Israele attacca l’Iran, Teheran giura vendetta. L’Idf invia una nuova allerta rossa: ‘Tutti nei rifugi’

Un edificio danneggiato, colpito dagli attacchi aerei israeliani, a nord di Teheran - RIPRODUZIONE RISERVATA

Ansa

Nuova allerta rossa in Israele: “Tutti i cittadini devono andare e restare nei rifugi fino a quando non ci sarà un nuovo annuncio ufficiale”, è il messaggio inviato dall’esercito alla popolazione qualche minuto fa. Uno stato di allerta massimo dal Comando del fronte interno dell’esercito che, di solito, prelude ad un attacco lanciato dall’Iran.

Nyt, Usa posizionano navi per proteggere Israele e truppe
Il Pentagono sta posizionando navi da guerra e altre risorse militari in Medio Oriente per contribuire a proteggere Israele e le truppe americane da possibili ritorsioni iraniane. Lo riporta il New York Times, citando alcuni funzionari statunitensi. Il cacciatorpediniere Uss Thomas Hudner ha ricevuto l’ordine di spostarsi nel Mediterraneo orientale e un secondo cacciatorpediniere potrebbe seguirlo a breve, riferiscono i funzionari, mettendo in evidenza che l’aeronautica americana potrebbe spostare a breve aerei da combattimento nella regione.
Idf, allarme a Gerusalemme per un missile dallo Yemen
L’Idf ha reso noto che le sirene d’allarme sono entrate in funzione a Gerusalemme e in altre aree di Israele per un missile in arrivo dallo Yemen.

Iran, Israele scatena l’inferno: almeno 78 morti. Teheran giura vendetta

Colpiti siti nucleari, decapitati vertici forze armate e uccisi alcuni scienziati. Netanyahu: “Senza appoggio Usa forse non avremmo attaccato”. Per Khamenei arriverà “punizione severa”. Nuovo capo dei Pasdaran: “Apriremo le porte dell’inferno”

Macerie in Iran dopo l'attacco israeliano - (Afp)

adnkronos

Un attacco massiccio e senza precedenti, che rischia di aprire una guerra feroce e di incendiare tutto il Medio Oriente. Erano da poco passate le due di notte in Italia quando Israele ha lanciato l’operazione ‘Rising Lion’, scatenando un’ondata di bombardamenti su tutto il territorio iraniano. Sono stati colpiti siti nucleari e basi militari. Bombe sono cadute sulla capitale Teheran ed altre sette città. In poche ore sono stati spazzati via i vertici militari e sono stati uccisi i principali scienziati nucleari del Paese.
I raid, condotti da circa 200 caccia israeliani, hanno preso di mira alcuni obiettivi dei Guardiani della Rivoluzione e, soprattutto, l’impianto per l’arricchimento dell’uranio di Natanz, mentre gli altri due siti strategici dell’Iran, quello super-blindato di Fordow e di Isfahan, non sono stati finora bersagliati, stando a quanto riferito dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). A Natanz non sono stati rilevati aumenti dei livelli di radiazioni.

L’obiettivo dichiarato dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, era “colpire al cuore” il programma atomico dell’Iran, che Tel Aviv ritiene destinato alla produzione di armi nucleari. Il leader del Likud ha già raggiunto un successo facendo deragliare – si vedrà se temporaneamente o meno – il negoziato tra Iran e Stati Uniti. Teheran ha infatti annullato il sesto round di colloqui in programma domenica in Oman.
L’attacco israeliano non sarà un’operazione limitata, come quelle condotte in territorio iraniano il 26 ottobre 2024 ed il 13 giugno 2025, ma durerà “molti giorni”, ha assicurato Netanyahu, mentre dall’Iran sono arrivate minacce esplicite di vendetta. “Il regime sionista ha commesso un crimine nel nostro caro Paese con le sue mani sataniche e insanguinate”, ha tuonato la Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha promesso una “punizione severa” contro Israele che, ha aggiunto, “si è preparato un destino amaro e doloroso”.

