Preti sposati per una riforma della formazione al ministero

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A partire dalle sue lunghe esperienze storiche e in ragione della sua attuale responsabilità per quanto riguarda una formazione professionale e scientifica dei preti, la Facoltà teologica cattolica di Graz ha messo mano a una riflessione di fondo sulla formazione al ministero ordinato. Questo testo è stato discusso con diversi responsabili della formazione presbiterale in Austria e rielaborato di conseguenza. La versione finale viene presentata al pubblico dalla Presidenza della Facoltà teologica cattolica dell’Università di Graz.

La nostra presa di posizione si inserisce nel contesto della nuova Ratio fondamentalis sulla formazione dei preti (8 dicembre 2016), che è oramai stata adottata localmente dalle diverse conferenze episcopali. Nel quadro di questo processo la Facoltà teologica cattolica di Graz desidera presentare alcune analisi e suggestioni che si propongono di contribuire alla formazione di preti del popolo di Dio e per il popolo di Dio in questo nostro tempo caratterizzato da radicali mutamenti del quadro complessivo del vivere umano.

Necessità di una riforma

Al tempo della loro fondazione i seminari tridentini per la formazione dei preti sono stati un progetto all’avanguardia per quanto riguarda la professionalizzazione e la qualità accademico-culturale del ministero. A fronte della pressione pluralizzante dell’Illuminismo e della modernità si mise mano a uno stretto processo di socializzazione e qualificazione che mirava alla formazione di un’identità presbiterale stabile e predeterminata.

La formazione seminariale al ministero ordinato preparava a una posizione ecclesiale di potere che riguardava l’intera persona del prete. Laddove il sistema religioso di senso, la forma sociale ecclesiale e la realtà sociale si sostengono a vicenda è possibile che concetti teologici divengano modelli personali di identità, ruoli vocazionali e professionali concreti ed esperienze individuali di riconoscimento. Ma questo non è più il caso per quanto riguarda i nostri territori.

Nel nostro tempo la formazione dei preti non deve più preparare alla rappresentanza di una posizione di potere nella Chiesa, quanto piuttosto a una testimonianza incondizionata e dedita del Vangelo nel mondo di oggi. Tutto ciò non cambia gli elementi classici della formazione al ministero (formazione umana, approfondimento spirituale, formazione accademica e teologica, competenza pastorale), ma inserisce questi elementi in un quadro completamente nuovo e richiede la messa in campo di nuove concezioni.

Nuovi contesti

L’attuale formazione al ministero ordinato deve riconoscere che, in tempi di auto-determinazione religiosa, lo specifico della teologia cattolica del ministero, ossia la rappresentanza dell’extra nosdella grazia, non può più essere realizzata nella forma abituale di un collegamento con forme giuridiche e/o sociali di esperienze di riconoscimento e di potere.

La domanda decisiva è la seguente: in quale modo il ministero ordinato cattolico può realizzare il suo genuino compito al di là delle tradizionali attitudini di potere e della forma di vita clericale? Come questo può essere vissuto concretamente, in un modo che sia rilevante per la prassi e venga effettivamente sentito come esperienza della grazia per i preti e per tutto il popolo di Dio? Come si preparano le persone a questa dimensione aperta e impegnativa, ma anche ricolma di possibilità e appassionante?

Tale domanda pone i futuri preti e coloro che li accompagnano davanti a sfide di rilievo. Costrizione comunitaria, privilegio mondano di vita, riduzione della propria responsabilità, orientamento a un’immagine di prete statica e la protezione da una realtà sociale attraversata dalle sue turbolenze non conducono da nessuna parte. Solo una valorizzazione che passa attraverso richieste esigenti e fiducia donata in libertà è in grado di sostenere lo sviluppo di nuove forme di esistenza e vissuto presbiterale per la Chiesa del futuro.

Proprio questo deve essere il nodo saliente nella formazione al ministero oggi. Solo in questo modo può generarsi quell’habitus che deve contrassegnare in futuro la pastorale e che solo può impedire il clericalismo: una disposizione complessiva di umiltà come realismo auto-critico, attenzione e solidarietà.

Cosa viene richiesto

Una riuscita formazione al ministero deve tenere conto del contesto sociale ed ecclesiale a partire da e verso il quale essa deve essere concepita. La società è caratterizzata da processi di individualizzazione e pluralizzazione a cui si collegano le attese di autonomia, libertà e compimento individuale – una condizione che non può essere semplicemente elusa dalla formazione al ministero se essa vuole tenere fede alla promessa cristiana fondamentale di un’esistenza redenta e liberata.

