TEOLOGIA «Dio mio, perché mi hai abbandonato?» I padri della Chiesa e il grido di Gesù

«Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: «Elì, Elì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? »: così suona il versetto 46 del capitolo 27 del Vangelo di Matteo che riporta alcune delle parole più sconvolgenti pronunciate dal Figlio di Dio, parole che fin dalle origini del cristianesimo sono state oggetto di particolare attenzione e di approfondite riflessioni. Ciò è molto ben testimoniato dal libro del noto biblista Gérard Rossé, Mio Dio, perché mi hai abbandonato. Inchiesta sui Padri della Chiesa da Giustino a Teodoreto di Cirro (Città Nuova, pagine 222, euro 16,90), nel quale l’autore, «senza la pretesa di essere esaustivo né particolarmente tecnico», presenta un’indagine sulla risonanza che il grido di Gesù in croce ebbe nell’animo e nella mente di alcuni tra i maggiori intellettuali cristiani dei primi secoli.

Gli antichi scrittori presi in considerazione da Rossé sono Giustino, Ireneo, Tertulliano, Ippolito di Roma, Origene, Ilario di Poitiers, Atanasio di Alessandria, Cirillo di Alessandria, Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo, Efrem di Nisibi, Ambrogio di Milano, Girolamo, Agostino, Leone Magno e Teodoreto di Cirro. Al termine dell’esame di quanto ciascuno di questi maestri ha lasciato scritto sull’argomento, l’autore traccia un bilancio complessivo del suo lavoro, riassumendone i contenuti e indicandone i risultati, senza trascurare di avvertire il lettore che l’approccio patristico alla Sacra Scrittura risulta caratterizzato da alcuni limiti che l’odierna esegesi ha superato. Dopo aver chiarito la questione dell’interpretazione della Bibbia da parte dei Padri, Rossè affronta il problema relativo all’uso che essi fecero delle categorie culturali, che furono quelle tipiche dell’epoca ellenistica, nelle quali «ben presto si è impiantata e poi sviluppata la fede cristiana». Al centro di tutto stanno le complesse dispute cristologiche che caratterizzarono i primi secoli del cristianesimo e che si risolsero con la decisiva affermazione che Gesù Cristo fu vero Dio e vero uomo. Riguardo a tutto ciò, Rossé fa notare che l’autentica soluzione ai non pochi problemi suscitati dall’identità profonda del Crocifisso ci viene offerta dalla fondamentale verità secondo la quale per i cristiani «Dio nel suo essere è Amore, da interpretare alla luce delle categorie culturali nelle quali il dato rivelato si è espresso». Dalla definizione di Dio come Amore, l’autore fa discendere alcune interessanti riflessioni sul concetto di persona, sull’Incarnazione come kenosi e sul grido d’abbandono che «manifesta Gesù nell’atteggiamento massimale di Figlio. Abbandonato da tutti, Gesù chiama «Mio Dio» come colui che è suo Dio, il suo unico tutto. Il grido rivela un Gesù soltanto «debolezza », uno che non è più nulla, ma solo fedeltà aperta alla relazione, a riceversi da un altro che chiamava Abba». Pertanto – conclude Rossé -, «il grido di abbandono, interpretazione della morte del Crocifisso, appare dunque come un cammino di fede che va fino in fondo nel suo non-essere relazionale umanamente vissuto come fedeltà, ricevendosi e crescendo nella propria identità di Figlio».

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