Mouna Maroun: i cristiani, ponte di speranza per la Terra Santa

Mouna Maroun

La rettrice arabo cristiana dell’università di Haifa parla ai media vaticani del suo incontro con Papa Leone XIV, delle importanti sfide del suo incarico alla guida di un ateneo diviso a metà tra studenti arabi e studenti ebrei, e della fiducia riposta nell’azione del Pontefice affinché nella terra di Gesù si possa finalmente parlare di pace
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano – Vatican News

“Dobbiamo crescere i nostri figli affinché possano avere i loro sogni, affinché li possano realizzare, senza dover pensare alla fame, alla guerra, e al rischio di poter perdere i loro cari e tocca a noi, cristiani di Terra Santa, essere un ponte di speranza”. Mouna Maroun parla senza interruzioni, un profluvio di parole per descrivere gli ultimi due anni, segnati dagli orrori del 7 ottobre 2023 e dai bombardamenti israeliani su Gaza, ma anche dal suo grande successo professionale: la nomina, nel 2024, a rettrice della università di Haifa, la seconda carica più importante della più principale istituzione educativa della Galilea, per la prima volta affidata a una donna, araba e cristiano-maronita, nata nel villaggio di Isfiya, sulla cima del Monte Carmelo.

In udienza da Papa Leone
Maroun, il 18 dicembre scorso, è stata ricevuta in udienza da Papa Leone XIV e con lui ha potuto parlare, oltre che della sua famiglia e della sua carriera, anche dell’importanza per i cristiani di essere costruttori di ponti e non di muri, in una terra segnata dalla violenza. “È tutto molto triste, soprattutto in questi tempi. Qui è il luogo dove è nato Gesù, è il luogo in cui tutto è iniziato. Betlemme e Nazareth, Cisgiordania e Israele, e tutto è diviso, i cristiani sono nel mezzo e il loro numero sta diminuendo sempre più. Stiamo andando via, perché i giovani non hanno davvero speranza, né in Israele, né in Palestina. Ma non si può pensare a questi due luoghi senza i cristiani, ponte tra musulmani ed ebrei, ed è per questo che il mondo deve aiutarci a rimanere radicati sia in Israele che in Cisgiordania e, naturalmente, a Gaza”. Nonostante questo però, la rettrice testimonia anche la rinascita della fede tra i giovani del Medio Oriente, soprattutto in Terra Santa. “Ci sono movimenti e parrocchie che stanno fiorendo, con i giovani che tornano alla fede cattolica e alle chiese perché la loro identità, in definitiva, è quella di essere cristiani”.

Pregare per la salvezza di tutti
All’inizio del suo mandato, Mouna Maroun espresse il desiderio che la sua nomina potesse essere, in qualche modo, un messaggio di speranza, il segno che le cose avrebbero anche potuto andare diversamente. “La mia elezione è avvenuta in condizioni estremamente tragiche, a sei mesi di distanza dal massacro del 7 ottobre e dall’inizio della guerra a Gaza. Ed è stato difficile essere a capo di una università israeliana, io donna araba e cristiana, e trovarmi a metà strada di ciò che avveniva. Ho sempre chiesto a tutti di pregare, per la liberazione degli ostaggi israeliani e per la sicurezza dei palestinesi, per la vita dei bambini innocenti. In Israele, a noi arabi, è come se fosse stato chiesto di scegliere da che parte stare, e io ho sempre fatto in modo di far passare il messaggio che questo non lo si può fare”, perché il dolore riguarda tutti, anche se questo “non è stato realmente accettato dalla società ebraica israeliana. Volevano che scegliessimo una parte, e questo non si può davvero fare”. La rettrice guarda a questi due anni, alla “massiccia distruzione” di Gaza. Pensa alle migliaia di bambini rimasti uccisi, loro che certamente “non possono essere incolpati di essere terroristi”, e poi spiega come “la guerra non può davvero eliminare Hamas, perché Hamas è una ideologia”.

