L’associazione CHIF Liberi e Solidali a favore di sacerdoti sposati, preti sposati, ex-religiosi/e

1. Una notizia che rifugge da senzazionalismi

Non farebbe un granché notizia la nascita di una nuova Fondazione. Non altrettanto se l’estro (o l’andazzo) giornalistico la rende solleticante con titoli che odorano di scandalo, come avviene, nel nostro caso, col dare risalto ai soggetti, “ex-preti” e “ex-suore”, più che all’organizzazione che si occuperà di loro.

A chi s’impegna in questo settore della società cattolica, riesce ostico il clamore che suscita il semplice parlare di loro e delle loro “rivendicazioni”, dato che non sono in discussione temi ideologici o morbosi, e la notizia riguarda un fattore concreto di umana solidarietà. È vero, il sacro esercita un gran fascino per il suo alone di mistero che evoca inconsci tabù, tanto più se in riferimento ad una sessualità trasfigurata o repressa (due lati della stessa medaglia). Ma i mass-media giocano sull’immediatezza dei sentimenti e delle impressioni; e perciò vanno a rovistare inesistenti archivi donde trarre statistiche su questa genia di trasgressivi che pretendono inventarsi una propria normalità…

I fondatori della CHIF, per non incrementare una tale deviazione della notizia, danno per scontata la vessata questione circa l’opportunità o necessità di revisione di alcuni canoni ecclesiastici e si pongono sul versante che si occupa e preoccupa del che-fare.

2. Perché questa Fondazione

È a tutti noto che i giovani di oggi trovano con difficoltà una via per mettere a frutto il risultato dei loro studi, competenze, master e corsi vari, assunzioni provvisorie eccetera. Ben poco comparabile alla loro è la posizione in cui vengono a trovarsi le persone consacrate all’uscita da un ambiente delimitato perché totalizzante, e perciò tale da assorbire al suo interno ogni capacità individuale. Fuori dall’istituzione in età più o meno avanzata, esse si trovano a fronteggiare con armi spuntate l’impatto con una società pretenziosa e discriminante: non era stato preventivato in alcun modo (anzi era stato visto come inammissibile debacle) uno spostamento a 360 gradi di tutti gli aspetti della propria esistenza.

La CHIF, nata a S. Margherita Staffora (Pavia) il 14 luglio 2004,  si propone di venire incontro alle condizioni mortificanti che subiscono non pochi di loro, e non sempre i più sprovveduti. Ai fini di evitare che restino in balia dell’incertezza dell’oggi e del domani, la Fondazione si dà una consistenza strutturale giuridica ed economica (conta su risorse finanziarie da attivare in modo imprenditoriale); intanto, nell’offrire loro una breve sosta spazio-temporale, ravvivata da rapporti amicali, ha un lungimirante progetto: il rilancio morale e spirituale delle doti e della ricca esperienza capitalizzata, in modo da dargli continuità e nuova fecondità.

3. Lo spirito animatore e i fatti concreti

A questo punto è legittimo porsi la domanda: quale rapporto ha il fattore economico (che pare prioritario nella CHIF), con l’animazione spirituale che i fondatori non mancano di prediligere? È paradigmatico un piccolissimo segno, che possiamo derivare da quello che si chiama l’inno della CHIF: parole che ruotano attorno al tema della libertà e dell’amore. Questo binomio, su cui incombe la minaccia della retorica e della mistificazione, viene assunto dai fondatori della CHIF in controtendenza rispetto all’abuso che se ne fa: ponendo, a sua convalida, i fatti. Non si tratta di semplice pragmatismo, ma di ispirazione profetica, liberata da falsi pudori, orientata al biblico FARE LA VERITÀ. Dal momento che non è facile evitare almeno due aspetti dell’aiuto da prestare, e cioè il pietismo e la concezione materialistica delle sovvenzioni, una serie di precauzioni dovrà impedire sia la passività del ricevente sia l’attivismo del donatore. Cioè, dare aiuto concreto, per la CHIF, non significa dare al proprio simile danaro, casa, posto di lavoro, quant’altro gli serve, anche se è necessario occuparsi in maniera temporanea di contingenze ineludibili. Non è questione secondaria, ma essenziale, che tra le due parti, di chi dà e di chi riceve, si crei uno spirito collaborativo a tutta prova: in modo da risolvere meglio le difficoltà della nuova collocazione sociale, sconfiggendo nello stesso tempo la facile caduta nella solitudine, forse anche nell’isolamento sociale, con tutte le sue asprezze.