Netanyahu: “Senza appoggio Usa forse non avremmo attaccato, ora decide Trump”
In un messaggio video Netanyahu ha poi dichiarato che Israele ha agito anche senza garanzie di pieno sostegno da parte degli Stati Uniti, ritenendo l’operazione una questione di sopravvivenza. “Speravo che gli Stati Uniti non si opponessero all’attacco contro l’Iran, ma non avevamo scelta – ha affermato – Senza il loro appoggio forse non avremmo lanciato l’attacco, ma l’alternativa era che saremmo morti tutti”. Il premier ha precisato che Washington era stata informata preventivamente del raid e ha lasciato nelle mani del presidente Donald Trump ogni futura decisione. “Da questo momento in poi, spetta a lui decidere come proseguire”, ha affermato Netanyahu.

Il premier ha riconosciuto che l’operazione “non è stata perfetta”, ma ha sostenuto che fosse necessario fermare il programma iraniano, che a suo dire minacciava l’esistenza stessa dello Stato israeliano. Ha inoltre sottolineato di aver cercato attivamente il sostegno americano: “Quella responsabilità era mia e del ministro per gli Affari strategici Ron Dermer. Abbiamo avuto lunghi colloqui con loro”.

Netanyahu ha anche rivelato che l’ordine di attaccare il programma nucleare iraniano risale a novembre 2024, poco dopo l’uccisione del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah. Secondo il premier israeliano, l’Iran avrebbe accelerato verso la bomba dopo il crollo del suo asse (di milizie, ndr), e Israele avrebbe rilevato “passi concreti” verso l’arma atomica, al di là del semplice arricchimento dell’uranio.

Netanyahu aveva inizialmente fissato l’operazione per la fine di aprile 2025, ma ha spiegato che “per varie ragioni” – non specificate – non è stato possibile procedere. Una possibile causa del rinvio, non citata direttamente ma implicita, potrebbe essere stata l’annuncio di Trump, ad aprile, di voler avviare negoziati diretti con Teheran sul dossier nucleare. L’attacco è stato infine lanciato questa mattina, ha detto Netanyahu, senza chiarire i motivi della nuova data.

Il premier ha affermato che dopo i raid israeliani contro il programma missilistico iraniano dello scorso anno, Teheran avrebbe avviato la produzione di 300 missili balistici al mese. “Abbiamo deciso che non potevamo più aspettare”, ha dichiarato Netanyahu, spiegando di aver voluto attaccare già nel 2011-2012, ma di non aver trovato il sostegno necessario.

Il bilancio dell’attacco
Il bilancio per l’Iran dopo gli attacchi – che sono continuati per ore – è pesantissimo. Secondo il sito locale Nournews, nella sola Teheran – dove è stata colpita una zona residenziale – si contano 78 morti e 329 feriti. Ma i raid hanno anche decapitato la catena di comando delle forze armate. Sono stati uccisi il capo di Stato maggiore, Mohammad Bagheri (sostituito da Abdolrahim Mousavi), il comandante dei Guardiani della Rivoluzione, Hossein Salami (sostituito da Mohammad Pakpour), il comandante del quartier generale centrale Khatam al-Anbia, Gholamali Rashid (sostituito da Ali Shadmani), ed il capo del settore aerospaziale dei Pasdaran, Ali Hajizadeh.

Nei raid israeliani è stato ucciso anche il generale Esmail Ghaani, il comandante della Forza Quds, corpo di elite dei Guardiani della Rivoluzione. Ghaani aveva preso il posto del generale Qassem Soleimani, che era rimasto ucciso in un raid americano in Iraq nel 2020.

Sono stati eliminati anche sei scienziati nucleari iraniani, tra cui l’ex capo dell’Organizzazione per l’energia atomica dell’Iran, Fereydoun Abbasi, ed il presidente dell’Università Islamica Azad, Mohammed Mehdi Tehranchi. Secondo il New York Times, è morto anche Ali Shamkhani, uno dei più influenti politici dell’Iran e consigliere di Khamenei.