Gli studenti di Haifa
Il 45% degli studenti dell’università di Haifa è di etnia araba, allievi di un ateneo che ha sempre manifestato l’ambizione di essere un laboratorio di convivenza, il che certamente, soprattutto negli ultimi due anni, non è davvero stato facile, né per gli arabi, né per gli ebrei. “Come dico sempre, il fatto di che non ci siano né minoranze né maggioranze nella nostra università, fa sì che davvero si possa pensare di costruire, su questa uguaglianza, un altro sistema. Negli anni scorsi abbiamo dato vita ad un laboratorio di dialogo interreligioso, una iniziativa che ho anche descritto al Papa con il quale condivido l’idea che quando conosci l’altro abbatti davvero tutti gli ostacoli e tutte le barriere, perché sai che anche lui è figlio di Dio ed è uguale a te. Tutti crediamo nello stesso Dio, e io sto facendo del mio meglio, come università, per promuovere il dialogo interreligioso, per promuovere l’assunzione di professori arabi, per permettere agli studenti arabi di sentirsi al sicuro e di avere modelli di riferimento nel mondo accademico”. Per molti studenti vivere assieme nello stesso campus diviene opportunità di dialogo, e anche di unione. “La nostra università sta davvero facendo qualcosa di molto positivo per la società israeliana”.
La soluzione dei due Stati
Dalla disperazione e dall’angoscia che stringono in questo momento la Terra Santa possono nascere speranza e resilienza, “anche perché non c’è altra via se si vuole che il Medio Oriente prosperi”. La rettrice parla della sua devozione per san Charbel Makhluf, la cui tomba, nel monastero di Annaya, in Libano, è stata visitata dal Papa il primo dicembre scorso, nel corso del suo viaggio apostolico in Turchia prima e in Libano poi. Una visita che “ci ha portato speranza” dice Maroun, convinta che ci sarà un futuro per il Libano, così come per Israele e per i palestinesi. “Dobbiamo stare insieme, farci arrivare a questo è un compito che spetta alla comunità internazionale che, guidata da Leone XIV, probabilmente sarà in grado di portare avanti, perché il Papa, sta facendo tutto il possibile per promuovere la pace”. Ma non si arriverà ad una soluzione “senza due Stati, uno ebraico e uno palestinese. Ogni popolo ha il diritto di vivere dignitosamente, in modo indipendente, di avere la propria bandiera e di sentirsi parte integrante della propria terra. I palestinesi meritano il loro stato, gli israeliani lo hanno e hanno il diritto di difenderlo. Ci dovrebbe quindi – è la conclusione – essere uno sforzo congiunto tra leader politici e leader religiosi incaricati di aiutare i popoli, con le preghiere, aiutandoli a riconoscere e accettare le differenze dell’altro”.

L’appello di Natale delle Chiese di Gerusalemme

Patriarcato e Convento San Giacomo degli armeni a Gerusalemme

Nel messaggio di Natale, i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme invitano a non confondere il cessate il fuoco con una pace reale. Al centro l’Incarnazione di Cristo come segno di speranza e un appello alla comunità internazionale a sostenere una pace giusta, fondata sulla dignità umana
Vatican News

In un Medio Oriente ancora segnato da conflitti e instabilità, i patriarchi e i capi delle Chiese di Gerusalemme hanno diffuso il tradizionale messaggio di Natale, ribadendo che la pace non può ridursi a una semplice sospensione delle ostilità, ma deve essere accompagnata da giustizia, riconciliazione e rispetto dei diritti fondamentali. Aprendo il testo con un richiamo alla Lettera agli Ebrei – “Circondati da una così grande nube di testimoni, corriamo con perseveranza la corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù” – i leader cristiani invitano i fedeli a rimanere saldi nella speranza anche nei momenti di maggiore sofferenza.

Betlemme, segno di speranza per un mondo ferito
Al centro del messaggio viene posto il significato dell’Incarnazione di Cristo a Betlemme, presentata come segno di una speranza che nasce nel cuore della fragilità umana. Come per i pastori della notte di Natale, anche oggi il messaggio evangelico invita a non cedere alla paura e allo scoraggiamento.

Cessate il fuoco non significa pace
Pur accogliendo con favore il cessate il fuoco che ha permesso a molte comunità di celebrare più liberamente le festività, i Patriarchi mettono in guardia dal rischio di una “pace apparente”, richiamando le parole del profeta Geremia: “Pace, pace, ma pace non c’è”. Secondo il messaggio, nonostante la tregua, continuano infatti violenze, vittime e violazioni delle libertà, in Terra Santa e nei Paesi vicini.

Con il pensiero a chi soffre
I capi delle Chiese ribadiscono la loro solidarietà a tutte le persone colpite dal conflitto e rivolgono un appello ai cristiani e a tutte le persone di buona volontà affinché perseverino nella preghiera e nell’impegno per una pace autentica e duratura. Il messaggio si conclude con gli auguri di Natale alle comunità locali e ai cristiani di tutto il mondo, nella speranza che la nascita di Gesù a Betlemme possa rinnovare il desiderio di riconciliazione e di giustizia.

