Buon Natale. Silenzio di meraviglia e adorazione
«Il Natale ci ricorda che Gesù è venuto a rivelarci il vero volto di Dio come Padre, perché potessimo diventare tutti suoi figli e quindi fratelli e sorelle tra di noi»
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«Il Natale ci ricorda che Gesù è venuto a rivelarci il vero volto di Dio come Padre, perché potessimo diventare tutti suoi figli e quindi fratelli e sorelle tra di noi»
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Dagli Atti degli Apostoli
At 6,8-10.12; 7,54-60
In quei giorni, Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo. Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al Sinedrio.
Tutti quelli che sedevano nel Sinedrio, [udendo le sue parole,] erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano. Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio».
Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 10,17-22
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani.
Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi.
Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato».

Letture del Giorno
Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaìa
Is 52,7-10
Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace,
del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza,
che dice a Sion: «Regna il tuo Dio».
Una voce! Le tue sentinelle alzano la voce,
insieme esultano,
poiché vedono con gli occhi
il ritorno del Signore a Sion.
Prorompete insieme in canti di gioia,
rovine di Gerusalemme,
perché il Signore ha consolato il suo popolo,
ha riscattato Gerusalemme.
Il Signore ha snudato il suo santo braccio
davanti a tutte le nazioni;
tutti i confini della terra vedranno
la salvezza del nostro Dio.
Seconda Lettura
Dalla lettera agli Ebrei
Eb 1,1-6
Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.
Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato.
Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio».
Vangelo del Giorno
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 1,1-18
In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Venne un uomo mandato da Dio:
il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone
per dare testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
Non era lui la luce,
ma doveva dare testimonianza alla luce.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
Giovanni gli dà testimonianza e proclama:
«Era di lui che io dissi:
Colui che viene dopo di me
è avanti a me,
perché era prima di me».
Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto:
grazia su grazia.
Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio, nessuno lo ha mai visto:
il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato.
Giordano Contu – Betlemme – Vatican News
La speranza nasce da un piccolo passo. Ieri, lunedì 22 dicembre, questo passo è partito dai bambini di Betlemme. La Marcia per la pace dei ragazzi è tornata a percorrere le vie della città dove nacque Gesù. Questo cammino, promosso dalla Custodia di Terra Santa, è una preghiera per tutto il pianeta, lacerato da oltre 50 conflitti, molti dei quali dimenticati perché lontani, meno mediatici. I passi di questi bambini e giovani palestinesi, cristiani e musulmani, sono una richiesta ai potenti della Terra: «Diffondiamo la pace, proteggiamo l’innocenza» e «Un bambino senza guerra… un futuro pieno di speranza», si legge in alcuni striscioni.
«Ogni anno, prima di Natale, organizziamo questa Marcia per la pace. Negli ultimi due anni non l’abbiamo fatta a causa della guerra. Nel 2025 abbiamo deciso di riprenderla. Assume quindi un significato ancora più forte: è un segno di speranza», dichiara ai media vaticani padre Ibrahim Faltas, francescano della Custodia di Terra Santa. «Dopo due anni senza alberi di Natale, senza festa, abbiamo voluto ridare un sorriso ai bambini. I nostri ragazzi non hanno sofferto tanto come quelli di Gaza, ma hanno patito ugualmente: hanno visto la guerra, hanno visto i loro genitori senza lavoro, e tante famiglie sono andate via da Betlemme. Noi non vogliamo arrenderci. Vogliamo che la vita ricominci, che i pellegrini tornino qui, che il mondo non dimentichi Betlemme e la Terra Santa».
La Marcia per la pace è una tradizione che va avanti da oltre 25 anni. L’iniziativa nasce dal progetto Children Without Borders, pensato per educare i ragazzi palestinesi e israeliani, ebrei, cristiani e musulmani allo sport, all’incontro e al rispetto. Oggi sono circa 600 i giovani coinvolti nell’area di Betlemme, Gerico, Taybeh, Beit Sahour e Beit Jala, sia cristiani che musulmani, credenti e laici. «Per l’appunto è stato fin dall’inizio un progetto aperto a tutti i bambini, perché nato sotto il segno della speranza», ribadisce il francescano. L’obiettivo di questa iniziativa è rafforzare nei giovani la prospettiva che la pace su questa Terra è possibile. Guardando questi bambini, padre Faltas parla con lucidità e passione: «Il messaggio di questa marcia oggi è ancora più forte, perché riaccende il sorriso dove per troppo tempo è stato spento».