La risposta dell’Iran
L’Iran avrebbe risposto lanciando un centinaio di droni verso Israele – notizia smentita da una fonte citata dall’agenzia di stampa Fars – che sarebbero stati intercettati. Ma Tel Aviv si aspetta una risposta dura, mentre continua a martellare i suoi obiettivi in Iran. “Il regime iraniano tenterà di attaccarci in risposta e il bilancio previsto sarà diverso da quello a cui siamo abituati”, ha chiarito il capo di Stato maggiore, Eyal Zamir. Intanto Israele ha annunciato la chiusura di tutte le missioni diplomatiche.

Nuovo capo Pasdaran: “Per Israele si apriranno porte inferno”
“Le porte dell’inferno si apriranno presto” per Israele, un “regime infanticida”, ha dichiarato il nuovo capo dei Guardiani della Rivoluzione, il maggiore generale Mohammad Pakpour, nel suo primo messaggio da quando ha assunto l’incarico, stando a quanto riferito dai media della Repubblica islamica. “Il crimine commesso oggi dal regime terroristico sionista, violando la sicurezza nazionale e l’integrità territoriale della Repubblica Islamica, non rimarrà certamente senza risposta”, ha proseguito Pakpour.

Le reazioni
La comunità internazionale ha reagito agli attacchi in modo eterogeneo. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha ribadito il pieno sostegno americano a Israele, esortando l’Iran a “fare un accordo prima che non rimanga nulla e salvare quello che una volta era conosciuto come l’impero iraniano. Basta morte, basta distruzione, facciamolo prima che sia troppo tardi”. La Russia ha espresso “preoccupazione”, mentre il presidente francese, Emmanuel Macron, ha ribadito il diritto di Israele a “difendersi”, ma con la ”massima moderazione”. Anche il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha rivendicato il diritto di Israele a difendersi da potenziali minacce.

Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo iraniano, Abbas Araghchi. Durante la telefonata – riferisce la Farnesina in una nota – Tajani ha invitato l’Iran ad evitare una escalation militare nel conflitto con Israele, una dinamica che sarebbe estremamente pericolosa per tutta la regione e innanzitutto per i paesi direttamente coinvolti.

Sul fronte pro-Iran, gli ayatollah hanno incassato il sostegno di Hezbollah e degli Houthi, ma anche quello del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che ha definito ”una chiara provocazione” gli attacchi israeliani. E anche l’Arabia Saudita, un tempo accesa rivale della Repubblica islamica, ha condannato l'”aggressione” israeliana. Oggi, su richiesta iraniana, si riunirà il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Zona Franca Sulla “teologia rapida”. Con gli altri e per gli altri

 Con gli altri e per gli altri  QUO-136

di Isabella Bruckner

Il termine “teologia rapida” di Antonio Spadaro provoca. «Nell’aggettivo rapido si ritrova la radice del “rapire”, cioè afferrare, trascinar via», scrive il reverendo sotto-segretario del Dicastero per la cultura e l’educazione. Nell’ambito della giurisprudenza e della psichiatria, al termine latino raptus, italiano “rapimento”, inerisce un certo aspetto violento. Qui il raptus indica uno stato del sé fuori controllo, spesso connesso con atti di violenza. Nell’ambito delle lettere invece designa anche un momento di ispirazione improvvisa e intensa che può manifestarsi in un fervore creativo.

Giuseppe Villa, nella sua reazione alla proposta di padre Spadaro pubblicata il 26 aprile scorso in Settimana News, rintraccia il termine nei testi biblici. Evidenzia l’Ascensione come quel punto di partenza a partire dal quale i discepoli si sperimentano sempre di nuovo “rapiti” dallo Spirito, a volte in relazione con forti esperienze di interruzione — così a esempio nella conversione di Paolo sulla strada di Damasco — e non senza alcuni esiti di creatività sorprendente e generativa. Lo Spirito li guida verso aperture che sboccano in luoghi nuovi, prima insospettati. È dunque evidente che, con il termine del raptus, Spadaro evoca un vocabolario presente innanzitutto nel discorso mistico.

