Carceri, il detenuto vale oro: mantenere le carceri sovraffollate per generare profitto

Mantenere le carceri sovraffollate per generare profitto. È questo uno dei principali rischi che si nascondono dietro all’ingresso dei privati nella costruzione e nella gestione dei penitenziari. Con l’art. 43 del decreto legge sulle liberalizzazioni, il governo ha ufficialmente sdoganato il project financing carcerario: società private potranno investire soldi nella costruzione di nuove strutture recuperando le spese attraverso la gestione di alcuni servizi interni e un canone fisso pagato dallo Stato per ogni detenuto.
Nelle intenzioni del governo di Mario Monti, il provvedimento dovrebbe rappresentare un passo fondamentale per «fronteggiare la grave situazione di emergenza conseguente all’eccessivo affollamento delle carceri».

Ma il pericolo di una deriva negativa è stato denunciato dall’associazione Antigone, che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale, opponendosi fortemente all’art.43: «Il trattamento penitenziario non può essere affidato a chi ha scopi di lucro. Gli imprenditori privati potrebbero avere interesse a trattenere i detenuti perché per loro rappresentano un profitto», spiega il presidente Patrizio Gonnella, «e il rischio che si corre è quello di voler mantenere le carceri in una situazione di sovraffollamento perché per i privati le prigioni piene sono una fonte di guadagno».

Nelle carceri italiane un sovraffollamento di 20.952 detenuti

Per lo stesso motivo, secondo l’associazione, anche le opportunità di ritorno anticipato in libertà non possono essere affidate a imprenditori privati così come «è palesemente incostituzionale affidare la gestione della salute dei detenuti a un imprenditore privato».
Il diritto alla salute è stabilito dall’articolo 32 della Carta e non può essere condizionato dalle risorse finanziarie che lo Stato mette a disposizione del sistema carcerario.
Gonnella sottolinea inoltre come già ora la situazione carceraria italiana presenti seri problemi. In quello che, secondo il ministro della Giustizia, Paola Severino Di Benedetto, dovrebbe essere «un luogo non solo di punizione ma anche di redenzione», sono attualmente recluse 66.695 persone, a fronte di una capienza totale di 45.743 posti.

Questo significa un sovraffollamento di 20.952 detenuti, con le conseguenze inevitabili che ciò comporta: «I carcerati non hanno spazio vitale, nelle celle sono costretti a stare in piedi alternativamente, non godono di un minimo di riservatezza quando usufruiscono del bagno e devono dividersi un paio di docce in 100 e più persone», sottolinea Gonnella.
Senza contare che l’attuale patrimonio carcerario italiano è costituito da un 20% di edifici realizzati tra il 1200 e il 1500, da un 60% costruito tra il 1600 e il 1800 e solo un altro 20% realizzato successivamente.

Massimo 20 anni di concessione e una quota di capitale pubblico del 20%

Il project financing è lo stesso che da dicembre consente alle banche e ai fondi di investimento privati di costruire e gestire tratte autostradali, linee metropolitane, alta velocità ferroviaria e altre infrastrutture.
Di questo strumento si parla già da alcuni anni in Italia: in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2009, la relazione del ministero della Giustizia sottolineò che l’ingresso dei privati nelle carceri sarebbe stato fattibile nel caso in cui lo Stato avesse partecipato «al finanziamento dell’opera nella fase di costruzione con un contributo finanziario pari al 60-70% del costo e, in fase di funzionamento, con una rata annuale di circa 45 milioni di euro, per un periodo determinato in 30 anni per piccoli penitenziari e in 40 anni per quelli grandi».

Indicazioni che il governo Monti non sembra aver recepito visto che la nuova legge prevede un massimo di 20 anni di concessione e una quota di capitale pubblico che può anche essere del 20%. «Non si capisce proprio come il privato possa recuperare l’investimento e il pubblico ammortizzare la spesa con questi paletti», commenta Stefano Anastasia, docente all’Università di Perugia ed ex presidente dell’associazione Antigone.
Il rischio è che il privato tenda a offrire servizi scadenti e poco costosi ai detenuti perché solo così può pensare di recuperare la somma investita.

Nessuna riserva aprioristica, invece, da parte del Si.di.pe (il sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari) che però chiede una garanzia: che tutti servizi erogati alla persona detenuta rimangano in mano all’amministrazione pubblica.
«La figura del direttore del carcere, degli educatori, degli assistenti sociali, del medico, degli infermieri, del personale amministrativo hanno un senso se continuano a essere di rilevanza pubblica», spiega il segretario del Si.di.pe e direttore del carcere di Trieste, Enrico Sbriglia.
Sull’emergenza affollamento, il sindacato ammette il bisogno di nuove strutture, ma proponendo modelli diversi di carceri e un maggior ricorso alle pene alternative. «Ma per far questo occorrerà rivedere il codice penale», conclude Sbriglia.

Usa, 731 detenuti ogni 100 mila abitanti: un business per la lobby delle carceri

Negli Stati Uniti, quella delle carceri private è una realtà dal 1984. Il Correctional business prese il via con il presidente Ronald Reagan assumendo dimensioni sempre maggiori negli Anni ’80 con Bill Clinton: nel corso degli anni, le aziende private come la Correctional corporation of America, che gestisce 66 penitenziari ed è quotata in borsa, e la Wackenhut corrections corporation hanno costruito e preso in gestione più di 1000 prigioni per far fronte a una crescita del numero dei detenuti che non ha conosciuto sosta, raggiungendo gli attuali 2 milioni e 200 mila presenze, cioè 731 detenuti ogni 100 mila abitanti.

Una massa di persone che è diventata fonte di guadagno immensa per quella che è già stata definita la “lobby delle carceri”, ma che ha sollevato più di qualche dubbio: se lo Stato paga un canone per ogni detenuto presente nelle carceri private, è ovvio che più persone sono in carcere maggiori saranno i guadagni.
La Correctional corporation of America si è recentemente offerta di acquistare alcuni penitenziari che il governo degli Stati Uniti intende dismettere, ma specificando che per lavorare avrà bisogno di penitenziari occupati almeno al 90% della capienza. In alcuni casi, si è arrivati anche alla corruzione, come in Pennsylvania dove due giudici sono stati condannati dopo aver ricevuto finanziamenti per aumentare il numero di condannati.

di Fabio Dalmasso – lettera43

14 Aprile 2012 ore 04:25

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