Celibato dei preti, una disciplina legale da ripensare affiancando la riforma del sacerdozio con la riammissione al ministero dei preti sposati

Comunicato Stampa – Roma 20 Dicembre 2025
Tema di dibattito ricorrente, il celibato dei preti è questione soggetta a diversi fraintendimenti. Il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati, fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone, ha rilanciato alcune idee della teologa francese Marie-Jo Thiel, che ha dedicato un libro alla questione, la disciplina del celibato non dovrebbe più essere obbligatoria, ma facoltativa. Lo argomenta in una intervista pubblicata dal sito della rivista La Vie ( 9 ottobre 2024). Marie-Jo Thiel (1957) è teologa, medico di formazione e professoressa di etica e teologia morale alla Facoltà di Teologia cattolica, nonché direttrice del CEERE (Centre européen d’enseignement et de recherche en éthique) dell’Università di Strasburgo.
In un mondo secolarizzato, il celibato dei preti suscita molta incomprensione e numerosi malintesi. Ancora di più da quando gli scandali di violenze sessuali nella Chiesa scandiscono l’attualità. All’interno della Chiesa cattolica romana, la questione viene regolarmente rimessa sul tavolo, soprattutto da parte dei laici, anche se è stata esclusa dalle discussioni del Sinodo sulla sinodalità. Oggi molti fedeli immaginano un legame diretto tra il celibato dei preti e le violenze sessuali commesse da alcuni membri del clero. Don Giuseppe Serrone (per 10 anni parroco e successivamente, dopo le dimissioni e la dispensa dagli obblighi del celibato, sposato con matrimonio religioso) apprezza il contributo della teologa francese: “il celibato non è la causa diretta degli abusi, ma contribuisce a una certa visione del prete che può favorire un terreno propizio all’abuso. Vivere in coppia non ha mai impedito di commettere violenze. Nonostante questo, il malinteso persiste. E penso che molti membri della Chiesa stessa contribuiscano a mantenerlo quando confondono celibato, continenza e castità, la castità che riguarda tutti i fedeli, qualunque sia il loro stato di vita. Il teologo Xavier Thévenot lo diceva in modo mirabile: castus è il contrario di incastus (incesto). L’incesto è la fusionalità là dove dovrebbe esserci una separazione. La continenza consiste nell’astenersi dai rapporti sessuali. Il celibato significa non essere sposati. Si può dunque essere celibi senza essere casti e continenti. Ogni vita consacrata è una grazia straordinaria, ma talvolta si dimentica che anche il matrimonio è una grazia. La cultura clericale, che pone il prete al di sopra dei laici creando una dissimmetria, può essere un pendio scivoloso verso il rischio di violenze sessuali. Tale cultura è favorita dall’obbligo del celibato, uno sforzo che colloca la persona su un piedistallo rispetto ai laici, favorisce lo stare tra pari e talvolta un sentimento di superiorità che porta a un’infantilizzazione dei fedeli. A ciò si aggiungono abusi di potere, una frequente minimizzazione o addirittura discriminazione delle donne, e poi la difficoltà ad assumere la propria vulnerabilità… l’obbligo del celibato è una questione non è dell’ordine del dogma, ma della disciplina. L’esigenza del celibato non è dunque immutabile. Ed è legittimo esaminare se sia ancora giustificata o meno. Analizzandola nel dettaglio, teologicamente potremmo oggi giungere alla conclusione che il celibato è un’opzione possibile per alcuni, dopo il discernimento, ma che non dovrebbe essere obbligatorio per essere preti. Le Scritture e la tradizione della Chiesa non possono essere invocate per costringere i preti al celibato. All’inizio, Gesù si è comportato in modo estremamente aperto con gli uomini e le donne del suo tempo. Ha fortemente relativizzato tutto ciò che riguarda la sacralizzazione religiosa: per lui l’essere umano viene prima, non il sabato. Di tale convinzione, Paolo di Tarso è uno dei primi destinatari. Egli organizza le prime comunità cristiane, una ventina d’anni dopo la morte di Gesù, a partire dall’uguaglianza battesimale. Dopo la morte di Paolo, le donne vengono nuovamente marginalizzate, sempre più escluse, allontanate dall’altare, considerate fonti d’impurità… Verso l’anno 200 la verginità prende il sopravvento sul matrimonio, che viene squalificato. La cultura monastica, in piena espansione, serve da modello a una preferenza per il celibato dei chierici. E a metà del III secolo, coloro che riescono a mantenere continenza, castità e celibato sono considerati superiori ai laici. Il controllo della sessualità diventa un segno del controllo richiesto per il governo della Chiesa. La Chiesa potrà riformarsi solo riflettendo su una nuova lettura della Scrittura riguardo al tema dei ministeri e dei carismi. Bisognerebbe dissociare il carisma del celibato da quello del sacerdozio.
Come prete già sposato nella Chiesa cattolica romana (esistono anche gli orientali, i vedovi o i ministri di altre Chiese cristiane divenuti cattolici)! – continua don Serrone – mi rendo conto che, alla fine, la vita familiare non è un problema. Essere sposato consente al prete di comprendere meglio i fedeli. E il sacerdozio può convivere con una professione, a condizione che non sia troppo invasiva. La vocazione può irrorare il lavoro che dà da vivere. Celibato e matrimonio sono modi di seguire Cristo. E per un prete poter parlare la sera con un coniuge, condividere le gioie della famiglia, può aiutare ad alleviare le tensioni.
Don Giuseppe Serrone dal 2002 è sposato e ora vive ritirato con la sua famiglia, nel servizio alla comunità di fedeli dove si trova domiciliato. Continua a lavorare nel campo educativo.