Il gesuita come caratterizza tale “teologia rapida”? Si tratta di un pensiero che si rende conto dei grandi cambiamenti della cultura, delle nuove realtà («nuovi soggetti, con nuovi stili di vita, modi di pensare, di sentire, di percepire e di stabilire relazioni») che emergono in questi cambiamenti, nonché della loro complessità. Un pensiero che osa esporsi a tutto questo. Ma non è più la Chiesa che dirige questi cambiamenti: «La Chiesa ha perso la regia della produzione culturale», è diventata un player culturale fra altri; riconoscere questa nuova condizione «implica la maturità di comprendere» che i fedeli sono “attori”, magari a volte anche “protagonisti”, «ma sempre insieme e accanto agli altri». Perché, così conclude padre Spadaro, «il nostro futuro non si costruisce più alla ricerca di “egemonie culturali”», nemmeno quella ecclesiale. Si deve invece “iniziare dai molti” , per riprendere una formulazione calzante di Pierangelo Sequeri.

A questo proposito si potrebbe ricordare un confratello del reverendo sotto-segretario, Michel de Certeau (1925-1986), che il 17 maggio avrebbe festeggiato il suo centesimo compleanno. Il gesuita francese, tanto apprezzato da Papa Francesco, faceva spesso risuonare la formula “non senza l’altro” per indicare l’impossibilità dell’esistenza spirituale-cristiana di chiudersi in sé stessa. L’ex-allievo di Henri-Marie de Lubac scoprì la sua vocazione a trovare l’altro soprattutto fuori dei “porti sicuri” della Chiesa e della disciplina teologica, in mezzo ad altri avvenimenti, attraverso il confronto diretto (fisico e intellettuale) con i movimenti degli studenti e lavoratori a Parigi nel maggio ’68. Da quel momento in poi de Certeau si volse coscientemente alle scienze umane contemporanee, come la psicoanalisi o gli studi culturali, e a una cerchia di lettori non più ristretta all’ambiente cattolico. Nel suo libro L’invenzione del quotidiano, de Certeau si dedica allo studio delle pratiche dell’uomo e della donna comune. Non si tratta di un agire potente e “strategico” ma più debole, “tattico”. Contrariamente alla prospettiva pessimistica del suo contemporaneo Michel Foucault e alle sue riflessioni sulle istituzioni della società disciplinare in Sorvegliare e punire, de Certeau sottolinea la creativa «antidisciplina» della vita quotidiana che non può essere determinata o controllata completamente nemmeno da un capitalismo pantocratico.

Michel de Certeau non descrive il soggetto consumatore come un’esistenza puramente passiva e semplicemente sottomessa al potere ma rimanda a una resistenza combattiva che si manifesta addirittura nella sfera del consumo pubblico e domestico. Questa si manifesta in alterazioni non pianificate dei prodotti o nel loro reimpiego in luoghi impensati, nonché in parte nell’uso improprio di cose e luoghi. «Il quotidiano si inventa attraverso mille forme di bracconaggio», constata de Certeau. Pur riconoscendo, quindi, le dinamiche corruttrici della logica capitalistica e tecnocratica, il gesuita francese intende mettere in evidenza gli spazi di libertà all’interno dei sistemi dominanti.

