Il mistero dei misteri: “Crimen Sollicitationis”

Il mistero dei misteri: “Crimen Sollicitationis”
Nel 2006 la BBC trasmise in Inghilterra un documentario intitolato: “Sex Crimes and the Vatican” che affrontava il tema scabroso degli abusi sessuali sui minori nei quali erano coinvolti decine di sacerdoti cattolici responsabili di reati di pedofilia, accaduti nella diocesi di Ferns nella contea di Wexford in Irlanda, svelando particolari allarmanti e di come i reati, e i loro autori, vennero tutelati dalle autorità ecclesiastiche.
È superfluo dire che in Italia non è mai andato in onda perché il Vaticano ne bloccò la proiezione programmata durante la trasmissione Anno Zero andata in onda il 20 maggio 2010 intitolata “Peccati e reati” dedicata a questo argomento. La redazione della serie giornalistica d’inchiesta della Rai dovette cedere alle motivazioni della Santa Sede preoccupatissima che la visione di tale documentario avrebbe creato equivoci e alzato una polemica pericolosa sull’argomento in tutto il Paese.

Sin dagli anni ’80, alcuni avvocati statunitensi iniziarono ad assumere il patrocinio di minori che avevano subito violenza sessuale da parte di preti pedofili, in alcuni casi si trattava di bambini. All’inizio le gerarchie cattoliche gestirono le denunce addivenendo ad un accordo privato tra le parti che prevedeva la liquidazione di una somma a titolo risarcitorio, nel contempo la parte denunciante rinunciava alla causa con l’obbligo di sottoscrivere un patto di riservatezza.

Alla fine degli anni ’90 il numero delle denunce era così consistente che attirò l’attenzione del Boston Globe che condusse un’inchiesta approfondita e documentata dimostrando quanto fosse diffuso il fenomeno della pedofilia negli Stati Uniti al contempo iniziavano ad emergere numerosi casi di pedofilia anche in Francia, Germania, Inghilterra, Irlanda, Sud America, tale situazione spingeva il Vaticano ad intervenire con una lettera ad exsequendem denominata “De Delictis Gravioribus” a firma del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede pro tempore cardinale Joseph Ratzinger controfirmata dall’arcivescovo Tarcisio Bertone datata 18 maggio 2001 che conteneva le istruzioni rivolte ad aggiornare quanto precedentemente definito in un altro documento denominato “CRIMEN SOLLICITATIONIS” emanato dal Santo Uffizio il 16 marzo 1962 in materia di delitti considerati particolarmente gravi che riguardano i rituali sacramentali e la morale.

Il documentario della BBC “svelava” al grande pubblico l’esistenza di un atto scritto interno al Vaticano che era noto solo ai vescovi diocesani perché mantenuto nel più stretto segreto (pena la scomunica), tutt’ora in vigore, che contiene la procedura da seguire in caso di denuncia per abusi sessuali su minori consumati e denunciati nell’ambito clericale e reati contro il culto. I patrocinatori americani nelle cause di reati di pedofilia con la pubblicazione della lettera ad exsequendem firmata dal cardinale Joseph Ratzinger poterono rintracciare l’atto originario e, in base ad esso, lo citarono in giudizio con l’accusa – in veste di prefetto vaticano – di aver dato “copertura” ai preti pedofili per 20 anni perché era non solo a conoscenza dell’atto ma diretto responsabile dell’applicazione delle procedure contenute nel “Crimen Sollicitationis” dal 1981 – anno d’inizio del suo mandato – al 2001 – anno della pubblicazione delle modifiche.

Occorre una corretta informazione per affrontare questo delicato argomento dapprima partendo da una lettura critica del documento del 1962, avendo cura di abbandonare sin dall’inizio ogni pregiudizio o riserva mentale riguardo il suo contenuto e i suoi autori e soprattutto rifuggire la tentazione di ricoprire con la dignitosa purezza dello spirito la miseria umana.

Riporto il frontespizio del documento sopra citato in italiano datato 1962. L’ultimo periodo dedicato ai vescovi fa riferimento alla segretezza.