Inoltre, sotto le figure della società del consumo, della prestazione, della sicurezza, emergono nuove coercizioni e si profilano tendenze di una fatale identità politica che conducono all’isolamento e alla desolidarizzazione. Entrambe contraddicono lo spirito del Vangelo.

Anche decenni dopo il Vaticano II, la Chiesa cattolica stessa si trova in una fase di passaggio come si evince non solo dall’attuale pontificato ma anche da una serie di processi diocesani di riforma. Tra le sfide attuali troviamo la carenza di preti, la parità dei diritti delle donne e la necessaria opzione per gli esclusi e marginalizzati. A questo si aggiungono tutta una serie di controversie ecclesiali interne, di questioni dogmatico-morali e altre di carattere pastorale – come è divenuto evidente negli ambiti che circondano Amoris laetitia.

Nonostante una permanente nostalgia di molti per esperienze di trascendenza la Chiesa come istituzione non riesce a guadagnare una nuova rilevanza. Anzi, deve lavorare febbrilmente alla propria credibilità (duramente colpita negli ultimi tempi dagli abusi sessuali) passando attraverso l’autenticità dei suoi rappresentanti individuali. Solo in questo modo essa può tradurre adeguatamente e con successo il suo messaggio evangelico nel mondo della vita degli esseri umani.

Senza entrare nel merito della visione teologico-dogmatica del ministero presbiterale, è chiaro che esso avanza la pretesa di essere una forma particolare della sequela di Gesù e, al tempo stesso, una rappresentazione centrale della Chiesa nella sua struttura sacramentale di fondo – il tutto collegato con un’alta responsabilità esistenziale al fine di introdurre credibilmente gli uomini e le donne alla familiarità con il Vangelo nella società odierna sempre più complessa.

In queste condizioni, sulla base di un saldo ancoraggio spirituale, una riuscita esistenza come prete richiede una misura ampia di auto-responsabilità, flessibilità e creatività, capacità di prendersi cura di sé, come anche una fondamentale apertura e un interesse positivo per gli esseri umani e per il mondo.

Lavoro mani

Contro tendenze difensive all’isolamento e al ritiro, che nella maggior parte dei casi implicano anche una svalutazione del «mondo», vi è bisogno di un «sì» di fondo detto spassionatamente all’uomo che sia attraversato dalla speranza e dall’amore cristiano. Sul piano intra-ecclesiale è richiesta anche la capacità di saper gestire in maniera produttiva forme eterogenee di esperienza ed espressione, da un lato, e, dall’altro, di non assolutizzare le proprie esperienze. In particolare, al fine di poter venire a capo di ciò che esige oggi l’esistenza presbiterale sono centrali l’autenticità cristiana umana e spirituale come la capacità di dialogo con gli uomini e il mondo.

La complessità delle sfide e la necessità di una configurazione della propria chiamata al ministero ordinato di cui si è individualmente responsabili richiedono, oggi in misura maggiore rispetto al passato, la capacità del discernimento degli spiriti: inteso come competenza esistenziale in situazione che integra ragione e fede. Alla diagnosi di fondo di una Chiesa in trasformazione deve corrispondere una disponibilità interiore permanente alla riflessione e allo sviluppo.

Libertà e responsabilità

Una diversa formazione al ministero ordinato deve rendere possibile una nuova generazione di preti che si comprende come parte del popolo di Dio e non aspira più a privilegi ecclesiastici, poiché vive nella sequela di Cristo e la realizza nella propria vita.

In vista di ciò è imprescindibile assumere, fin dai primi passi, la responsabilità per la propria configurazione di vita – compresi i rischi che essa comporta.

Nessun candidato al ministero dovrebbe essere sollevato della responsabilità per la configurazione individuale della propria situazione di vita e abitativa (in comunità, nelle famiglie, da soli o in collegi per studenti). Chiunque risparmia i giovani candidati al ministero dal portare il peso di un modo di vita condotto responsabilmente in prima persona non fa per nulla il loro bene.

Processi qualificati di accompagnamento devono sostenere e ispirare il cammino verso una solida cultura del vivere percorso da ognuno in libertà e auto-responsabilità.

Individualizzazione e pluralità dei percorsi formativi

A seconda della situazione di partenza e del percorso biografico della persona le tappe di formazione dei candidati al ministero ordinato devono assumere una forma essenzialmente più individuale di quanto non sia stato fino a oggi. Le componenti centrali di questo cammino di formazione (studio accademico della teologia, formazione spirituale, acquisizione di capacità e competenze approfondite a livello sociale, comunicativo e spirituale) devono essere attuate in maniera flessibile e plurale seguendo le esigenze e le condizioni individuali.

