere in circolazione un’aria buona di cui abbiamo tutti bisogno di respirare. Dai 3 anni

IL BRUTTO ANATROCCOLO. CON LA MUSICA DI WOLFGANG AMADEUS MOZART. ANNA PEDRAZZINI; ILLUSTRAZIONI DI SERENA VIOLA. CURCI YUNG EDITORE; 16 EURO

Leggere, osservare, ascoltare, cantare attraverso l’intreccio di parole, immagini e musica. Un libro interattivo per un’esperienza multisensoriale: è ciò che consente questa particolare versione de “Il brutto anatroccolo”, l’arcinota fiaba di Andersen, secondo volume dopo “Cappuccetto Rosso” della collana “In punta di dita. Fiabe sonore in movimento” realizzata da Anna Pedrazzini, musicista ed educatrice specializzata nella formazione della prima infanzia, con le illustrazioni di Serena Viola. Grazie a un QR code presente nel libro, la storia del pulcino emarginato per la propria diversità e il suo percorso intrapreso alla scoperta di sé e della propria identità si accompagnano a una versione digitale animata della fiaba visibile sullo smartphone, che ha per colonna sonora brani di Mozart. Minuetti, danze, rondò e sonate, eseguiti al pianoforte scandiscono il movimento delle immagini che a loro volta rappresentano con precisione l’andamento della melodia. Dai 4 anni

da Avvenire

Germania. Governo in bilico, Berlino verso la resa dei conti

L’atmosfera è sempre più tesa. Scholz deve affrontare l'”ultimatum” del ministro delle Finanze, il liberale Lindner
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz – Reuters

da Avvenire

A Berlino è iniziata “la settimana delle decisioni”. Così l’ha definita uno dei due presidenti della Spd, Lars Klingbeil. Per ora il leader del partito socialdemocratico non ha parlato di rottura all’interno della coalizione di governo, ma l’atmosfera nelle stanze del potere di Berlino è sempre più tesa. La quasi crisi interna ha avuto inizio nella tarda serata di venerdì, quando i media tedeschi hanno diffuso a sorpresa un documento di 18 pagine, con cui il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner (Fdp) chiedeva al cancelliere Olaf Scholz (Spd) e al ministro federale dell’economia Robert Habeck (Verdi) “un’inversione totale di marcia economica da parte del governo”.

La vicenda si è tinta di giallo, quando fonti della Fdp hanno rivelato che il documento era trapelato in anticipo, ma ormai il danno, voluto o meno, era fatto, anzi il documento era già sul tavolo del cancelliere Scholz. Nelle 18 pagine Lindner semplicemente chiedeva e chiede ai colleghi della coalizione di governo di rinunciare ad alcuni veri e propri capisaldi delle politiche socialdemocratiche o ambientaliste dei Verdi, controfirmate nell’accordo di governo. Per esempio introdurre sgravi fiscali per le aziende e per piccoli imprenditori, allentare le normative sul clima e sulla riduzione delle emissioni, allungare la vita dei motori a combustione delle automobili, ridurre i sussidi sociali, fino al taglio totale per gli stranieri che non hanno diritto a usufruirne.

Il cancelliere Scholz domenica sera ha prima convocato i vertici del suo partito: Lars Klingbeil, Saskia Esken e il nuovo segretario generale Matthias Miersch. Poi un primo faccia a faccia con Lindner, durato circa tre ore. Klingbeil della Spd non ha chiuso la porta, sottolineando che le proposte del ministro delle Finanze “potrebbero essere discusse e alcune leggi potrebbero eventualmente essere rinegoziate”, ma poi ha tirato una linea rossa: “non possiamo permettere che, in questo momento delicato per la Germania, i ricchi si ritrovino ancora con più soldi in tasca”. I Verdi hanno interpretato il documento di Lindner quasi come un tradimento agli accordi di governo. Il caos mediatico, causato dal documento di Lindner, è stato subito cavalcato dall’Unione Cdu/Csu. Secondo i cristiano-democratici lo scioglimento della coalizione tripartitica di governo sarebbe una vera salvezza per la Germania. Per il presidente della Cdu, Friedrich Merz, candidato cancelliere dei cristiano-democratici: “è necessario un governo federale stabile, soprattutto in vista di una possibile vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali Usa”. Mercoledì, dopo il voto americano, andrà in scena una nuova e forse decisiva riunione di governo tra Lindner, Habeck e il cancelliere Scholz.

