Incontri sacerdoti sposati per la riforma della Chiesa

Di seguito  il Calendario Incontri 2025 

–  7 Dicembre 2025 – Verbania

– I meeting sono con costi vitto e alloggio e spese di viaggio a carico di tutti i partecipanti. Per iscrizione all’incontro dopo aver versato quota annuale di 50 Euro (solo per i non iscritti al Movimento) scrivi a sacerdotisposati@gmail.com  

Programma: 

Ore 10 Incontro

Ore 11,30 – 12,30: colloqui personali

Ore 13 Pranzo insieme in ristorante del posto (Costo a carico dei partecipanti per il Pranzo 35 Euro)

La redazione 

(Effettuare pagamento da qui versando quota di iscrizione di 50 euro e inviare comunicazione dell’avvenuto pagamento sacerdotisposati@gmail.com )

Dove va la Chiesa cattolica?

Lo scalpore che ha suscitato l’intervento di Giorgia Meloni al Meeting di Rimini, con le sue lodi sperticate, tra le ovazioni dei presenti, per l’impegno di Comunione e Liberazione in politica in netto contrasto con la «scelta religiosa» dell’Azione cattolica, ha subito riportato a questioni che sembravano archiviate definitivamente.

Azione cattolica e Cielle

Personalmente ho pensato a un rigurgito della vecchia guardia di Cielle. Un rigurgito, cioè, da parte di chi ha steso un testo di quel tenore (non certamente farina del sacco di Meloni) perché, dopo oltre sessant’anni, non ha ancor oggi digerito l’allora estromissione di Gioventù Studentesca (GS) dall’Azione cattolica, estromissione voluta dall’arcivescovo di Milano Giovanni Colombo in accordo con Paolo VI.

Don Giussani, come si sa, non aveva nessuna intenzione di fondare un nuovo movimento nella Chiesa. Il suo obiettivo era piuttosto quello di impossessarsi dell’Azione cattolica, riformandola dal suo interno: un’AC da lui giudicata troppo ingessata, frenata dalla sua pesante struttura organizzativa, incapace di offrire ai giovani una proposta forte di incontro con la persona di Gesù.

Giussani era talmente convinto di questo che arrivò fino al punto di chiedere alla Conferenza episcopale italiana di allora che GS non fosse considerata un’esperienza «accanto all’Azione cattolica» ma, come ebbe modo di spiegare ai suoi, un’esperienza «dell’Azione cattolica, come siamo sempre stati».

Il suo disegno – per fortuna – non andò in porto, e fu costretto a dar vita ad un movimento a sua immagine e somiglianza. I giovani ciellini di allora, a lui più vicini (rimasti laici oppure diventati preti, vescovi o cardinali) rimasero però ancorati a quell’idea, mai digerita appunto, e dopo una vita intera rigurgitano ciò che ancora è rimasto loro sullo stomaco.

È più che evidente che quel pezzo del discorso di Meloni lo abbia scritto un reduce di quella esperienza, oggi ghost writer del governo in carica, dopo esserlo stato di altri governi di centrodestra. E bene ha fatto Rosy Bindi che su Avvenire ha rimesso il campanile al centro del villaggio, seguita da altri interventi che si sono successivamente succeduti come quello – ineccepibile – di Marco Vergottini su SettimanaNews, che ha richiamato le differenze sostanziali e pastorali tra AC e CL.

Devo però confessare che leggere queste cose oggi mi fa uno strano effetto. Mi riportano a un tempo (per noi entusiasmante) che non c’è più. A un passato che crediamo esista ancora, intatto come allora, ma che in realtà è solo nella vita di chi l’ha vissuto, e che ha ormai superato ampiamente i sessanta, settanta, ottant’anni.

La realtà della Chiesa, oggi, è un’altra. Così come lo sono i problemi che la dividono. Davvero crediamo ancora (come il reduce ciellino autore del testo letto da Meloni) che esista una contrapposizione tra AC e CL così come l’abbiamo vissuta mezzo secolo (e più…) fa?

Chi partecipa alla vita del movimento o a quella associativa in parrocchia e nelle diocesi, non sa nulla delle dispute teologiche o pastorali di allora, così come non ci sono molte occasioni di incontro (o di scontro) tra gli appartenenti alle due organizzazioni.

Le generazioni postconciliari, poi, a partire dai papaboys di Giovanni Paolo II (pure loro ormai maturi e attempati…), neppure sanno cosa siano la scelta religiosa o l’impegno politico dei cattolici. Forse neppure sanno cos’è il Concilio Vaticano II così come lo abbiamo letto, studiato, approfondito, conosciuto, difeso e annunciato noi boomers cattolici. Per loro è solo storia della Chiesa (come lo fu per noi il Vaticano I) e non documento vivo, punto di riferimento imprescindibile per la pastorale e la liturgia, per la presenza nella società e per il dialogo ecumenico.

