Ucraina. L’orrore di Bucha tre anni dopo: «Vogliamo giustizia»
undefined – ANSA
avvenire
La cittadina alle porte della capitale Kiev era stata assediata dai russi dal 24 febbraio al 31 marzo 2022. Oggi le celebrazioni al memoriale che contiene i resti delle oltre 630 vittime civili
Nella notte che ha preceduto l’anniversario della liberazione di Bucha dall’occupazione Russa, l’esercito di Mosca ha lanciato 111 droni e almeno un missile balistico contro l’Ucraina. La difesa aerea di Kiev ne ha abbattuti 65. Gli altri 56 erano in parte droni esca, lanciati per confondere la contraerea, e in parte sono precipitati sugli obiettivi. Soltantoo a Kiev l’allarme aereo ha superato la durata di 7 ore dalla tarda sera di domenica all’alba di lunedì. Nelle stesse ore un attacco di droni iraniani Shahed su Kharkiv ha provocato due morti e 55 feriti, tra cui cinque minorenni. Il raid ha preso di mira anche strutture sanitarie. La trattativa con Trump aveva inizialmente all’ordine del giorno una tregua limitata al Mar Nero per consentire la riapertura del corridoio marittimo del cereali ucraini. Al momento non c’è però traccia dell’intesa, così come si è arenato il negoziato Washington-Kiev per le terre rare. Fonti diplomatiche affermano che potrebbe sbloccarsi nei prossimi giorni. A far temere che un cessate il fuoco sia solo un modo per prendere tempo e riorganizzare le forze lo confermano altre notizie da Mosca. Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato l’ordine di coscrizione di primavera. Il richiamo per la leva obbligatoria riguarderà i giovani di età compresa tra 18 e 30 anni che non sono riservisti, per un totale di 160.000 uomini informano le agenzie di stampa russe. Il ministero della Difesa assicura che i militari di leva «non saranno impiegati nella operazione speciale».
Le tracce della brutale occupazione russa a Bucha bisogna andarle a cercare. In tre anni le case spazzate via dai cannoni di Mosca sono state ricostruite, i tetti riparati. La fossa comune dove furono gettati i corpi della gran parte dei 637 civili nel primo mese di guerra, ora è un memoriale dove nei giorni in cui la politica se ne sta alla larga dalle cerimonie in diretta tv, la gente di Bucha viene a depositare fiori e a versare lacrime. Aspettando notizie certe da Mosca e Washington.
Dopo che Trump ha detto di essere «molto arrabbiato» con Vladimir Putin, dopo che questi ha minato alla credibilità di Zelensky, il leader ucraino che poche settimane prima era stato pubblicamente umiliato dallo stesso Trump alla Casa Bianca, il Cremlino ha fatto sapere che gli Stati Uniti e la Russia lavorano a un possibile accordo di pace in Ucraina e alla ricostruzione di relazioni bilaterali. Trump aveva minacciato l’imposizione di dazi dal 25% al 50% sugli acquirenti di prodotti petroliferi russi, se avesse avuto certezza che Mosca sta sabotando i piani per porre fine al conflitto. Una telefonata tra Trump e Putin potrebbe essere organizzata con breve preavviso, fanno sapere fonti delle rispettive diplomazie. «Non si rimangerà la parola data», dice il tycoon ancora una volta tendendo la mano allo zar.
A sorpresa il presidente Zelensky ha messo in giro la voce secondo cui si potrebbero organizzare elezioni entro l’estate. Una doppia sfida a Putin e Trump. Entrambi hanno messo in discussione la legittimità del leader ucraino, che sarebbe pronto a ricandidarsi che ancora gode di sondaggi favorevoli. Un problema in più per il Cremlino, che proseguendo i raid dovrebbe fronteggiare l’accusa di aver impedito il voto che necessità quantomeno di un cessate il fuoco stabile.