 

Stati Uniti. Tutto sul voto Usa: ecco come si vota e quando avremo i risultati

Agli sgoccioli la sfida tra Donald Trump e Kamala Harris: qui quello che vi serve sapere per prepararvi alla grande notte elettorale a stelle e strisce
Tutto sul voto Usa: ecco come si vota e quando avremo i risultati

Ansa

da Avvenire

Siamo ormai al conto alla rovescia finale per le elezioni presidenziali Usa di martedì prossimo, 5 novembre. Il repubblicano Donald Trump da un lato, la democratica Kamala Harris dall’altro: chi vince prenderà il posto, alla Casa Bianca, del presidente uscente Joe Biden. Qui tutto quello che vi serve sapere per prepararvi alla grande notte elettorale a stelle e strisce.

Perché si vota martedì 5 novembre?

Il Congresso ha stabilito nel 1845 che si votasse sempre il primo martedì del mese di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione del presidente. Una scelta del mese legata alle radici fortemente agricole degli Stati Uniti – a novembre si era concluso il raccolto e le strade non erano ancora bloccate dalla neve – e una scelta del giorno legata al fatto che, calcolando che la domenica era dedicata alla chiesa, molti degli elettori che vivevano nelle zone più remote non sarebbero riusciti a raggiungere i centri dove si votava in tempo il lunedì. Secondo la Costituzione i requisiti per diventare presidente sono tre: un’età superiore ai 35 anni, essere nati negli Stati Uniti e risiedervi da almeno 14 anni.

Come si vota?

Il risultato del voto più importante non è quello nazionale, ma di collegio. Il voto popolare è il totale dei voti espressi dai cittadini americani durante le elezioni presidenziali. Ogni elettore vota per un candidato presidente e un candidato vicepresidente. Ma questo voto non determinerà chi andrà alla Casa Bianca, altrimenti nel 2016 avrebbe vinto Hillary Clinton, che aveva ottenuto il 2,1 per cento in più di voti rispetto a Donald Trump. Oppure, nel 2000, Al Gore con il 48,4 per cento avrebbe battuto il Repubblicano George W. Bush, che aveva ottenuto il 47,9. Questo perché, se valesse il numero totale di voti, la California, lo Stato più popoloso d’America con circa 40 milioni di persone, avrebbe un peso sempre maggiore rispetto al Wyoming, che ha 576 mila abitanti, o al Vermont, 643 mila. Per riequilibrare la questione demografico-elettorale, il sistema americano prevede il voto di collegio. Gli Stati Uniti sono divisi in cinquanta Stati e ciascuno ha un certo numero di Grandi Elettori, basato sulla sua rappresentanza al Congresso, cioé numero di senatori più il numero di rappresentanti. In totale ci sono 538 Grandi Elettori, una cifra che si ricava sommando i 435 rappresentanti della Camera, i 100 del Senato e i tre in rappresentanza della capitale, Washington DC. Quando gli elettori votano, stanno in realtà scegliendo i Grandi Elettori, che poi voteranno il candidato presidente che ha vinto il voto popolare nello Stato di cui sono rappresentanti. Il candidato che riceve almeno 270 voti dei Grandi Elettori vince le elezioni.

Come vengono distribuiti i voti?

I voti elettorali vengono aggiudicati all’interno di ciascuno Stato con un sistema maggioritario secco, che viene definito il “winner takes all”. Fanno eccezione Nebraska e Maine, gli unici due Stati che hanno scelto di assegnare i loro voti elettorali, rispettivamente cinque e quattro, con il sistema proporzionale. In tutti gli altri Stati, quindi, il vincitore prende tutto anche se per uno scarto minimo di voti, come hanno dimostrato le elezioni del 2000, quando George W. Bush si è aggiudicato, con un vantaggio di poche centinaia di voti, tutti i 27 voti elettorali della Florida che gli hanno consegnato la Casa Bianca.

Cosa sono gli “swing states”?