Crisi della Chiesa e il vecchio che avanza

La realtà della Chiesa di oggi è diversa: sociologicamente, politicamente, ecclesialmente.

Sociologicamente assistiamo – come ovunque in questa epoca – ad un ritorno al privato, ad un individualismo vissuto come chiusura a nuove esperienze comunitarie di impegno e di accoglienza. Restano attive (molto attive, per fortuna) quelle iniziative sorte negli anni Settanta da preti di strada e da vescovi intraprendenti. Ma nuove opere che rispondano ai bisogni di povertà e di emarginazione ne nascono raramente.

Anche il tempo dello stato nascente o dell’«effervescenza collettiva» – come la definiva Durkheim –, che diede vita alla stagione dei nuovi movimenti, è finito. Basta guardare ad alcune iniziative del mondo cattolico promosse nelle parrocchie o nelle piazze per notare come la partecipazione, quando c’è, è anagraficamente riconducibile al secolo scorso.

La realtà della Chiesa è diversa anche politicamente. Un gran numero di cattolici (vescovi e cardinali compresi…) rimangono affascinati e ammirati da politiche identitarie, che brandiscono rosari e statue della Madonna, che prendono a modello autocrati capi di Stato, che sventolano bandiere e invocano Gesù Cristo per dare battaglia (fisicamente, non solo metaforicamente) a stranieri, musulmani, gay, lesbiche, woke, abortisti… Basta guardare alla Francia o all’Italia, per domandarsi da quale elettorato traggano sostegno leader e partiti che raccolgono oggi maggioranze di destra.

Ma la realtà della Chiesa di oggi è diversa anche – e soprattutto – ecclesialmente. Stiamo assistendo al vecchio che avanza. Come un fiume carsico, infatti, il movimento tradizionalista che si pensava incanalato tra gli argini della corrente lefebvriana, è riemerso con particolare risalto in molte realtà ecclesiali, soprattutto in Francia, Svizzera, Stati Uniti, Spagna, Germania e Italia, come anche evidenziato, proprio su SettimanaNews, dal politologo austriaco Thomas Schmidinger.

Parroci che celebrano la messa con le spalle rivolte ai fedeli. Preti che impongono nelle loro parrocchie riti in latino. Ragazze che assistono col velo in testa e giovani che si inginocchiano con le mani giunte per ricevere la Comunione in bocca. Ma soprattutto – e questo dovrebbe far riflettere – chiese che si riempiono di giovani con queste caratteristiche mentre tutte le altre restano vuote. Scene ormai ricorrenti, che i più anziani non vedevano da sessant’anni e che si ripresentano con sempre maggiore frequenza anche nelle nostre parrocchie.

In occasione dell’ultima Pasqua, la Francia ha assistito a un record di battesimi: 10.384 adulti (il 45% in più rispetto all’anno prima e il 60% in più in dieci anni) e oltre 7.400 adolescenti tra gli 11 e i 17 anni. Fenomeni simili sono stati osservati nella Svizzera francese dove si conferma l’aumento del numero di catecumeni. In diverse località, la partecipazione a celebrazioni particolari è aumentata in modo significativo. Un incontro per cresimandi, tenutosi recentemente a Ginevra, città di Calvino, ha registrato un’affluenza record.

Il comun denominatore di queste manifestazioni, che qualcuno potrebbe considerare confortante, è che questo riavvicinamento ad una rinnovata pratica religiosa è legata a un movimento tradizionalista che avanza, soprattutto nei grandi centri urbani.

Cosa sta, dunque, accadendo nella Chiesa cattolica? Sembrerebbe un nostalgico ritorno al passato, se protagoniste fossero persone anziane che non hanno mai accettato le riforme liturgiche del Concilio Vaticano II. Invece ci si accorge che, a ripescare antiche liturgie, addobbi impolverati riposti nei depositi parrocchiali, comportamenti che si pensavano abbandonati, sono preti di fresca ordinazione e giovanissimi fedeli. È una nuova generazione di cattolici che avanza guardando a un passato che non hanno mai vissuto e quindi che per loro è novità. Non è quindi un ritorno al passato ma un «ritorno al futuro».

È un fenomeno non organizzato in strutture definite, ma piuttosto spontaneo e informale. Un fenomeno che, però, si va diffondendo in modo crescente. Non tanto per il numero di persone che vi aderisce (nelle realtà locali sono ancora pur sempre una minoranza, anche se in aumento) quanto per diffusione sul territorio. Sono fedeli che – pur non frequentando le messe tridentine – si comportano nelle nostre chiese secondo norme liturgiche ormai in disuso o addirittura abolite. Comportamenti spontanei, alimentati da sempre più numerosi preti (giovani preti, appunto) che reintroducono gesti, culti, pratiche, suppellettili, vesti e ornamenti sacri che l’ultimo Concilio aveva raccomandato di eliminare.