La pace non è una parola astratta, è la richiesta di una promessa da mantenere, un bisogno concreto. Questo il messaggio di Betlemme al mondo. Con la conclusione del Giubileo della Speranza, questa promessa acquista un significato più grande. Lo spiega padre Raffaele Tayem, parroco della chiesa latina di Betlemme: «La speranza non delude e Dio continua a lavorare nella storia anche quando la storia sembra contraddirlo. Per noi, in Medio Oriente, la sofferenza non è un argomento da raccontare, è una realtà che forma le persone, le famiglie, i giovani. E proprio qui il Giubileo diventa una chiamata forte per la coscienza globale: non abituarsi al male, non normalizzare la guerra, non considerare inevitabile ciò che distrugge. Il Giubileo ci invita a gesti concreti: vicinanza, riconciliazione possibile, cura delle ferite interiori, educazione dei giovani, sostegno alle famiglie».
La Marcia per la pace dei bambini di Betlemme, irriducibile a uno slogan, chiede il riavvio di un cammino di conciliazione. «Oggi parlare di pace — prosegue Tayem — significa prima di tutto dire la verità: la pace non è solo assenza di spari. La guerra può anche fermarsi, ma questo non significa che ci sia pace. Il male è ancora presente: bambini senza casa, cuori oppressi, ferite profonde difficili da guarire, persone sofferenti, case con letti vuoti a causa dell’emigrazione dei giovani, della povertà e della disgregazione delle famiglie». Da dove ricominciare la conciliazione? «Direi dalla fragilità di un Bambino deposto in una mangiatoia. Da Betlemme continua a levarsi un appello al mondo: la pace è possibile solo quando mettiamo al centro la dignità dell’uomo e il valore della vita. La pace nasce quando l’altro smette di essere un’idea o un nemico astratto e torna a essere una persona, con un nome, una storia, una dignità, e quando smetto di usare la persona, e amare le cose. Ma amare la persona e usare le cose».

Letture del Giorno
Dal secondo libro di Samuèle
2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16
Il re Davide, quando si fu stabilito nella sua casa, e il Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici all’intorno, disse al profeta Natan: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda». Natan rispose al re: «Va’, fa’ quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa parola del Signore: «Va’, e di’ al mio servo Davide: “Così dice il Signore: Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? Io ti ho preso dal pascolo, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del mio popolo Israele. Sono stato con te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo per Israele, mio popolo, e ve lo pianterò perché vi abiti e non tremi più e i malfattori non lo opprimano come in passato e come dal giorno in cui avevo stabilito dei giudici sul mio popolo Israele. Ti darò riposo da tutti i tuoi nemici. Il Signore ti annuncia che farà a te una casa.
Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.
La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre”».
Vangelo del Giorno
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,67-79
In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo:
«Benedetto il Signore, Dio d’Israele,
perché ha visitato e redento il suo popolo,
e ha suscitato per noi un Salvatore potente
nella casa di Davide, suo servo,
come aveva detto
per bocca dei suoi santi profeti d’un tempo:
salvezza dai nostri nemici,
e dalle mani di quanti ci odiano.
Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri
e si è ricordato della sua santa alleanza,
del giuramento fatto ad Abramo, nostro padre,
di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore, in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo
perché andrai innanzi al Signore a preparargli le strade,
per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati.
Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra di morte,
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace».
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Comunicato Stampa – Roma 23 Dicembre 2025
Papa Leone scrive sugli abbandoni dei preti nella nuovo Lettera Apostolica. L’invito dei preti sposati
A 60 anni dai Decreti Optatam totius e Presbyterorum Ordinis, diffusa la Lettera apostolica “Una fedeltà che genera futuro” su identità e funzione del presbitero, in un tempo segnato anche dalla crisi di fiducia nella Chiesa causata dagli abusi e dalla “dolorosa realtà” dell’abbandono del ministero. Richiamo a umiltà, fraternità, collaborazione con diaconi e laici, uso sapiente dei social, stile di vita sobrio. L’auspicio del Papa: attuare sempre meglio un’ecclesiologia di comunione.