Questa potrebbe essere una prospettiva anche per una teologia rapida? Certo, Giuseppe Guglielmo ha ragione, quando afferma che nelle facoltà di teologia in Italia non si trovano molte “sollecitazioni interne” che suscitano iniziative innovative nella didattica, nello studio e nella ricerca. Le condizioni istituzionali spesso non sono favorevoli alla «ricerca di nuovi linguaggi per dire la fede», come ricorda Spadaro. Ed è fuori discussione che le istituzioni possano favorire con forza grandi cambiamenti ma anche ostacolarli in modo doloroso e frapporre inutili ostacoli. Non si deve in alcun modo negare questa responsabilità da parte dell’istituzione. La prospettiva di de Certeau ci invita a prendere in considerazione, nonostante tutto, il potenziale di libertà dei singoli soggetti stessi, senza i quali neanche le istituzioni (ecclesiali o secolari) possono sussistere. Resta quindi la domanda: arde in noi quel desiderio per l’altro e allo stesso tempo per gli altri che ha rapito gli apostoli e i mistici ma che ha anche fatto sì che uno studioso come Michel de Certeau lasciasse panorami noti e abituali per osare un’apertura del pensiero verso altri paesaggi e orizzonti?

Osservatore

Ansia e preoccupazione nel mondo dopo il pesante raid israeliano contro siti nucleari e missilistici in Iran. Uccisi vertici dei pasdaran. L’Iran ha risposto con il lancio di droni Col fiato sospeso

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Il mondo è con il fiato sospeso per la pericolosa escalation di guerra che si sta scatenando in Medio Oriente, a seguito dell’attacco di Israele contro l’Iran scattato intorno alle 2:00 di questa notte. E le Nazioni Unite hanno reagito in mattinata con il segretario generale, António Guterres, richiamando «l’obbligo degli Stati membri ad agire in conformità con la Carta dell’Onu e il diritto internazionale».

Con bombe e missili, lanciati nell’operazione definita “Rising Lion”, Israele ha colpito diversi siti militari e nucleari iraniani. Presi di mira in particolare il complesso di arricchimento dell’uranio di Natanz, nella provincia di Esfahan (un impianto sotterraneo protetto da uno scudo di cemento spesso quasi otto metri), che fa parte del programma nucleare iraniano; il sito di Fordo, oltre a diverse aree di Teheran. Le immagini mostrano palazzi distrutti e in fiamme in parte della capitale. Il ministro degli Esteri iraniano ha parlato di «una dichiarazione di guerra», mentre il titolare della Difesa ha aggiunto che il Paese «è pronto a stare in guerra per anni».

Attacchi sono stati segnalati sulla sede dell’Organizzazione per le industrie aerospaziali (Oia), in piazza Nobonyad, che coordina la produzione missilistica del Paese; sull’area di Lavizan, considerato un sito nucleare non dichiarato però oggetto di indagine da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea); la Torre Jahan Koudak; il quartiere di Farahzad, il più antico della capitale, costruito 1.500 anni fa; il distretto di Amir Abad, che ospita una centrale elettrica; il quartiere di Andarzgou; la via Patrice Lumumba e il complesso residenziale di Asaitd-e Sarv; nonché la società Pars Garna, su via Langari, che fornisce servizi di progettazione e costruzione per progetti industriali.

Un portavoce militare israeliano ha riferito che sono stati impiegati nell’operazione oltre 200 aerei da guerra, che hanno colpito più di 100 obiettivi. Nel mirino sono finite anche le città di Ilam e Avaz, al confine con l’Iraq, Tabriz, nel nord ovest e sede di importanti raffinerie, Esfahan e Arak a sud della capitale e Kermanshah.

L’attacco però non ha riguardato solo siti nucleari e di produzione di missili balistici, ma anche i vertici dello Stato iraniano. Oltre al ferimento di decine di persone e alla morte di sei scienziati esperti di nucleare, tra le vittime risultano infatti anche il capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, Mohammad Bagheri, e il leader dei Guardiani della rivoluzione, Hossein Salami. Gravemente ferito invece Ali Shamkani, consigliere politico della Guida suprema iraniana, Ali Khamenei. La conferma arriva dai media locali. L’Iran ha risposto in mattinata con il lancio di oltre 100 droni, che secondo fonti militari israeliane sarebbero già stati intercettati al di fuori dello spazio aereo del Paese. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dichiarato con effetto immediato «uno stato di emergenza speciale su tutto il territorio dello Stato».