A tutto ciò va aggiunto, cosa impensabile fino a pochi anni fa, che in ogni diocesi ci sono luoghi di culto dove viene autorizzata la celebrazione della messa vetus ordo e che diventano punto di riferimento e di ritrovo sistematico.

Altri riti tridentini avvengono, senza autorizzazione, in località dove, da un giorno all’altro, fedeli comuni si ritrovano ad assistere a incomprensibili liturgie in latino, creando in loro non poche perplessità. E a un cardinale di Santa Romana Chiesa viene autorizzata la celebrazione della messa preconciliare in San Pietro, cuore della cristianità.

Oltre il folclore, il rischio di dividere

Ora, non è di per sé molto importante se qualche nostalgico celebra in privato messe preconciliari rimpiangendo ciò che magari non ha mai vissuto perché nato molto anni dopo il Concilio. Sono gusti personali, così come può essere semplicemente liquidato come folclore religioso il riproporre in chiesa riti, vesti, inni e paramenti scomparsi da oltre mezzo secolo.

Ciò che invece comincia a preoccupare è quando tutto ciò viene imposto a un’intera comunità parrocchiale da un singolo prete, creando sorpresa, sconcerto, divisione, abbandono e dispersione. È una visione di Chiesa che preoccupa perché rompe la comunione e incrina l’unità della Chiesa stessa, in nome di una tradizione male interpretata. Per dirla con Gustav Mahler, «fedeltà alla tradizione è custodia del fuoco, non adorazione delle ceneri». Di fronte a questi rigurgiti del movimento tradizionalista sembra si sia arrivati invece ad adorare ciò che è morto, piuttosto che tener vivo ciò che è risorto.

Un mondo in transizione

Questi fenomeni indicano una tendenza ma, nello stesso tempo, sono indice di una Chiesa che non ha ancora chiaro davanti a sé il cammino da intraprendere. È un periodo di transizione verso un modello di Chiesa, ma soprattutto di cristianità, che non è più e nello stesso tempo non è ancora.

Ritornano alla mente riflessioni del passato che oggi sembrano profetiche. A cominciare dal celebre testo del giovane teologo Joseph Ratzinger che, nel 1969, scriveva: «Dalla crisi attuale emergerà la Chiesa di domani – una Chiesa che avrà molto perso. Sarà di una taglia ridotta e dovrà ripartire da zero. Non sarà più in grado di riempire tutti gli edifici costruiti durante il suo periodo prospero. Con la riduzione del numero dei fedeli, perderà numerosi privilegi. Contrariamente al periodo anteriore, la Chiesa sarà percepita come una società di persone volontarie, che s’integrano liberamente e per scelta. In quanto piccola società, sarà condotta a fare molto più spesso appello all’iniziativa dei suoi membri».[1]

Ma ancor più spiazzante è quanto scriveva Emmanuel Mounier nel 1946 di fronte ad una società del dopoguerra intrisa di un cristianesimo onnipresente e onnipotente («i giorni dell’onnipotenza» li avrebbe descritti Mario V. Rossi…), che già mostrava in Francia i segni della sua contraddizione, che è la natura stessa, la natura paradossale del Regno: disarmato e trionfante, inafferrabile e radicato.

Le parole di Mounier sembrano descrivere in modo impressionante la fotografia della realtà odierna: «Il cristianesimo non è minacciato di eresia: non appassiona più abbastanza perché ciò possa avvenire. È minacciato da una specie di silenziosa apostasia provocata dall’indifferenza che lo circonda e dalla sua propria distrazione. Questi segni non ingannano: la morte si avvicina. Non già la morte del cristianesimo, ma la morte della cristianità occidentale, feudale e borghese. Una cristianità nuova nascerà domani, o dopodomani, da nuovi strati sociali e da nuovi innesti extraeuropei. Ma bisogna che noi non la soffochiamo con il cadavere dell’altra».[2]

Che la salvezza della Chiesa possa davvero venire non già da un nostalgico ritorno al passato (o al futuro…) ma piuttosto dai poveri, dagli emarginati, dai migranti che hanno “invaso” le nostre terre? Bisogna però non soffocarla con la cristianità raccontata da Meloni.

vinonuovo.it

Se i più belli al mondo diventano preti, suore e seminaristi

più belli al mondo

Storie recenti di modelli e top model tra i più belli al mondo che abbandonano la vanità e decidono di intraprendere la vocazione religiosa.

Quando la vanità non vince e i più belli del mondo prendono i voti religiosi.

Negli ultimi anni stanno emergendo storie sorprendenti di giovani che, dopo aver calcato passerelle, set fotografici e concorsi di bellezza, hanno scelto una strada totalmente diversa: quella della vocazione religiosa.

