Mouna Maroun: i cristiani, ponte di speranza per la Terra Santa
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La rettrice arabo cristiana dell’università di Haifa parla ai media vaticani del suo incontro con Papa Leone XIV, delle importanti sfide del suo incarico alla guida di un ateneo diviso a metà tra studenti arabi e studenti ebrei, e della fiducia riposta nell’azione del Pontefice affinché nella terra di Gesù si possa finalmente parlare di pace
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano – Vatican News
“Dobbiamo crescere i nostri figli affinché possano avere i loro sogni, affinché li possano realizzare, senza dover pensare alla fame, alla guerra, e al rischio di poter perdere i loro cari e tocca a noi, cristiani di Terra Santa, essere un ponte di speranza”. Mouna Maroun parla senza interruzioni, un profluvio di parole per descrivere gli ultimi due anni, segnati dagli orrori del 7 ottobre 2023 e dai bombardamenti israeliani su Gaza, ma anche dal suo grande successo professionale: la nomina, nel 2024, a rettrice della università di Haifa, la seconda carica più importante della più principale istituzione educativa della Galilea, per la prima volta affidata a una donna, araba e cristiano-maronita, nata nel villaggio di Isfiya, sulla cima del Monte Carmelo.
In udienza da Papa Leone
Maroun, il 18 dicembre scorso, è stata ricevuta in udienza da Papa Leone XIV e con lui ha potuto parlare, oltre che della sua famiglia e della sua carriera, anche dell’importanza per i cristiani di essere costruttori di ponti e non di muri, in una terra segnata dalla violenza. “È tutto molto triste, soprattutto in questi tempi. Qui è il luogo dove è nato Gesù, è il luogo in cui tutto è iniziato. Betlemme e Nazareth, Cisgiordania e Israele, e tutto è diviso, i cristiani sono nel mezzo e il loro numero sta diminuendo sempre più. Stiamo andando via, perché i giovani non hanno davvero speranza, né in Israele, né in Palestina. Ma non si può pensare a questi due luoghi senza i cristiani, ponte tra musulmani ed ebrei, ed è per questo che il mondo deve aiutarci a rimanere radicati sia in Israele che in Cisgiordania e, naturalmente, a Gaza”. Nonostante questo però, la rettrice testimonia anche la rinascita della fede tra i giovani del Medio Oriente, soprattutto in Terra Santa. “Ci sono movimenti e parrocchie che stanno fiorendo, con i giovani che tornano alla fede cattolica e alle chiese perché la loro identità, in definitiva, è quella di essere cristiani”.
Pregare per la salvezza di tutti
All’inizio del suo mandato, Mouna Maroun espresse il desiderio che la sua nomina potesse essere, in qualche modo, un messaggio di speranza, il segno che le cose avrebbero anche potuto andare diversamente. “La mia elezione è avvenuta in condizioni estremamente tragiche, a sei mesi di distanza dal massacro del 7 ottobre e dall’inizio della guerra a Gaza. Ed è stato difficile essere a capo di una università israeliana, io donna araba e cristiana, e trovarmi a metà strada di ciò che avveniva. Ho sempre chiesto a tutti di pregare, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per la sicurezza dei palestinesi, per la vita dei bambini innocenti. In Israele, a noi arabi, è come se fosse stato chiesto di scegliere da che parte stare, e io ho sempre fatto in modo di far passare il messaggio che questo non lo si può fare”, perché il dolore riguarda tutti, anche se questo “non è stato realmente accettato dalla società ebraica israeliana. Volevano che scegliessimo una parte, e questo non si può davvero fare”. La rettrice guarda a questi due anni, alla “massiccia distruzione” di Gaza. Pensa alle migliaia di bambini rimasti uccisi, loro che certamente “non possono essere incolpati di essere terroristi”, e poi spiega come “la guerra non può davvero eliminare Hamas, perché Hamas è una ideologia”.
Gli studenti di Haifa
Il 45% degli studenti dell’università di Haifa è di etnia araba, allievi di un ateneo che ha sempre manifestato l’ambizione di essere un laboratorio di convivenza, il che certamente, soprattutto negli ultimi due anni, non è davvero stato facile, né per gli arabi, né per gli ebrei. “Come dico sempre, il fatto di che non ci siano né minoranze né maggioranze nella nostra università, fa sì che davvero si possa pensare di costruire, su questa uguaglianza, un altro sistema. Negli anni scorsi abbiamo dato vita ad un laboratorio di dialogo interreligioso, una iniziativa che ho anche descritto al Papa con il quale condivido l’idea che quando conosci l’altro abbatti davvero tutti gli ostacoli e tutte le barriere, perché sai che anche lui è figlio di Dio ed è uguale a te. Tutti crediamo nello stesso Dio, e io sto facendo del mio meglio, come università, per promuovere il dialogo interreligioso, per promuovere l’assunzione di professori arabi, per permettere agli studenti arabi di sentirsi al sicuro e di avere modelli di riferimento nel mondo accademico”. Per molti studenti vivere assieme nello stesso campus diviene opportunità di dialogo, e anche di unione. “La nostra università sta davvero facendo qualcosa di molto positivo per la società israeliana”.
La soluzione dei due Stati
Dalla disperazione e dall’angoscia che stringono in questo momento la Terra Santa possono nascere speranza e resilienza, “anche perché non c’è altra via se si vuole che il Medio Oriente prosperi”. La rettrice parla della sua devozione per san Charbel Makhluf, la cui tomba, nel monastero di Annaya, in Libano, è stata visitata dal Papa il primo dicembre scorso, nel corso del suo viaggio apostolico in Turchia prima e in Libano poi. Una visita che “ci ha portato speranza” dice Maroun, convinta che ci sarà un futuro per il Libano, così come per Israele e per i palestinesi. “Dobbiamo stare insieme, farci arrivare a questo è un compito che spetta alla comunità internazionale che, guidata da Leone XIV, probabilmente sarà in grado di portare avanti, perché il Papa, sta facendo tutto il possibile per promuovere la pace”. Ma non si arriverà ad una soluzione “senza due Stati, uno ebraico e uno palestinese. Ogni popolo ha il diritto di vivere dignitosamente, in modo indipendente, di avere la propria bandiera e di sentirsi parte integrante della propria terra. I palestinesi meritano il loro stato, gli israeliani lo hanno e hanno il diritto di difenderlo. Ci dovrebbe quindi – è la conclusione – essere uno sforzo congiunto tra leader politici e leader religiosi incaricati di aiutare i popoli, con le preghiere, aiutandoli a riconoscere e accettare le differenze dell’altro”.



Leone XIV incontra la Curia Romana per gli auguri di Natale. La sua «amarezza» quando nella Chiesa si fanno strada «smania di primeggiare, rancori, azioni per usare le persone, cura dei propri interessi». L’invito alla «comunione» come argine alle divisioni che diventa «segno in un mondo ferito da discordie e guerre». I preti sposati italiani apprezzano l’intervento di Papa Leone. Tuttavia auspicano la fine della rigidità nei loro confronti operata dai vertici della Chiesa Cattolica. “Il Vaticano tiene ancora ai margini i preti sposati, allontanandoli dal ministero pastorale attivo nelle parrocchie”.
