I preti sposati non sono di serie b, e sono pienamente capaci di svolgere pienamente il proprio ministero nella Chiesa Cattolica come grande risorsa

Comunicato stampa – Roma 30 Novembre 2022.

“I preti sposati non sono di serie b, e sono pienamente capaci di svolgere pienamente il proprio ministero nella Chiesa Cattolica come grande risorsa”: la precisazione del Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati, fondato nel 2003 da don Serrone, commentando un articolo sul concilio e… il celibato dei sacerdoti di  Gilberto Borghi pubblicato in  vinonuovo.it

Di seguito il testo dell’articolo:

“Presbyterorum ordinis (PO) è il documento del concilio sul ministero e la vita dei sacerdoti. Viene votato in extremis, il giorno prima della chiusura del Vaticano II. L’intero n. 16 è dedicato a ribadire “l’imposizione per legge” del celibato ai sacerdoti della Chiesa latina.

Il testo impernia questo obbligo sulla “convenienza” del celibato allo stato sacerdotale, riconoscendo che tale condizione “non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali, nelle quali vi sono degli eccellenti presbiteri coniugati”. Il concilio, quindi, ammette che la decisione della Chiesa non nasce da come Cristo ha costituito il sacramento dell’ordine, ma da una propria scelta che di per sé, non ha obbligatorietà divina e perciò può anche essere revocata.

Coerentemente, perciò, PO giustifica la scelta affermando che in questo modo “i presbiteri aderiscono più facilmente a lui con un cuore non diviso, si dedicano più liberamente in lui e per lui al servizio di Dio e degli uomini, servono con maggiore efficacia il suo regno e la sua opera di rigenerazione soprannaturale, e in tal modo si dispongono meglio a ricevere una più ampia paternità in Cristo”. Per quattro volte viene usata la logica dl compartivo di maggioranza, indicando chiaramente che con il celibato la missione del sacerdote raggiunge la potenziale perfezione.

Se la razionalità non è assente dal testo del concilio qualche domanda è necessaria. Come possono essere eccellenti preti quelli sposati nella Chiesa orientale, se la perfezione del servizio sacerdotale c’è solo con il celibato? Posto così, difficilmente si esce dall’idea che i preti sposati siano di serie b, rispetto alla loro capacità di svolgere pienamente il proprio ministero. Ricordo che Benedetto XVI nell’ottobre del 2009 ha accettato che preti anglicani sposati potessero rientrare come preti nella chiesa cattolica ed esercitare a pieno titolo il loro ministero. Che Benedetto sia andato contro il Vaticano II?

Ancora. PO 13 dichiara che “I presbiteri raggiungeranno la santità nel loro modo proprio se nello Spirito di Cristo eserciteranno le proprie funzioni con impegno sincero e instancabile”. Tradotto: il sacerdote diventa santo se fa bene il prete, al massimo grado. Ma per viverlo al massimo si deve essere celibi, perciò il celibato è necessario alla santità del prete. Poi, però, si legge Guaudium et Spes 17 e ci si accorge che la santità non può essere imposta per legge, nemmeno per legge divina: “Dio volle, infatti, lasciare l’uomo in mano al suo consiglio, che cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, aderendo a lui, alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e determinato da convinzioni personali, e non per un cieco impulso istintivo o per mera coazione esterna”. Qualcosa non torna.

Perché, sempre PO 16 afferma che il celibato va chiesto come dono a Dio e va abbracciato liberamente dal sacerdote. Il che sembra maggiormente possibile se fosse reso facoltativo, più che obbligatorio. É pur vero che si può scegliere liberamente di stare dentro ad una regola esterna (che per ciò stesso non è più esterna), ma se questa è condizione indispensabile per essere preti, allora, per essere fedeli a GS 17, è assolutamente necessario ammettere al sacerdozio solo coloro che hanno compiuto davvero questa scelta interiore. E in effetti il concilio offre questa indicazione. Nel documento dedicato ai religiosi si dice che i candidati “non abbraccino questo stato, né vi siano ammessi, se non dopo una prova veramente sufficiente e dopo che sia stata da essi raggiunta una conveniente maturità psicologica ed affettiva” (PC 12). Ma ciò viene esplicitato solo per i religiosi, non per i sacerdoti. Sarà stato un caso?

Ancora. Il sacerdote celibe ha la possibilità di testimoniare “quel mondo futuro, presente già attraverso la fede e la carità, nel quale i figli della risurrezione non si uniscono in matrimonio” (PO 16). A dire che la vita nel Regno di Dio non ammette la sessualità. Per giustificare ciò, coerentemente, il concilio afferma che i candidati al sacerdozio “abbiano una conveniente conoscenza dei doveri e della dignità del matrimonio cristiano, ma sappiano comprendere la superiorità della verginità consacrata a Cristo” (OT 10). Testo clamorosamente smentito da S. Giovanni Paolo II nell’udienza del 14 aprile 1982: “Nelle parole di Cristo sulla continenza per il Regno dei cieli non c’è alcun cenno circa la inferiorità del matrimonio”. Le parole del Nuovo testamento “non forniscono motivo per sostenere né l’inferiorità del matrimonio, né la “superiorità” della verginità o del celibato”. Che anche S. Giovanni Paolo II sia andato contro al concilio?”

(in https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/il-conclio-e-il-celibato-dei-sacerdoti/)

 

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