L’Idf ha giustificato il raid come «azione preventiva» per evitare che l’Iran possa sviluppare la bomba atomica. E il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha affermato che «questa operazione durerà tanti giorni quanti necessari per eliminare questa minaccia», considerata «imminente». «L’Iran è vicino ad avere 9 bombe nucleari», ha aggiunto.

L’attacco non sarebbe venuto però solamente dal cielo, grazie a un’operazione di intelligence progettata direttamente sul territorio iraniano. Una fonte della sicurezza israeliana ha rivelato che molto prima del raid di stanotte, agenti del Mossad avevano creato una base per droni esplosivi nei pressi della capitale Teheran. Droni sono stati attivati durante la notte e lanciati verso i lanciamissili terra-terra della base di Espajabad. Come ha sottolineato ancora la fonte, ripresa dai media israeliani, l’attacco ha coinvolto quindi tanto l’Idf, quanto il Mossad e industrie di difesa israeliane, in una pianificazione durata anni con raccolta di informazioni e dispiegamento in profondità nel territorio della Repubblica islamica. Questa ha definito l’attacco «una dichiarazione di guerra».

Il presidente degli Usa, Donald Trump, che ha convocato per oggi una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, ha dichiarato che Washington non è stata coinvolta negli attacchi, ma è stata avvisata preventivamente da Israele. Tuttavia, al momento, confermano da Teheran, il negoziato con gli Usa sul nucleare, è bloccato, e nessuna delegazione verrà inviata al prossimo vertice previsto per il fine settimana in Oman. Trump ha ribadito su Truth che «l’Iran è in tempo per porre fine al massacro, faccia un accordo». E mentre Teheran ha chiesto una riunione urgente del Consiglio di sicurezza Onu, l’Ue, ha chiesto «moderazione e diplomazia». Condanne per l’attacco israeliano sono arrivate da Hamas, oltre che da Paesi come Russia e Turchia.

Le tensioni tra Israele e Iran, con il rischio di un terzo fronte di guerra, spingono il settore dell’energia. Balzo del petrolio a +7%, in rialzo anche il prezzo del gas, con le quotazioni ad Amsterdam che guadagnano il 4,4%.

Osservatore

Analisi. L’escalation, l’egemonia militare e la sudditanza di Trump

Avvisto dei raid lunedì, fino a ieri sera il tycoon aveva insistito (formalmente) ribadendo che l’intesa con Teheran sul nucleare era vicina. E chiedendo a Netanyahu di evitare i raid
Il premier iraeliano Benjamin Netanyahu all'Assemblea generale dell'Onu di New York il 27 settembre 2012

Il premier iraeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea generale dell’Onu di New York il 27 settembre 2012 – Reuters

Avvenire

Questa volta la risposta di Teheran non sarà poco più che «simbolica», come avvenne tra la primavera e l’autunno dell’anno scorso, quando Joe Biden frenò l’ira di Ali Khamenei in cambio di promesse. Promesse che ora Donald Trump ha sovvertito. Anzi, come ha dimostrato di fare ormai dall’insediamento alla Casa Bianca, promesse che ha lasciato che venissero scavalcate dalle intenzioni degli altri. Il problema è infatti l’implicito (anche se negato fino all’ultimo) avallo a tutta l’operazione Leone Nascente (come sempre con una citazione biblica) di Israele da parte di Trump. Che ormai non controlla da tempo l’alleato mediorientale. A partire da quanto succede a Gaza per finire alla questione iraniana, l’intervento in Siria o in Libano.