Lettura e Vangelo del giorno 23 Dicembre 2025


Letture del Giorno
Dal libro del profeta Malachìa
Ml 3,1-4.23-24

Così dice il Signore:
«Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti.
Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani.
Ecco, io invierò il profeta Elìa prima che giunga
il giorno grande e terribile del Signore:
egli convertirà il cuore dei padri verso i figli
e il cuore dei figli verso i padri,
perché io, venendo,
non colpisca
la terra con lo sterminio».

Vangelo del Giorno
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,57-66

In quei giorni, per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia, e si rallegravano con lei.
Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccarìa. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome».
Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.
Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Tutti coloro che le udivano, le custodivano in cuor loro, dicendo: «Che sarà mai questo bambino?». E davvero la mano del Signore era con lui.

Il Papa: no a rigidità, ideologia e contrapposizioni su fede, liturgia e morale: i vertici della Chiesa predichino principalmente a se stessi! Il caso dei preti sposati ancora lontani dal ministero

Leone XIV incontra la Curia Romana per gli auguri di Natale. La sua «amarezza» quando nella Chiesa si fanno strada «smania di primeggiare, rancori, azioni per usare le persone, cura dei propri interessi». L’invito alla «comunione» come argine alle divisioni che diventa «segno in un mondo ferito da discordie e guerre». I preti sposati italiani apprezzano l’intervento di Papa Leone. Tuttavia auspicano la fine della rigidità nei loro confronti operata dai vertici della Chiesa Cattolica. “Il Vaticano tiene ancora ai margini i  preti sposati, allontanandoli dal ministero pastorale attivo nelle parrocchie”.

Capita che, «dietro un’apparente tranquillità, si agitino i fantasmi della divisione». Leone XIV sceglie l’udienza alla Curia Romana in occasione degli auguri di Natale per tornare su un’urgenza che era emersa già nelle Congregazioni generali prima del Conclave e che il Papa ha messo al centro del pontificato: l’unità della comunità ecclesiale. «La comunione nella Chiesa rimane sempre una sfida che ci chiama alla conversione», avverte il Pontefice. Comunione che è argine alla «tentazione di oscillare tra due estremi opposti: uniformare tutto senza valorizzare le differenze o, al contrario, esasperare le diversità e i punti di vista piuttosto che cercare la comunione». Vale «nelle relazioni interpersonali, nelle dinamiche interne agli uffici e ai ruoli» o anche «trattando le tematiche che riguardano la fede, la liturgia, la morale e altro ancora» dove «si rischia di cadere vittime della rigidità o dell’ideologia, con le contrapposizioni che ne conseguono». Da qui l’invito: «Siamo chiamati, anche e soprattutto qui nella Curia, ad essere costruttori della comunione di Cristo, che chiede di prendere forma in una Chiesa sinodale, dove tutti collaborano e cooperano alla medesima missione, ciascuno secondo il proprio carisma e il ruolo ricevuto».  I Preti Sposati del Movimento Internazionale dei Sacerdoti sposati, fondato nel 2003 da don Giuseppe Serrone, invitano anche Papa Leone XIV a riammettere al ministero i preti sposati con un regolare percorso di dimissioni, dispensa dagli obblighi del celibato e matrimonio religioso: “sono una  grande risorsa per la Chiesa”.

Fonte: testo tratto da Avvenire

in Blog Sacerdoti Sposati

La spiritualità fa perdere la cognizione dello spazio e del tempo ascoltando una sinfonia, incantandosi davanti a un quadro, leggendo una poesia, impegnandosi a capire che una scoperta scientifica, meditando, pregando se si ha una fede

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ROMA-ADISTA. Con la tenacia dell’apostolo, tanto più attivo quanto meno ascoltato, Maurizio Pallante ha dato alle stampe l’ennesimo volume: Liberi dal pensiero unico. La rivoluzione culturale della spiritualità (Lindau, pp. 131, euro 12). In queste pagine egli ribadisce i temi che nei decenni lo hanno reso l’esponente italiano più noto della “decrescita felice”: più noto, ma fuori dai circuiti mediatici televisivi e radiofonici. E si intuisce facilmente la ragione di questa conventio ad excludendum: chi invita a disertare il consumismo offre il petto al complesso industriale-commerciale egemone; se poi aggiunge che il mito della crescita illimitata (fondato sulla falsa equazione progresso = sviluppo) è perseguito unanimemente da partiti di Destra, di Centro e di Sinistra si espone al fuoco incrociato (o peggio: alla damnatio memoriae) degli schieramenti politici che si alternano al governo e all’opposizione parlamentare.