Si tratta di vicende umane molto diverse tra loro, ma accomunate da un punto centrale: la scoperta di una fede capace di cambiare la vita e riempirla di un significato che la bellezza estetica, le luci dei fotografi e i commenti estasiati del mondo non riescono a offrire.

 

La suora più bella del mondo

Una delle testimonianze più note in questo periodo è Kamila Rodrigues Cardoso.

Ex modella brasiliana, ha partecipato a concorsi nazionali come Miss Brasile e Miss Universo ma, a soli 18 anni e dopo un periodo difficile segnato dalla morte del padre e da problemi personali, ha rivalutato le priorità della vita e ha scelto di entrare in convento.

Oggi è conosciuta come Suor Eva e continua a comunicare con migliaia di giovani attraverso i social, non rinnegando il proprio passato ma mostrando come anche un percorso di bellezza e immagine possa sfociare in una vita consacrata autentica.

«Dare il meglio di sé a Gesù», dice, significa anche curare la propria presenza senza perdere spiritualità.

La Madre Superiora le consente l’uso di prodotti cosmetici, purché esaltino la sua bellezza naturale. Un dono che le permette di avvicinare moltissime persone, abbattendo pregiudizi sulla Chiesa anche in contesti lontanissimi da quelli ecclesiastici.

più belli al mondo

Edoardo, il più bello d’Italia

C’è poi la storia italiana di Edoardo Santini, proclamato “il più bello d’Italia” nel 2019.

Aveva davanti una fiorente carriera artistica: ballo, recitazione, moda. Ma, pur crescendo in una famiglia anticlericale, «dentro di me c’era sempre una lotta»ha dichiarato«In tutto ciò che facevo sentivo la necessità di trovare un senso più profondo nelle cose».

L’agnosticismo illuminato dei genitori e il dibattito con una professoressa atea durante il Covid hanno scavato in lui e nel 2021 è arrivato l’incontro con don Alberto Ravagnani e il suo gruppo giovanile “Fraternità”.

Con altri due sacerdoti e sotto la guida dell’arcivescovo di Firenze, mons. Betori, ha voluto approfondire la vocazione al sacerdozio ed ha chiesto di entrare in seminario.

Il caso è diventato di dominio pubblico, arrivando in televisione con Fiorello che ha strumentalizzato una foto sexy del giovane. Luciana Littizzetto ha scherzato: «Che spreco un prete così bello».

più belli al mondo

Il modello influencer entra in seminario

In Spagna c’è il modello influencer Pablo Garcia, 35 anni.

«Per me inizia una vita radicalmente diversa», ha annunciato sui social Garcia, «tra poche settimane entrerò in seminario. Se Dio vuole, un giorno sarò un sacerdote».

Il video dell’influencer è stato visualizzato da oltre due milioni di utenti in 24 ore, ricevendo migliaia di commenti.

Ha tuttavia precisato che avrebbe interrotto l’uso dei social, spegnendo i riflettori sulla sua vita. «Non so se tornerò», ha detto ai suoi 650mila follower, ma vi chiedo di pregare per me».

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Miss Universo e la fede

Proprio ieri è stata proclamata la nuova Miss Universo, si tratta di Fátima Bosch e, al contrario dei colleghi citati sopra, non ha intrapreso un percorso vocazionale.

Modella venticinquenne, originaria di Tabasco, ha fatto recentemente notizia a livello internazionale per aver abbandonato l’evento dopo essere stata chiamata “stupida” dal direttore, accusata di aver saltato uno shooting con gli sponsor.

Intervistata dai media principali, ha sorpreso molti parlando liberamente della fede e raccontando in diverse occasioni come il suo rapporto con Dio abbia guidato ogni passo della sua vita.

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Miss Germania e la teologia

Un altro volto noto è quella di Kira Geiss, Miss Germania 2023.

A differenza dell’immagine classica della reginetta di bellezza, Kira è cristiana evangelica e studia teologia presso la Evangelische Missionsschule.

La fede, racconta, è arrivata in adolescenza e le ha aperto un orizzonte nuovo: non più solo competizione, estetica o visibilità, ma il desiderio di costruire comunità, ascoltare i giovani e servire il prossimo.

Kira continua a usare la popolarità conquistata nei concorsi, ma lo fa per diffondere messaggi positivi, di fede e impegno sociale.

più belli del mondo

E’ sempre interessante scoprire come la vocazione può germogliare anche in mondi come quelli della moda e del dominio della vanità, apparentemente così lontani da quelli della fede.

Invece è proprio lì che molti scoprono che la bellezza più grande non si misura in centimetri di passerella, ma nella scelta di donare la vita a Dio e agli altri.

UCCR