Ha lasciato che la diplomazia, gli accordi di Abramo in particolare, cedesse di nuovo il passo all’egemonia militare di Tel Aviv nella regione. Egemonia armata e rifornita dalla Casa Bianca di armi e tecnologia. Trump sapeva dalla telefona di lunedì scorso il giorno e l’ora dei raid. Ha fatto evacuare le ambasciate della regione e fino a ieri sera ha parlato di «accordo vicino con Teheran sul nucleare» chiedendo a Israele di non rovinare tutto con l’azione dei caccia e degli uomini del Mossad che in poche ore hanno decapitato i vertici militari, dei Pasdaran e dell’esercito, e quelli scientifici legati al programma nucleare. Un attacco preventivo, ha detto Israele: preventivo rispetto a che cosa? Alla realizzazione di una bomba nucleare da parte dell’Iran, la stessa che all’Assemblea generale dell’Onu del settembre 2012 aveva ritratto in un cartellone-cartoon con la miccia fumante e la sfera esplosiva.

Nel diritto internazionale l’attacco preventivo è “giustificato” da un’immediata minaccia. La prova per Israele è forse la risoluzione che ieri l’Aiea ha pubblicato bocciando l’autenticità dei dati forniti da Teheran sulla quantità di uranio arricchito a Natanz, lo stesso impianto colpito dagli F-35 venduti da Washington a Tel Aviv? Per molti esperti internazionali, però, questo non basterebbe a giustificare l’operazione. La paura di Israele di avere in Medio Oriente un rivale, al suo pari, nucleare è legittima e giustificata. Il sistema usato per scongiurarla lo è meno, soprattutto dopo che il presidente Usa ha detto che l’accordo con gli ayatollah era vicino e qualche ora più tardi ha ribadito che Teheran non può avere la bomba atomica.

Insomma: quell’escalation che per mesi tutti hanno temuto, tanti brandito e pochi sperato è pronta per essere mesa in campo. In un quadrante già devastato a Gaza, rivoluzionato in Siria e sconquassato in Libano l’ultimo sviluppo non fa che ampliare il rischio. Per l’ennesima volta con attori ben al di fuori del contesto: la Russia in primis, principale fornitore e partner tecnico e militare degli ayatollah. Uno scenario che si interseca alla contrapposizione già in atto in Ucraina e in altre realtà “minori”. Tanti pezzetti di una guerra in cui sbiadisce sempre più l’accezione di “regionale”.

Israele attacca l’Iran. L’operazione con oltre 200 caccia, droni e incursori sul terreno. Gli ayatollah preparano la rappresaglia

Teheran avvolta dal fumo delle esplosioni

Teheran avvolta dal fumo delle esplosioni – Ansa

Avvenire

È guerra tra Israele e Iran. Non più i raid circoscritti degli ultimi due anni. Per il regime degli ayatollah è una prova esistenziale. Dopo la prima ondata di raid notturni decine di droni Shahed – gli stessi forniti a Putin per attaccare l’Ucraina – sono stati lanciati contro Israele.

L’operazione “Leone nascente” è diretta contro il programma nucleare iraniano. L’intelligence israeliana sostiene che l’Iran ha attualmente abbastanza uranio arricchito per costruire 15 bombe nucleari. E anche l’Agenzia Onu per il nucleare nei giorni scorsi per la prima volta aveva segnalato attività iraniane incompatibili con il processo di produzione di centrali al solo scopo civile. Almeno 200 caccia, oltre a missili e droni hanno colpito fabbriche di missili balistici e altri centri militari. “Il regime iraniano lavora da decenni per ottenere un’arma nucleare. Il mondo ha tentato ogni possibile via diplomatica per fermarlo, ma il regime si è rifiutato di fermarsi”, ha dichiarato l’esercito insraliano.

Per Teheran è un colpo al cuore del regime, i cui vertici sono stati più volte decapitati da operazioni mirate israeliane. Anche negli attacchi delle ultime ore sono segnalati agenti operativi israeliani sul terreno, da dove hanno potuto dirigere il fuoco su obiettivi specifici e circoscritti. “Possiamo ora confermare che il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate iraniane, il Comandante delle Guardie della Rivoluzione islamica e il Comandante del Comando di Emergenza dell’Iran sono stati tutti eliminati durante gli attacchi israeliani in Iran da parte di oltre 200 aerei da combattimento”. Lo ha comunicato una nota dell’Idf, le forze di difesa israeliane, riferendosi all’uccisione negli attacchi in Iran di Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, Hossein Salami, comandante della Guardia rivoluzionaria iraniana e Ghulam Ali Rashid, comandante del comando iraniano Hatem al-Anbiya. “Questi sono tre spietati assassini di massa con le mani sporche di sangue internazionale. Il mondo è un posto migliore senza di loro”, commenta nel post l’esercito israeliano, celebrando il successo dell’operazione.