Della nutrita e nutriente lista delle sue indicazioni critiche e delle sue proposte costruttive vorrei qui limitarmi a evocare i passaggi che giustificano il sottotitolo: “Al contrario di quanto si crede, la dipendenza dal consumismo genera una frustrazione permanente, perché la continua immissione sul mercato di prodotti innovativi rende sempre più breve la soddisfazione offerta dall’atto di acquistare, mantenendone inalterato il richiamo. L’unica forza in grado di rompere questo incantesimo è la spiritualità” (p. 15).

Pallante invoca dunque un ritorno alla pratica religiosa confessionale-istituzionale (in calo progressivo) o, almeno, a una qualche forma di religiosità panteistica? No. O non necessariamente. Egli pensa a una spiritualità laica che si fonda sulla “capacità di cogliere la meraviglia racchiusa nell’ordinario della vita: in ogni fenomeno naturale, nei paesaggi, nelle stagioni; è la capacità di percepire i legami di reciproca interdipendenza che connettono la specie umana con tutte le altre specie animali e vegetali, d’immedesimarsi nella sofferenza e nella gioia di altri esseri viventi. La spiritualità fa perdere la cognizione dello spazio e del tempo ascoltando una sinfonia, incantandosi davanti a un quadro, leggendo una poesia, impegnandosi a capire che una scoperta scientifica, meditando, pregando se si ha una fede” (pp. 15 – 16). Questa spiritualità basica, elementare, che si ritrova in persone atee, agnostiche e credenti in senso teologico, difetta però in troppe altre persone che si dicono atee, agnostiche e credenti: per questo, come ricorda l’autore citando Norberto Bobbio, il filosofo torinese sosteneva che “la differenza non è tra il credente e il non credente”, ma “tra chi prende sul serio” le questioni esistenziali ed etiche e chi non se ne preoccupa minimamente, “si accontenta di risposte facili” e gli “basta ripetere ciò che gli è stato detti fin da bambino” (pp. 43 – 44). Senza il gusto della moderazione, la sobrietà dei costumi, l’austerità nei consumi non è possibile una società socialista (lo ricordò forse troppo tardi Enrico Berlinguer) né tanto meno una società improntata allo spirito del Vangelo.

Pallante rilancia le avvertenze di Pier Paolo Pasolini alla Chiesa cattolica degli anni post-conciliari di Paolo VI (e che non hanno certo perso di attualità con Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI): se essa si preoccupa di lingue liturgiche o di questioni sessuali, senza contrastare il “pensiero unico” che fa della “crescita della produzione di merci e dei consumi” “l’indicatore del benessere di un Paese” (p. 56) si condanna alla “propria liquidazione”. Essa potrebbe evitare di precipitare nella totale irrilevanza sociologica a cui sembra irreversibilmente destinata se si auto-costituisse come “la guida grandiosa, ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano (e parla un marxista, proprio in quanto marxista) il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai; corruttore; degradante. […] E’ questo rifiuto che potrebbe dunque simboleggiare la Chiesa: ritornando alle origini, cioè all’opposizione e alla rivolta” (p. 57). Che vediamo, invece, nel modo di pensare e di vivere dei vertici vaticani? Quale attenzione a evitare i consumi superflui, lo spreco del cibo a tavola e dell’acqua potabile nelle docce, il dispendio dell’energia elettrica nelle curie vescovili, nei seminari, nei conventi femminili, nelle scuole cattoliche, nei sinodi e nei mega-convegni internazionali di teologia, nella quotidianità delle famiglie vicine alle parrocchie? Vegetariani e vegani (addolorati per le stragi natalizie e pasquali di agnellini e di ogni altro esserino vivente indifeso) sono minoranze trascurabili trattate con un misto di curiosità per l’esotico e di commiserazione per l’idealismo fuori dalla storia. I preti – specie i più giovani – sono di solito tra i primi nel proprio ambiente ad acquistare l’ultimo modello di automobile o di cellulare né devono minimamente giustificarsi agli occhi dei fedeli che ne condividono totalmente la filosofia edonistica: anzi, così dimostrano di essere al passo coi tempi e in sintonia con la mentalità dei laici di cui si curano pastoralmente.