1962 03 16 * CRIMEN SOLLICITATIONIS (ITA) * Alfredo Ottaviani

DALLA SUPREMA SACRA CONGREGAZIONE DEL SANTO UFFIZIO

A TUTTI I PATRIARCHI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E ALTRI MENBRI DEL CLERO DEI LUOGHI
“ANCHE DI RITO ORIENTALE”

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ISTRUZIONE

Sulla procedura nelle cause di molestia

DA CONSERVARSI DILIGENTEMENTE NELL’ARCHIVIO SEGRETO DELLA CURIA IN RAPPORTO ALLA NORMA DA NON PUBBLICARE E DA NON ACCRESCERE CON ALCUN COMMENTO

Il documento inizia con le disposizioni preliminari. Si ha molestia quando “un sacerdote o nell’atto del sacramento della confessione; o prima o immediatamente dopo la confessione; o in occasione o con il pretesto della confessione; o anche al di fuori dell’occasione della confessione nel confessionale o in altro luogo destinato ad ascoltare le confessioni o scelto con il pretesto di ascoltare la confessione proprio in quel luogo, abbia, tentato di incitare o invitare un penitente – qualsiasi persona sia – a comportamenti disonesti e vergognosi sia con parole, sia con segni, sia con cenni, sia con contatto fisico o attraverso la scrittura da leggere al momento o in seguito o abbia tenuto con lui discorsi o pratiche illecite e disoneste con audacia sconsiderata”.

Il Tribunale diocesano territorialmente competente è quello di residenza dell’accusato ma, in casi di particolare gravità, la causa può essere deferita al S. Uffizio o, quest’ultimo avocarla a sé inoltre è diritto dell’accusato chiedere il trasferimento della causa dinanzi alla Congregazione.

La Congregazione del S. Uffizio è meglio conosciuta come “La Santa Inquisizione” ed è tutt’ora operativa (seppure con un altro nome, ndr).

La vittima deve denunciare il fatto durante la confessione entro dieci giorni dall’accadimento e solo per gravi impedimenti può essere scritta o delegata a persona di fiducia del denunciante. Deve indicare il nome, la data e le circostanze dell’episodio ed eventuali testimoni.

La procedura viene gestita totalmente da soggetti clericali: giudice, difesa, consulenti per le indagini e notaio (che presenzia alle udienze e sottoscrive tutti gli atti che invierà al Vaticano dove verranno archiviati e secretati).

L’organo giudicante è composto dagli Ordinari del luogo – Vescovo residenziale, l’Abate o, in carenza dei primi due, il prelato nullius (cioè con popolo e territorio separati ed esenti), l’Amministratore, il Vicario e il Prefetto Apostolico. Normalmente vi è un solo giudice a causa del segreto che investe l’intero procedimento in tutte le sue parti, può accadere che la complessità della situazione richieda la cooperazione di assessori consulenti scelti tra i sinodali – al massimo due – tale numero ristretto di cooperanti è giustificato dalla segretezza imposta nell’esercizio dei propri incarichi. E’ la segretezza che domina incontrastata tutta la procedura fino ad estendersi inesorabilmente oltre.

Preliminari – punto 11 – cita: “Quello che nel trattare queste cause deve essere curato e osservato in misura più grande è che le medesime si svolgano segretissimamente e che, dopo che siano state determinate e ormai affidate ad esecuzione siano vincolate da un perpetuo silenzio (Instr. Del Santo Uffizio, 20 febbraio 1867, n. 14); tutti anche presi singolarmente, in qualsiasi modo appartenenti al tribunale, o ammessi a causa del loro incarico alla conoscenza degli avvenimenti sono tenuti a conservare inviolabilmente il segreto strettissimo, che è comunemente definito segreto pontificio, sotto pena di incorrere nella scomunica “latae sententiae” immediatamente e senza ulteriore dichiarazione (automaticamente solo per aver commesso il fatto) e riservata alla sola persona del Sommo Pontefice, ad esclusione della Sacra Penitenziaria. Gli Ordinari sono vincolati da questa legge ipso iure o dall’importanza del proprio incarico; gli altri aiutanti ex iuramento che sempre debbono prestare prima di cominciare il proprio compito; e sono vincolati anche coloro che sono delegati, interpellati informati in contumacia, ex praecepto nelle lettere di delega, di citazione, di istruzione imponendo loro con l’espressa menzione del segreto pontificio”.