Il presidente Donald Trump, informato dell’attacco a inizio settimana, ha ribadito che gli Stati Uniti restano impegnati a risolvere la questione del nucleare iraniano attraverso la diplomazia, ma ha aggiunto che la Repubblica islamica deve prima rinunciare alla speranza di costruire un’arma nucleare. “Potrebbero diventare un grande Paese, ma prima devono rinunciare completamente alla speranza di ottenere un’arma nucleare”, ha aggiunto il tycoon.

La settimana scorsa, la Guida Suprema Ali Khamenei aveva definito la proposta americana “al 100% contraria” agli interessi del suo Paese. E questa notte dopo i primi raid ha promesso una “punizione” per Israele di una misura mai vista. Poco prima delle 3 del mattino, erano emerse notizie della massiccia presenza di jet sopra l’Iraq. Il segnale d’attacco., mentre le sirene sono suonate in tutto Israele e avvisi ad alta voce sono stati inviati ai telefoni degli israeliani, avvertiti della “grande offensiva” e che ci si aspettava una rappresaglia iraniana. I cittadini sono stati istruiti a rimanere vicino a spazi protetti.

L’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) rassicura: “Nessun aumento dei livelli di radiazioni è stato osservato” nel sito nucleare iraniano di Natanz, colpito dai caccia israeliani perché nelle ultime settimane erano arrivate le prove dell’arricchimento del combustibile nucleare oltre il limiti necessari per gli standard di uso civile. L’Iran, è l’accusa, si stava preparando a produrre ordigni nucleari con cui sarebbe entrato nel ristretto circolo delle potenze atomiche.

C’è una sola possibilità che l’operazione possa fermarsi: Teheran deve accettare la proposta di negoziato Usa, sospendendo l’arricchimento dell’uranio, ma a questo punto gli ayatollah difficilmente potranno mostrarsi soccombenti senza reagire.

Gli Usa assicurano di non avere partecipato in alcun modo alle operazioni israeliane e pochi giorni fa avevano offerto al personale militare e diplomatico non indispensabile la facoltà di lasciare le basi in Iraq e in altri siti mediorientali.

Nessun aereo è in volo fra Tel Aviv e Kabul. Al Ben Gurion, principale scalo dello Stato ebraico, alla luce “della attuale speciale situazione di sicurezza” tutti i voli “sono cancellati fino a nuove comunicazioni”, si legge sul sito dello scalo internazionale che invita i passeggeri a “non recarsi in aeroporto”. Anche la Giordania ha chiuso lo spazio aereo. Siti come “FlightRadar24” mostrano un intero corridoio aereo vuoto, dalle sponde del Mediterraneo orientale fino all’Afghanistan.

I piani militari israeliani venivano messi a punto da anni e le forze armate di Tel Aviv sono stati preparate ad affrontare un conflitto a distanza per un lungo periodo.

Diverse immagini in rete mostrano e alcune foto diffuse dal canale Telegram ufficiale del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane (Itgc), mostrano gli incendi in edifici residenziali nella capitale iraniana. Per Teheran questa è la prova degli attacchi su obiettivi civili, ma per Israele quei filmati sono la prova di avere centrato gli obiettivi della prima e non ultima ondata: abitazioni dove vivono scienziati nucleari, ufficiali delle forze armate, siti militari.

Ora tutti guardano alle piazze iraniane, dove Israele e l’intelligence di altri Paesi occidentali da tempo lavorano per una reazione popolare che possa dare il benservito agli ayatollah.