«In direzione ostinata e contraria». La veglia di Natale dell’Isolotto insieme ai lavoratori in lotta della ex Gkn

«In direzione ostinata e contraria». La veglia di Natale dell'Isolotto insieme ai lavoratori in lotta della ex Gkn

FIRENZE-ADISTA. «In direzione ostinata e contraria per resistere e costruire, insieme ad oppressi ed emarginati, un mondo di pace» è il tema della veglia di Natale della Comunità cristiana di base dell’Isolotto di Firenze.

«Celebriamo il Natale, festa della nascita di Gesù e simbolo universale di speranza, unendoci a chi cammina, citando Fabrizio De André, in direzione contraria alla sopraffazione, al riarmo, al genocidio, alle guerre tutte, alla devastazione ecologica – spiegano dalla Cdb dell’Isolotto -. In direzione ostinata per esprimere tenacia, resistenza e perseveranza per costruire un mondo più giusto. Ricordando il bambino di Betlemme, nato tra i poveri e gli emarginati, vogliamo dare voce

alle realtà ed esperienze che testimoniano questa speranza concreta: dal progetto di fabbrica socialmente integrata messo a punto dal collettivo dei lavoratori ex Gkn, a Mondeggi Fattoria senza padroni, dai movimenti contro il riarmo e la guerra, ai movimenti popolari che lottano per i diritti a terra, casa, lavoro, pace, giustizia sociale».

«Per il quinto anno ci troviamo a passare le feste in lotta e, ancora una volta, sotto l’albero non troveremo la fabbrica socialmente integrata ma almeno un altro anno di convergenza – spiegano i lavoratori e le lavoratrici della ex Gkn – . Troveremo la volontà di provarci ancora, in direzione ostinata e contraria, con tutta la comunità solidale che in questi anni ci ha creduto insieme a noi. E allora le feste, al solito, le passiamo con la nostra grande famiglia. Mercoledì 24 dicembre saremo alle baracche verdi, con la Comunità dell’Isolotto, per una veglia di Natale che si interroghi sul genocidio, il riarmo, la devastazione ecologica e che porti un messaggio di speranza, fondato sulla concreta volontà che abbiamo di lottare per un futuro di pace e di giustizia climatica e sociale».

Appuntamento all’Isolotto mercoledì 24 dicembre alle ore 21.45

Nel ’900: immagini del Natale

Fonte: Settimana News

di: Antonella Cattorini Cattaneo

L’arte religiosa e sacra del ‘900 – nelle sue rare ma incisive manifestazioni – privilegia la rappresentazione della morte di Cristo a quella della sua nascita. Gli “Ecce homo” di Rouault, il Cristo Giallo di Gaugin, gli splendidi crocifissi di Congdon, solo per fare qualche esempio, raffigurano il Figlio dell’uomo nella sua difficile, estrema e libera adesione alla volontà del Padre.

Forse tale privilegio si spiega con i presagi e gli echi di orrende guerre che gli artisti hanno avvertito nel loro tempo. Oppure – come direbbero con Hanna Arendt molte altre pensatrici – il motivo è nella stessa filosofia occidentale che fin dalle origini ha riflettuto più sulla fine che sull’inizio della vita. Certo è che il momento della morte in croce di Cristo risulta centrale nell’avventura della fede.

Lì si compie il percorso esistenziale di Gesù e di ogni credente segnato, fin dalla nascita, dall’affidamento a Dio. Una nascita vissuta in un isolamento pari a quello della fine. In alcune immagini “natalizie” dei citati maestri del ‘900 sembra cogliersi tale messaggio.

Sono brani artistici che non rimandano all’armonia e allo splendore delle composizioni tardomedievali e rinascimentali e tanto meno alle raffigurazioni che popolano il mercato odierno. In genere nelle icone novecentesche per lo più manca la luminosità e lo splendore a cui il Beato Angelico e molti altri ci hanno abituato.

La luce del divino è incompiuta, convive con l’ombra. Il piccolo Figlio dell’uomo è autenticamente immerso nella povertà – ultimo tra gli ultimi – e a volte abbracciato a una giovane donna, dimessa, come il suo compagno. Genitori che si sono affidati a un misterioso annuncio, inascoltato dai benpensanti. Seppur scardinate le prospettive di straordinarie pale d’altare, di splendide miniature e fondi oro, veniamo immessi nel messaggio dell’Incarnazione con forme aderenti al tema evangelico.

Potremmo paragonare i maestri del ‘900 a quei ragazzini intelligenti che voltano le spalle alle omiletiche lezioni degli adulti ma nel frattempo ascoltano parole, che riconoscono vere, gli insegnamenti dei loro maestri e la Parola che in qualche modo li abita.