La lettera apostolica “Una fedeltà che genera futuro” firmata l’8 dicembre e stata diffusa il 22 dicembre 2025. L’occasione è il sessantesimo anniversario dei decreti conciliari Optatam totius e Presbyterorum Ordinis, documenti considerati “una pietra miliare della riflessione circa la natura e la missione del ministero pastorale”, da rileggere con freschezza e attualità considerando quella radice da non perdere mai di vista, insiste il Papa, che è il legame ineludibile tra Cristo e la Chiesa. L’auspicio del Papa è che la celebrazione delle due ricorrenze generi una “rinnovata Pentecoste vocazionale”.
Il Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati, fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone, apprezza le indicazioni del Pontefice sulle ferite aperte:
“In questi ultimi decenni, la crisi della fiducia nella Chiesa suscitata dagli abusi commessi da membri del clero, che ci riempiono di vergogna e ci richiamano all’umiltà, ci ha reso ancora più consapevoli dell’urgenza di una formazione integrale che assicuri la crescita e la maturità umana dei candidati al presbiterato, insieme con una ricca e solida vita spirituale. Il tema della formazione risulta essere centrale anche per far fronte al fenomeno di coloro che, dopo qualche anno o anche dopo decenni, abbandonano il ministero. Questa dolorosa realtà, infatti, non è da interpretare solo in chiave giuridica, ma chiede di guardare con attenzione e compassione alla storia di questi fratelli e alle molteplici ragioni che hanno potuto condurli a una tale decisione. E la risposta da dare è anzitutto un rinnovato impegno formativo”.
Il Papa fa riferimento poi ad una delle “derive” che possono intaccare la vita sacerdotale, la solitudine, “che spegne lo slancio apostolico e può causare un triste ripiegamento su sé stessi”. Anche per questo, seguendo le indicazioni dei suoi predecessori, Leone XIV auspica “che in tutte le Chiese locali possa nascere un rinnovato impegno a investire e promuovere forme possibili di vita comune” per aiutare a fomentare la vita spirituale e intellettuale e collaborare più efficacemente nel ministero.
Don Giuseppe Serrone invita il Papa a “promuovere nella Chiesa Cattolica Romana la riammissione al ministero dei preti sposati affiancandoli ai preti celibi nella pastorale ordinaria, considerandoli come ancora all’interno della Chiesa e come una grande risorsa per la Chiesa stessa”.
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Per maggiori informazioni cell. 3534552007
Sito web: https://sacerdotisposati.altervista.org/
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La rettrice arabo cristiana dell’università di Haifa parla ai media vaticani del suo incontro con Papa Leone XIV, delle importanti sfide del suo incarico alla guida di un ateneo diviso a metà tra studenti arabi e studenti ebrei, e della fiducia riposta nell’azione del Pontefice affinché nella terra di Gesù si possa finalmente parlare di pace
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano – Vatican News
“Dobbiamo crescere i nostri figli affinché possano avere i loro sogni, affinché li possano realizzare, senza dover pensare alla fame, alla guerra, e al rischio di poter perdere i loro cari e tocca a noi, cristiani di Terra Santa, essere un ponte di speranza”. Mouna Maroun parla senza interruzioni, un profluvio di parole per descrivere gli ultimi due anni, segnati dagli orrori del 7 ottobre 2023 e dai bombardamenti israeliani su Gaza, ma anche dal suo grande successo professionale: la nomina, nel 2024, a rettrice della università di Haifa, la seconda carica più importante della più principale istituzione educativa della Galilea, per la prima volta affidata a una donna, araba e cristiano-maronita, nata nel villaggio di Isfiya, sulla cima del Monte Carmelo.
In udienza da Papa Leone
Maroun, il 18 dicembre scorso, è stata ricevuta in udienza da Papa Leone XIV e con lui ha potuto parlare, oltre che della sua famiglia e della sua carriera, anche dell’importanza per i cristiani di essere costruttori di ponti e non di muri, in una terra segnata dalla violenza. “È tutto molto triste, soprattutto in questi tempi. Qui è il luogo dove è nato Gesù, è il luogo in cui tutto è iniziato. Betlemme e Nazareth, Cisgiordania e Israele, e tutto è diviso, i cristiani sono nel mezzo e il loro numero sta diminuendo sempre più. Stiamo andando via, perché i giovani non hanno davvero speranza, né in Israele, né in Palestina. Ma non si può pensare a questi due luoghi senza i cristiani, ponte tra musulmani ed ebrei, ed è per questo che il mondo deve aiutarci a rimanere radicati sia in Israele che in Cisgiordania e, naturalmente, a Gaza”. Nonostante questo però, la rettrice testimonia anche la rinascita della fede tra i giovani del Medio Oriente, soprattutto in Terra Santa. “Ci sono movimenti e parrocchie che stanno fiorendo, con i giovani che tornano alla fede cattolica e alle chiese perché la loro identità, in definitiva, è quella di essere cristiani”.