“Swing state”, cioè gli Stati che oscillano, gli Stati il cui risultato è in bilico e quindi decisivo per le presidenziali. Il riferimento è al fatto che sono Stati in bilico tra Repubblicani e Democratici, diversi da quelli che tradizionalmente eleggono sempre il candidato di un partito: il Texas è considerato storicamente repubblicano, New York e la California democratici. Gli swing state considerati fondamentali per assegnare la vittoria il 5 novembre, giorno del voto, sono sette: Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Nevada, North Carolina, Georgia e Arizona. Harris nei sondaggi risulta avanti, anche se di poco, nei primi tre, che rappresentano il cosiddetto “blue wall”, il muro blu, dal colore dei democratici, più il Nevada. Il rosso è, invece, il colore che contraddistingue i repubblicani. Secondo le recenti medie dei sondaggi, Trump è avanti in North Carolina, Georgia e Arizona. La notte elettorale saranno da seguire soprattutto questi Stati. Se Harris conquisterà gli Stati tradizionali assegnati ai democratici, avrà bisogno di vincere in Pennsylvania, Michigan, Wisconsin e Nevada per avere la certezza di andare alla Casa Bianca. Viceversa, per la candidata democratica il percorso verso la vittoria sarà molto difficile.

A che ora chiuderanno i seggi?

L’orario di chiusura dei seggi si differenzia nei 50 Stati perché gli Usa hanno 6 fusi orari dalla costa Est sull’Atlantico alle Hawaii nel Pacifico. I primi a chiudere a mezzanotte (ora italiana) saranno Indiana e Kentucky, a seguire all’1 di notte del 6 novembre chiuderanno Florida, Georgia, South Carolina, Vermont e Virginia. Alle 2, tra gli altri, arriverà la chiusura, e le prime proiezioni, di altri due Stati in bilico, Pennsylvania e del Michigan. L’ultimo Stato a chiudere i seggi sarà l’Alaska alle 6 di mercoledì 6 novembre ora italiana.

Come funziona il voto via posta?

Nel 2020 il 43% degli elettori votarono per posta, contro il 20-25% dei precedenti cicli elettorali, sulla base di misure che, nella maggioranza degli Stati, vietava di aprire e controllare la validità di questi voti prima dell’Election Day. Da qui gli enormi ritardi nello spoglio di questi voti, ritardi che alimentarono teorie del complotto. Anche quest’anno è prevista una percentuale alta di voto per posta, per questo sono state cambiate le regole e quasi tutti gli Stati ora permettono di aprire e controllare la validità dei voti per posta prima dell’Election Day. Tra gli stati chiave, Michigan, Nevada – dove la maggioranza degli elettori vota per posta – Arizona, Georgia e North Carolina permettono di processare prima dell’election day il voto per posta. Questo però non avverrà in Wisconsin e, cosa ancora più importante, in Pennsylvania, considerato il più cruciale degli stati chiave. In questi due stati non sarà possibile aprire le buste che contengono i voti per posta prima del 5 novembre.

Cosa succede se nessun candidato ottiene la maggioranza?

In caso di parità tra i due candidati all’interno del Collegio elettorale, la decisione viene demandata alla Camera dei rappresentanti, che sceglie il presidente fra i tre candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti elettorali. La delegazione di ciascuno Stato alla Camera deve esprimere un solo voto, e se non riesce ad avere una maggioranza al suo interno, il suo voto non verrà conteggiato. Diventa presidente chi ottiene la maggioranza dei voti degli stati, che è 26. Le elezioni presidenziali sono state decise due volte dalla Camera: nel 1800, quando Thomas Jefferson e Aaron Burr ottennero ciascuno 73 voti del Collegio Elettorale e Jefferson vinse solo al 36esimo ballottaggio; nel 1824, invece, Andrew Jackson ottenne 99 voti elettorali, John Quincy Adams 84, William Crawford 41 e Henry Clay 37. Dal momento che nessuno aveva raggiunto la maggioranza, decise la Camera e vinse Jackson al primo ballottaggio.

I grandi elettori possono cambiare idea?

Nella storia americana, anche più recente, non sono mancati questi “tradimenti”. Nel 1988, per esempio, Margaret Leach, grande elettrice del candidato democratico Michael Dukakis – che fu nettamente sconfitto da Ronald Reagan – votò invece per il candidato alla vicepresidenza, il senatore Lloyd Bentsen. Nel 1976 un grande elettore repubblicano dello stato di Washington invece di votare per lo sconfitto Gerald Ford votò, anticipando i tempi, per Reagan. Anche nel 2000 ci fu una sorpresa, ininfluente ai fini dei risultati: in segno di protesta per il modo in cui era stata condotta l’elezione un grande elettore di Al Gore votò scheda bianca.