***

Difficile dire “bella” una scena ombrosa e defilata se siamo abituati a colori dai toni alti e a prospettive centrali. Eppure, la nascita del Cristo è stata appartata e incompresa.  Paul Gauguin (1848-1903) ritaglia il presepe in un angolo buio del quadro dove nel minuto spazio di un’edicola pone la Madonna e una contadina adoranti. In primo piano due buoi e donne con copricapo in un paesaggio innevato e freddo.

È la Bretagna primitiva in cui amava vivere con gli altri artisti di Pont Aven. All’orizzonte, nella breve luce di un tramonto, sembra intravedersi la croce di una chiesa. In primo piano motivi egizi (i buoi) e giavanesi (il presepe), come dicono i critici che collocano l’ultimazione del quadro (iniziato nel 1894 a Pont-Aven) nelle isole del Pacifico. L’universalità del messaggio cristiano è espressa anche così.

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Paul Gaugin, Notte di Natale, ca.1902-3. Indianapolis Museum of Art at Newfields, USA.

Forse pochi maestri come Georges Rouault (1971-1958) potevano cogliere cosa significa nascere in un antro oscuro. L’artista – “dalla fede religiosa, sincera e profonda” (sono parole di Jaques Maritain che con la moglie Raissa seguì da vicino il percorso dell’artista) – nacque in una cantina di Belleville nel maggio del 1871 durante il bombardamento prussiano di Parigi, in piena guerra civile. Figlio di un ebanista (come il falegname Giuseppe!), non ha mai perso i contatti con il mondo operaio e il suo lavoro mantenne la forza della creatività di un artigiano detestando la mediocrità borghese. Eppure, mancano icone specifiche di Natività nella sua ricca produzione artistica a lungo ignorata e derisa anche dagli amici.

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Georges Rouault, Il vecchio faubourg Mère et enfants, 1951. Fondation Georges Rouault, Parigi.

Come scrive Raissa Maritain, egli fu un artista solitario, capace di abbandonare il successo facile e di tracciare i propri sentieri con molta pazienza e fiducia nel “Dio dell’arte e della bontà” (Raissa Maritain, I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 1956).

Tuttavia, la tenerezza dell’abbraccio materno dipinta in un capolavoro della maturità dice il lavoro interiore volto a riconoscere l’umanità di un Dio che si fa bambino. I profondi tratti neri che contornano le figure (come le piombature delle vetrate su cui, in età giovanile aveva lavorato) evidenziano la calda luce solare evocante tenerezza e fiducioso abbandono.

Fa pensare una sua riflessione in una lettera inviata a Raissa: “Quel che rimpiango è di non avere una seconda vita per portare alcune opere a un certo punto”.  Quando viene colto il valore del proprio percorso artistico e la forza spirituale di Chi lo ha sostenuto è inevitabile la speranza in una vita piena che superi la morte.

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William Congdon, Natività,1965.

La Natività di William Congdon (1912-1998) eseguita dopo 6 anni dal suo battesimo (15 agosto 1959) si colloca in una fase nuova della sua esperienza artistica. Ѐ un’immagine che rivela l’irrompere dell’azzurro nel buio di uno spazio e di un tempo indefiniti.

La madre e il bambino galleggiano su una fragilissima barca venuta chissà da dove, nel biancore di una luce imprevista. La forte componente materica ampiamente presente nelle tele e nelle tavole dell’artista rivela la dimensione corporea dell’assoluto.

Un “corpo a corpo…colpo di spatola dopo colpo di spatola” scrive Massimo Morasco per descrivere lo sguardo di Congdon “sull’assoluto” (Essere Trasfigurato. Una lettura teologica dell’opera di William Congdon, QiQajon,2012). Il mistero dell’Incarnazione vibra nell’esperienza pittorica che stratifica i pigmenti.

Difficile oggi trovare cartoncini di auguri natalizi raffiguranti questi soggetti che ammiriamo più nei musei che nelle chiese.

Sproporzioni, lacerazioni, deformazioni e destrutturazioni possono a prima vista impressionare occhi troppo adesi a visioni ottimistiche e pacificate. In realtà parlano del sacro che entra improvvisamente nella storia, ammutolisce i pastori dell’Essere, richiama persino i potenti della terra. E invita ad inchinarsi a Chi prende dimora in una sfasciata capanna e regalmente apre strade di libertà, giustizia e solidarietà umana.