4. Con quali criteri opererà la CHIF

Forse è più facile dire che cosa non è la CHIF, anziché tracciarne il campo di azione.

Se essa non fa opera di beneficenza e non funge neanche da ufficio di collocamento o di qualcosa di simile, nondimeno non mancherà di offrire delle opportunità, sia pure limitate.

Ma un criterio laico accompagnerà la sua azione: nell’occuparsi dei diritti umani (senza sbandierarli polemicamente), non dovrà ricalcare lo stile clericale del guardare più all’interno che al di là dei confini dentro i quali si muove. Il proposito di promuovere la dignità dei soggetti correrà sui binari della dilatazione dell’orizzonte esistenziale, della tessitura di una tela di rapporti con altre organizzazioni variamente caratterizzate, del tenace tentativo di dialogo con realtà apparentemente lontane dalle sue dinamiche operative.

Il risultato scaturirà dai criteri ispiratori, resi visibili e comunicabili dall’atmosfera di fiducia che creerà. E certamente sarebbe più facile elencare le opere da promuovere rispetto allo spirito che dovrà animarle… 

 

5. Corollari  della CHIF

Un’altra segnalazione: nel favorire l’aiuto vicendevole e lo scambio collaborativo tra uguali, la CHIF dovrà attenersi ad un codice che le permetta l’accesso alla reale configurazione delle condizioni di coloro di cui si occupa; i quali non sono i soliti, ben riconoscibili svantaggiati che s’incontrano in ogni dove. Cioè terrà presente che, quasi nessuno, per disinformazione o pregiudizio, vede in loro “soggetti di bisogno”, e che loro stessi non amano apparire tali. Per fare un esempio, capita di notare che, nel fraternizzare tra preti sposati o suore ormai del tutto laicizzate, tira una brutta aria se ci si attesta su posizioni che rimarcano la diversità di cui sono fatti segno rispetto ai comuni cittadini: la voglia di normalità porta a scansare allacciamenti al passato.

Allora la CHIF mirerà a promuovere, con opportune strategie, una rivalutazione del passato nella piena libertà di fronte ad esso. Se è di grande importanza porre i soggetti nelle condizioni di utilizzare e sviluppare le attitudini personali, un tempo adoperate proficuamente, altrettanto necessario è che l’acquisto della nuova identità non sia conflittuale nei riguardi della prima formazione. Ci sono poi altri corollari da tener presenti. La verità del fare abilita a “gridare sui tetti” l’opportunità di: a) raggiungere chi resta dentro l’istituzione solo per la paura di affrontare il domani; b) sensibilizzare la gente comune; c) realizzare un auspicabile cammino in comune con i membri della gerarchia ecclesiastica che fossero disponibili. Programma, questo, pertinente, ma che richiede tempi lunghi e ulteriori sviluppi.

Se volgiamo lo sguardo al presente dell’umanità, ci accorgiamo che le discriminazioni sono il vero ostacolo nel quale s’infrange ogni disegno di pacificazione universale. Per ovviarvi, sono da abbattere stupidi tabù e barriere. Ma nell’immediato non resta che occuparsi della fetta di umanità “più vicina”. La CHIF guarda a quella di cui abbiamo parlato. La quale, il più delle volte resta invisibile, data l’endemica emarginazione di chi osa varcare i confini del sacro; ed invoca, tacitamente, aiuto.

Proprio per questo la CHIF ha la funzione storica di esserci.

sito web in costruzione

http://www.chif.altervista.org/

mail: chif.direzione@tiscali.it

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