Perché viene imposto tale segreto?
«In alcune questioni di maggior rilevanza viene richiesto un particolare segreto, detto segreto pontificio, e che deve essere custodito con grave obbligo, poiché si tratta della sfera pubblica, che riguarda il bene di tutta la comunità religiosa, non spetta a chiunque, secondo ciò che detta la propria coscienza, ma a chi legittimamente ha la cura della comunità decidere come, quando o con quale gravità tale segreto debba essere imposto».
Continuando:
«Coloro che hanno l’obbligo di custodire tale segreto» dovrebbero considerarsi come «legati non da una legge esteriore, ma invece da un’esigenza che scaturisce dalla loro stessa dignità umana, dovrebbero perciò ritenere un onore essere chiamati a custodire tali segreti per tutelare il bene pubblico».
Si evince che la “facciata” della comunità religiosa è un bene pubblico da tutelare ad ogni costo.

Nell’analisi delle disposizioni preliminari emerge la necessità per il Vaticano di silenziare tutti coloro che partecipano al procedimento per tutelare l’immagine della comunità religiosa; di far trattare direttamente ed esclusivamente il delitto da un tribunale ecclesiastico sottraendolo alla giustizia secolare; vincolare il denunciante (vittima) al segreto del Santo Uffizio e, nel testimoniare davanti al giudice (Vescovo) – senza l’assistenza di un legale – dire la verità pena la scomunica. Nel Titolo quinto – IL DELITTO PEGGIORE – punto 73. “Con il nome di “peggiori dei delitti” si intende qui qualsiasi atto osceno gravemente peccaminoso compiuto o tentato in qualsiasi modo da un membro del clero con una persona del proprio sesso e con animali bruti”. (Bestialitas)

Qui si condanna esplicitamente l’omosessualità come uno dei delitti peggiori. Proprio ieri papa Francesco ha dichiarato che l’omosessualità non va criminalizzata dando una spallata ad un principio contenuto in un documento ufficiale del Santo Uffizio. Per me il problema consiste nel tollerare, invece la soluzione sta nell’accettare, beninteso se ciò non reca danno ad alcuno. Ancora oggi purtroppo si può venire uccisi per le divergenze di idee.

E cosa dire della “bestialitas”? Penso alla povera gallina che prima di finire in pentola deve subire violenze sessuali e non può neanche recarsi in un confessionale a denunciare il suo violentatore – se è un prete – o dalla polizia se non lo è. Però anche gli animali hanno una dignità!

Nella formula si usa “con” e non “contro” un minore – che può essere un bambino o una bambina pari o al di sotto dei 10 anni – imponendo alla vittima il ruolo di complice. Questo particolare è a mio avviso estremamente grave: imporre a un minore vittima di abusi sessuali il ruolo di complice pregiudica tutto il processo, ne devia all’origine la finalità di tutelare i diritti di una vittima di abusi sessuali qualsiasi età abbia. Non vi è una vittima e un “carnefice” ma due complici. Forse per questo la procedura vaticana permette di porre domande tendenziose e autoincriminanti alla vittima.

In un tribunale secolare queste premesse sono inaccettabili: come può un bambino essere complice per abusi sessuali da lui subiti!

Oggi vengono denunciati preti pedofili che molestano bambini, adolescenti e maggiorenni che versano in particolari condizioni di fragilità sociale o psicologica che frequentano scuole private cattoliche, oratori cattolici e parrocchie.

Durante il dibattimento in una causa per pedofilia, l’avvocato Daniel Shea si è visto accusare di complicità da un vescovo diocesano perché difensore del minore che aveva subito abusi sessuali da un prete pedofilo.

Delle modifiche apportate dalla Congregazione della Dottrina della Fede al documento del 1962 e della vicenda giudiziaria del cardinale Joseph Ratzinger strettamente connesse ne parlerò nel successivo approfondimento.

Lucia Pomponi in fainformazione.it

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