Ciò che è decisivo per il raggiungimento delle mete formative non è uno schematico portare a termine programmi annuali, ma il livello formativo e di competenze effettivamente raggiunto individualmente. Accanto agli aspetti imprescindibili per l’accesso all’ordinazione a livello accademico e caratteriale si deve dare ampio spazio e valorizzare generosamente la scoperta e lo sviluppo dei più diversi talenti individuali.

Equilibrio fra comunità e individualità

Esperienze e abilità di profilo sociale e comunitario appartengono senza dubbio alle mete formative per il ministero ordinato. Queste ultime non sono raggiungibili né seguendo un modello che si concentri unicamente sul singolo individuo, né attraverso procedure di omogeneizzazione comunitarista nel corso del periodo di formazione come avviene secondo il concetto classico del seminario.

Rispetto a ciò, le competenze e abilità sociali (come la capacità di lavorare in gruppo o la competenza di guida di una comunità) possono svilupparsi nella misura in cui viene formato anche il carattere individuale attraverso la presa in carico e il rispetto delle disposizioni personali.

Ogni candidato al ministero deve quindi, passo dopo passo, accedere effettivamente a forme di vita e di apprendimento comune e condivise – questo non solo con altri candidati al ministero dello stesso sesso, ma anche in fasi più lunghe in cui ci si concentra sulla capacità di autonomia e responsabilità personale senza inquadramento comunitario o un sostentamento organizzato dalla Chiesa.

Ministero

Esporsi alla realtà sociale

La Chiesa non deve vivere distaccata dagli uomini, ma con e tra essi. Una percezione realistica della realtà sociale, con tutte le sue opportunità e anche i limiti, è quindi essenziale non solo per la percezione della Chiesa stessa ma anche per l’immagine di sé da parte delle generazioni future di preti.

I segni dei tempi si riconoscono all’interno della realtà sociale e non sulla base di rappresentazioni del XIX secolo fatte passare per tradizione ecclesiale.

Scrittura e tradizione richiedono a partire da sé stesse la sempre nuova attualizzazione in vista dell’uomo che vive concretamente. Ciò significa, per una Chiesa presente a livello internazionale, pluralità e non simultaneità – e, con questo, anche tolleranza rispetto a differenti raffigurazioni della conduzione di vita personale e collettiva.

Come è stato spesso il caso nella storia della Chiesa, nella percezione degli sviluppi sociali i preti dovrebbero precedere le loro comunità e non trottare al seguito malcontenti e pessimisti. Da favorire e sostenere sono quindi esperienze nell’ambito socio-caritativo, il confronto regolare con le arti contemporanee e la cultura-pop, la capacità di dialogo ecumenico e interreligioso, le competenze di base per una responsabilità di guida che sia sensibile alla differenza di genere.

Sostenere esigendo e dando fiducia

Un grande merito del Tridentino è stato e rimane l’esigere un’ampia formazione teologica da parte dei preti. Le facoltà teologiche hanno il compito di sostenere le nuove leve del ministero ordinato attraverso l’esigenza intellettuale. Proprio coloro che si sentono chiamati al ministero dovrebbero porsi come meta non il minimo di quanto richiesto dai corsi teologici, bensì il massimo – questo implica anche un semestre obbligatorio di studio all’estero e l’affiancamento di altri studi di carattere non teologico.

Per garantire questa configurazione umano-spirituale sarebbe un grosso vantaggio una più stretta collaborazione delle facoltà con le strutture ecclesiali di formazione (ad esempio seminari di studio gestiti insieme, escursioni, tirocini formativi, e così via). In questo bisogna tenere conto del profilo specifico delle singole personalità. Percorsi individuali di vita meritano un accompagnamento esigente e al tempo stesso ricolmo di fiducia.

Un invito

Invitiamo tutti i responsabili, gli interessati e le persone direttamente coinvolte nel ministero ordinato a pensare insieme a noi a una riforma della formazione al ministero stesso. Sappiamo bene che anche per i teologi e le teologhe accademici le cose non possono rimanere come sono. Infatti, «i buoni teologi, come i buoni pastori, odorano di popolo e di strada e ungono le ferite dell’uomo con olio e vino» (Francesco, Lettera in occasione del 100° anniversario della Facoltà di teologia della Pontificia università cattolica argentina).

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