Palestina di sangue nei giorni della memoria

Palestina di sangue nei giorni della memoria.

GERUSALEMME-ADISTA. Un Giorno della memoria insanguinato. Il 27 gennaio, in pieno Shabbat, la città santa è stata protagonista di «uno dei peggiori attentati degli ultimi anni». A definirlo così il commissario della polizia gerosolimitana, Kobi Shabti. Un giovane palestinese, Alkham Khairi, proveniente dal campo profughi di Shuafat, ha aperto il fuoco sui fedeli riuniti nella sinagoga di Ateret Avraham, nel rione Neve Yaacov: otto persone sono rimaste uccise, mentre dieci ferite. Secondo le autorità israeliane il giovane terrorista «ha iniziato a sparare a distanza ravvicinata a chiunque incontrasse, uccidendo anche coloro che erano arrivati a vedere cosa era successo». La vicenda si è conclusa con la morte dell’attentatore, avvenuta per mano delle Forze di sicurezza israeliane, che lo hanno bloccato lungo i vicoli del quartiere Beit Hanina, dove Alkham stava tentando la fuga.

L’attacco sembra essere una reazione spontanea del giovane, nipote di un palestinese ucciso nel 1998 da un colono israeliano, agli eventi dello scorso 26 gennaio, quando un cosiddetto raid anti-terroristico israeliano nell’area di Jenin ha provocato la morte di nove palestinesi e oltre una ventina di feriti. «Abbiamo deciso alcuni passi concreti immediati e il Consiglio di difesa del governo li varerà in una riunione convocata per domani sera». Queste le prime dichiarazioni del premier Netanyahu, subito dopo l’attacco alla sinagoga. L’invito, rivolto alla popolazione, è di «non prendere la legge tra le proprie mani» lasciando alle autorità competenti il compito di salvaguardare la sicurezza e garantire la giustizia. «Mi impegno di fronte a voi quale primo ministro dell’unico Stato ebraico – ha dichiarato Netanyahu – che noi resteremo vigili, forti e non permetteremo mai che la Shoah si ripeta».

Nel frattempo, Hamas ha definito «eroica» l’azione del giovane terrorista, vista come una «risposta naturale per i morti di Jenin». Molte città palestinesi, fra cui la stessa Jenin, hanno salutato con giubilo la notizia dell’attentato. Nessuna voce sull’episodio, per il momento, giunge da parte cristiana. Ad ogni modo, già da tempo l’Assemblea degli ordinari cattolici di Terra Santa (Aocts), presieduta da Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, aveva rimarcato l’escalation di tensione registrata in città. «È necessario – avevano affermato gli ordinari cattolici – che le autorità politiche e religiose, assumendosi le proprie responsabilità, si adoperino per riportare a maggiore serenità la vita civile e religiosa della città. Gerusalemme deve rimanere la patria dei credenti di tutte le fedi e non ostaggio di gruppi radicali».

«Con grande dolore apprendo le notizie che giungono dalla Terra Santa, in particolare della morte di dieci palestinesi, tra cui una donna, uccisi durante azioni militari israeliane antiterrorismo in Palestina; e di quanto accaduto vicino a Gerusalemme venerdì sera, quando sette ebrei israeliani sono stati uccisi da un palestinese e tre sono stati feriti all’uscita dalla sinagoga», ha detto papa Francesco al termine dell’Angelus di questa mattina in piazza San Pietro. «La spirale di morte che aumenta di giorno in giorno non fa altro che chiudere i pochi spiragli di fiducia che ci sono tra i due popoli. Dall’inizio dell’anno decine di palestinesi sono rimasti uccisi negli scontri a fuoco con l’esercito israeliano. Faccio appello ai due Governi e alla Comunità internazionale, affinché si trovino, subito e senza indugio, altre strade, che comprendano il dialogo e la ricerca sincera della pace. Preghiamo per questo, fratelli e sorelle!». 

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