Pregare per la salvezza di tutti
All’inizio del suo mandato, Mouna Maroun espresse il desiderio che la sua nomina potesse essere, in qualche modo, un messaggio di speranza, il segno che le cose avrebbero anche potuto andare diversamente. “La mia elezione è avvenuta in condizioni estremamente tragiche, a sei mesi di distanza dal massacro del 7 ottobre e dall’inizio della guerra a Gaza. Ed è stato difficile essere a capo di una università israeliana, io donna araba e cristiana, e trovarmi a metà strada di ciò che avveniva. Ho sempre chiesto a tutti di pregare, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per la sicurezza dei palestinesi, per la vita dei bambini innocenti. In Israele, a noi arabi, è come se fosse stato chiesto di scegliere da che parte stare, e io ho sempre fatto in modo di far passare il messaggio che questo non lo si può fare”, perché il dolore riguarda tutti, anche se questo “non è stato realmente accettato dalla società ebraica israeliana. Volevano che scegliessimo una parte, e questo non si può davvero fare”. La rettrice guarda a questi due anni, alla “massiccia distruzione” di Gaza. Pensa alle migliaia di bambini rimasti uccisi, loro che certamente “non possono essere incolpati di essere terroristi”, e poi spiega come “la guerra non può davvero eliminare Hamas, perché Hamas è una ideologia”.
Gli studenti di Haifa
Il 45% degli studenti dell’università di Haifa è di etnia araba, allievi di un ateneo che ha sempre manifestato l’ambizione di essere un laboratorio di convivenza, il che certamente, soprattutto negli ultimi due anni, non è davvero stato facile, né per gli arabi, né per gli ebrei. “Come dico sempre, il fatto di che non ci siano né minoranze né maggioranze nella nostra università, fa sì che davvero si possa pensare di costruire, su questa uguaglianza, un altro sistema. Negli anni scorsi abbiamo dato vita ad un laboratorio di dialogo interreligioso, una iniziativa che ho anche descritto al Papa con il quale condivido l’idea che quando conosci l’altro abbatti davvero tutti gli ostacoli e tutte le barriere, perché sai che anche lui è figlio di Dio ed è uguale a te. Tutti crediamo nello stesso Dio, e io sto facendo del mio meglio, come università, per promuovere il dialogo interreligioso, per promuovere l’assunzione di professori arabi, per permettere agli studenti arabi di sentirsi al sicuro e di avere modelli di riferimento nel mondo accademico”. Per molti studenti vivere assieme nello stesso campus diviene opportunità di dialogo, e anche di unione. “La nostra università sta davvero facendo qualcosa di molto positivo per la società israeliana”.
La soluzione dei due Stati
Dalla disperazione e dall’angoscia che stringono in questo momento la Terra Santa possono nascere speranza e resilienza, “anche perché non c’è altra via se si vuole che il Medio Oriente prosperi”. La rettrice parla della sua devozione per san Charbel Makhluf, la cui tomba, nel monastero di Annaya, in Libano, è stata visitata dal Papa il primo dicembre scorso, nel corso del suo viaggio apostolico in Turchia prima e in Libano poi. Una visita che “ci ha portato speranza” dice Maroun, convinta che ci sarà un futuro per il Libano, così come per Israele e per i palestinesi. “Dobbiamo stare insieme, farci arrivare a questo è un compito che spetta alla comunità internazionale che, guidata da Leone XIV, probabilmente sarà in grado di portare avanti, perché il Papa, sta facendo tutto il possibile per promuovere la pace”. Ma non si arriverà ad una soluzione “senza due Stati, uno ebraico e uno palestinese. Ogni popolo ha il diritto di vivere dignitosamente, in modo indipendente, di avere la propria bandiera e di sentirsi parte integrante della propria terra. I palestinesi meritano il loro stato, gli israeliani lo hanno e hanno il diritto di difenderlo. Ci dovrebbe quindi – è la conclusione – essere uno sforzo congiunto tra leader politici e leader religiosi incaricati di aiutare i popoli, con le preghiere, aiutandoli a riconoscere e accettare le differenze dell’altro”.
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