Il presidente Volodymyr Zelensky, la first lady Olena Zelenska e le delegazioni di due dozzine di Paesi hanno percorso i 15 chilometri da Kiev a Bucha per onorare la memoria delle vittime. C’erano rappresentanti dei parlamenti di Belgio, Regno Unito, Danimarca, Estonia, Islanda, Spagna, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Polonia, Portogallo, Slovenia, Finlandia, Croazia, Repubblica Ceca, Svezia e del Parlamento europeo. Nessuno dall’Italia. Gli Usa hanno mandato il pastore Mark Burns, consigliere spirituale del presidente Trump.
Ricominciare non è come cambiare canale. Il dolore e lo spavento lascia segni che non andranno più via. Una donna piomba sulla piccola folla urlando e piangendo. Non ne può più dei capricci della burocrazia che la manda avanti e indietro per ottenere un sussidio. Se potesse glielo direbbe in faccia al presidente Zelensky, giunto a Bucha per celebrare la fuga della soldataglia russa tre anni fa. Quando la ritirata apparve come lo tsunami che si ritrae lasciando solo morte e macerie.
Davanti alla città ricostruita alla svelta lungo le vie imbellettate alla svelta per non sfigurare nella giornata istituita per non dimenticare, il presidente Volodymyr Zelensky ha detto che «il mondo ha visto cos’è veramente l’occupazione russa: persone uccise per strada, persone torturate, tombe nei cortili di case comuni. Da allora, nessuno può dire di non sapere cosa sta difendendo l’Ucraina».
Le vie principali sono quelle che oramai chiamano “via crucis di Bucha”: il tombino dentro a cui fu gettato il corpo crivellato del borgomastro, il marciapiede sul quale per giorni rimase il cadavere di un vecchietto colpito alle spalle mentre pedalava verso casa. Non era permesso uscire allo scoperto anche solo per mettere un lenzuolo sopra a quello che restava di una vita.
Il cimitero di Bucha racconta i crimini tomba dopo tomba. «Finché non avremo giustizia per loro Bucha non potrà dirsi liberata». È il mantra della città brutalizzata senza che vi fosse neanche il tempo di organizzare la resistenza armata dall’interno. Lo ripete chi dalle finestre di casa ha visto i carri armati inseguire e schiacciare le utilitarie. Chi non ha potuto fare altri che rintanarsi nelle cantine dopo aver osservato i soldati sfondare la porta d’ingresso dei vicini, e trascinare fuori il capofamiglia, fucilato in giardino davanti alla moglie. E quel che hanno fatto a lei lo spiegano abbassando il capo e portandosi le mani alle orecchie.
La tragica Spoon River della cittadina appena fuori Kiev racconta l’assedio giorno dopo giorno, dal 24 febbraio al 31 marzo 2022. Le date di morte sono la cronologia dell’occupazione. Le lastre di marmo scure coprono intere famiglie. I genitori con i figli, seppelliti insieme. A decine, nel piccolo camposanto che in pochi mesi ha dovuto quadruplicare i lotti. Era il villaggio diventato città da 30 mila anime, dopo che tante giovani famiglie dalla vicina capitale si erano trasferite per comprare una piccola dacia nel pacifico verde della grande periferia, e sfuggire al caos della metropoli. Alcune sono andate via. Altre tornano per non scappare via per sempre da quello che non si potrà mai cancellare.
«Saremo liberi quando avremo avuto giustizia per quello che ci hanno fatto», chiariscono i residenti che nella nebbia del primo mattino attendono spazientiti che gli impiegati dell’esercito esaminano le loro istanze. A un uomo di mezza età congedato dal servizio militare a causa di una invalidità, è stata recapitata la lettera di richiamo nelle forze armate. «Mi dicano come dovrei combattere, con le stampelle?», domanda agli altri in coda con lui. Un monumento nei pressi delle fosse comuni sarà realizzato a breve, annuncia il sindaco Anatoliy Fedoruk. Racconterà la storia di 33 giorni di occupazione. «Un corridoio scenderà sottoterra prima di riemergere alla luce, un viaggio dalla paura alla speranza».