La pace: chiave di rilettura della teologia

di: Fabrizio Mandreoli-Matteo Prodi

Settimana News

Alcune parole – in larga parte tratte dalle riflessioni di papa Francesco e ispirate da una serie di ricerche comuni[1] – possono aiutare nell’introdurre un testo diffuso recentemente – Lettera del 15 maggio 2022 del prof. Sergio Tanzarella – sull’assunzione della pace, evangelica e storica, come chiave di lettura per un possibile ripensamento complessivo dell’insegnamento della teologia a livello universitario.

Quello che accade al mondo (LS 19)

Un passaggio dell’enciclica sulla casa comune Laudato si’ può aiutare a descrivere i molti cambiamenti che possiamo operare nel mondo, anche nel campo della ricerca teologica: «Dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane, una parte della società sta entrando in una fase di maggiore consapevolezza. Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta. Facciamo un percorso, che sarà certamente incompleto, attraverso quelle questioni che oggi ci provocano inquietudine e che ormai non possiamo più nascondere sotto il tappeto. L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare» (LS 19).

Queste parole ci suggeriscono almeno due prospettive: va preso atto di uno scacco del modello di vita che abbiamo progressivamente scelto, con il relativo fallimento del progresso che ci si attendeva.

Questo non per assumere una postura solo critica, ma per trasformare in qualcosa di personale – sofferenza e dolorosa coscienza – ciò che accade attorno a noi. Paradossalmente la catastrofe – secondo la valutazione di molti ricercatori e scienziati – che ci circonda è anche il materiale per costruire una serie di prassi rinnovate. Si tratta probabilmente di una delle strutture portanti del pensiero di papa Francesco: la speranza viene dall’assumere, dal prendere sulle spalle, dal prendersi cura del mondo ferito.

La speranza è fare spazio al sofferente che abbiamo incontrato davanti a noi. Tale ragionamento teologico ha il suo apice nell’esposizione dei quattro principi presenti nell’Evangelii gaudium: «Per avanzare in questa costruzione di un popolo in pace, giustizia e fraternità, vi sono quattro principi relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale. Derivano dai grandi postulati della Dottrina sociale della Chiesa, i quali costituiscono il primo e fondamentale parametro di riferimento per l’interpretazione e la valutazione dei fenomeni sociali. Alla luce di essi desidero ora proporre questi quattro principi che orientano specificamente lo sviluppo della convivenza sociale e la costruzione di un popolo in cui le differenze si armonizzino all’interno di un progetto comune. Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero» (EG 221).

Il motore intimo di questo ragionamento sta nel comprendere e assumere le tensioni bipolari che sempre abitano il sociale per farle diventare spinta per costruire un popolo che cammini in relazione agli appelli di Dio e a quelli della storia dell’umanità.

Per la costruzione di un popolo

In questo quadro, anche sul termine popolo si dovrebbe sostare a lungo, per riconoscere in esso la radice di ogni ragionamento politico, sociale, economico – ed ecclesiale – di Bergoglio: basti qui ricordare la necessità continua di allargare il nostro orizzonte e il nostro pensare allontanandoci da ogni individualismo e da ogni relazionalità disincarnata. I pilastri di tale popolo sono: pace, giustizia e fraternità.

Fin dalla sera della sua elezione il pontefice argentino ha fatto capire che il suo desiderio di fondo non riguardava solo la Chiesa, ma la costruzione di una nuova umanità, che avesse nella fraternità/sororità il suo orizzonte di senso. Possiamo qui richiamare alcune parole della Fratelli tutti: «Le pagine che seguono non pretendono di riassumere la dottrina sull’amore fraterno, ma si soffermano sulla sua dimensione universale, sulla sua apertura a tutti. Consegno questa enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché, di fronte a diversi modi attuali di eliminare o ignorare gli altri, siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà» (FT 6).

Nel testo si respira l’anelito ad abbracciare ogni persona, ogni popolo e ogni istituzione, soprattutto quelle impossibilitate a sperimentare la giustizia: «Quando tutte queste relazioni sono trascurate, quando la giustizia non abita più sulla terra, la Bibbia ci dice che tutta la vita è in pericolo. Questo è ciò che ci insegna il racconto di Noè, quando Dio minaccia di spazzare via l’umanità per la sua persistente incapacità di vivere all’altezza delle esigenze della giustizia e della pace: «È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza» (Gen 6,13).

In questi racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri» (LS 70). A ben vedere oggi è, proprio, la pace (insieme con la pace) il pilastro che appare più fragilizzato e in pericolo: «Lo faccio nella convinzione che la loro applicazione può rappresentare un’autentica via verso la pace all’interno di ciascuna nazione e nel mondo intero» (EG 221).

Il progresso e lo sviluppo che attendiamo devono partire da tale prospettiva «verso la pace» e sulla costruzione di una convivenza pacifica devono essere misurati.

Cosa può fare la teologia?

In Veritatis gaudium (n. 3) si afferma che l’obiettivo della teologia deve essere orientato dai temi dello sviluppo e del progresso, letti in un determinato senso, infatti «l’esigenza prioritaria oggi all’ordine del giorno, infatti, è che tutto il Popolo di Dio si prepari ad intraprendere “con spirito” una nuova tappa dell’evangelizzazione». Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma».

E in tale processo è chiamato a giocare un ruolo strategico un adeguato rinnovamento del sistema degli studi ecclesiastici.

Essi, infatti, non sono solo chiamati a offrire luoghi e percorsi di formazione qualificata dei presbiteri, delle persone di vita consacrata e dei laici impegnati, ma costituiscono una sorta di provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo e che si nutre dei doni della Sapienza e della Scienza di cui lo Spirito Santo arricchisce in varie forme tutto il Popolo di Dio: dal sensus fidei fidelium al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi. […]

Tanto più che oggi non viviamo soltanto un’epoca di cambiamenti ma un vero e proprio cambiamento d’epoca, segnalato da una complessiva «crisi antropologica» e «socio-ambientale» nella quale riscontriamo ogni giorno di più «sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degrado, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie». Si tratta, in definitiva, di «cambiare il modello di sviluppo globale» e di «ridefinire il progresso»: «il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire leadership che indichino strade».

Aggiunge il papa: «Questo ingente e non rinviabile compito chiede, sul livello culturale della formazione accademica e dell’indagine scientifica, l’impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – mi permetto di dire – verso «una coraggiosa rivoluzione culturale». In tale impegno la rete mondiale delle Università e Facoltà ecclesiastiche è chiamata a portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte»

Se tutti i passaggi che abbiamo presentato – in maniera, certo, sintetica – sono corretti, vale la pena ascoltare la proposta del prof. Sergio Tanzarella che, ci pare, vada letta e soppesata attentamente. Proposta che può essere così riassunta: la pace evangelica e storica, personale e sociale, potrebbe divenire – per ragioni teologali e storiche – l’orizzonte di senso del fare teologia nei contenuti, nei metodi, nell’impostazione della ricerca e degli studi.

Compito che richiederebbe un appassionante lavoro comune, un pensiero progressivamente condiviso e la collaborazione di molti/molte che lavorano nell’insegnamento teologico e nella direzione degli istituti teologici.

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