Diventare prete. Spazio anche ai preti sposati

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Nel dibattito apertosi in Germania sulla riconfigurazione della formazione al ministero ordinato, a seguito della prima bozza di un documento in merito redatto da una commissione in seno alla Conferenza episcopale tedesca, si è inserita un’interessante puntualizzazione di carattere storico-culturale per mano di Erich Garhammer (emerito di teologia pastorale presso l’Università di Würzburg).

L’istituzione ecclesiale del seminario in Germania viene letta nella sua parabola dal Concilio di Trento al XX secolo, contrassegnata dallo spartiacque dell’800 in cui il seminario, come luogo di formazione del futuro clero, si congeda definitivamente dallo spirito pastorale e di cura d’anime che rappresentava il cardine della sua genesi tridentina. Nel XIX secolo esso assume una funzione di politica ecclesiastica nei confronti dello Stato, nel conflitto reciproco per la formazione del ceto clericale del paese.

Nato a Trento come possibilità di garantire un’adeguata formazione teologica e spirituale per i candidati meno abbienti, che in ragione dello stato sociale di provenienza non avevano una sufficiente formazione previa e non potevano permettersi la frequenza delle università, nell’800 il seminario diventa un’«istituzione totale» che assorbe tutto il percorso formativo e spirituale dei candidati al sacerdozio. Diventando il polo di garanzia dell’ortodossia del clero a fronte della teologia insegnata nelle università statali.

L’isolamento dei candidati al sacerdozio rispetto agli ambienti di vita, dalla loro famiglia di origine ai pericolosi corridoi e aule universitarie, diventa un perno del seminario, contribuendo al tempo stesso all’edificazione di un’aura sacrale che ammanta tutto il ministero ordinato. Secondo Garhammer è in questa atmosfera che si genera la forma moderna del clericalismo presbiterale, che a suo avviso si può ritrovare in tutto il suo stile ottocentesco ancora nella bozza presentata al Consiglio permanente della Conferenza episcopale tedesca.

In essa permangono tutte le criticità che hanno contraddistinto il passaggio del seminario attraverso le maglie conflittuali del Kulturkampf: separazione dal mondo e dalle pratiche di vita; mancanza di contatti con coetanei cattolici che studiano teologia senza aspirare al sacerdozio; totalizzazione delle pratiche di vita dei candidati al ministero; controllo istituzionale sul foro interno ed esterno; sospetto sistemico verso ogni teologia che non viene praticata in ambienti puramente ecclesiastici. Sempre secondo questo spirito la preparazione teologica alla pastorale viene completamente scorporata dall’università e condotta unicamente all’interno del seminario (questo fino a oggi, appunto).

Davanti ai cambiamenti odierni, che non riguardano solo le relazioni Stato-Chiesa, ma toccano i vissuti e le storie degli stessi candidati al ministero ordinato, la permanenza di una mentalità da Kulturkampf come quadro ispirativo per la riorganizzazione della formazione al sacerdozio cattolico, rappresenta – secondo Garhammer – la perpetuazione di un vero e proprio «peccato strutturale» da parte della Chiesa tedesca.

Per questa formazione bisogna trovare forme altre dal seminario, in grado di assumere i cambiamenti epocali in cui il ministero non solo si esercita, ma anche si origina. È la struttura «seminario» che oggi non è in grado di formare a quelle competenze pastorali che il ministero ordinato è chiamato a mettere in campo nel contesto attuale – come «la capacità di comunicazione, la multi-professionalità, il radicamento spirituale e la capacità di rendere ragione delle proprie scelte e del proprio vissuto». Ed è sempre la struttura «seminario» che induce una lontananza interiore da una teologia praticata e pensata nello spazio pubblico condiviso da tutti – credenti e non credenti, laici e candidati al ministero, uomini e donne…

Non sfugge quella sorta di bisogno clericale diffuso che concepisce la necessità di un’istituzione totale come condizione sine qua non di introduzione e preparazione al ministero ordinato nella Chiesa. Ma è proprio questo che non fa bene né al ministero, né alla Chiesa – senza parlare del popolo di Dio, che fa sempre più fatica a trovare un ministero competente davanti alle esigenze della fede che vive concretamente l’umana esistenza.

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