Architettura. Il sacro esige coraggio e libertà

Nel sacro lo sfoggio di decorazione, di effetti speciali architettonici e materici, può risultare del tutto inutile. Non si tratta di stupire o acquisire crediti, si tratta di innescare una relazione
L’interno della basilica nuova della Nuestra Señora de Guadalupe a Città del Messico

L’interno della basilica nuova della Nuestra Señora de Guadalupe a Città del Messico – archivio

Avvenire

Il dramma e la ricchezza delle diversità, le sperimentazioni, perennemente perfettibili, costituiscono il nucleo essenziale dell’essere le cui infinite manifestazioni si affermano e contraddicono senza sosta. Nel rapporto dell’uomo con il sacro, intimo e inalienabile, succede lo stesso: non vi sono piani superiori o inferiori di progresso spirituale ed estetico chiaramente classificabili come prodotti negli scaffali di un supermercato. Decoro, arredo, suppellettile, ornamento non sono più il vocabolario adatto a definire la creazione di un simbolo. Il sacro è incurante dei dogmi con cui l’osservante nostalgico e puntiglioso della norma prova ad addomesticare ogni rivelazione tentando di appropriarsene come marchio di privilegio ed elezione. Il sacro, qualunque forma gli si voglia dare, sceglie le sue strade, personali, inimitabili, uniche. Ma siamo calati nella storia, con i suoi eventi e le sue idee: conoscere è importante. La documentazione che riguarda ideazione e realizzazione di luoghi e simboli del sacro nei vari secoli, in particolare nel Ventesimo, come conferma la vasta ricerca di monsignor Santi, è ricchissima ed elaborata e può costituire la base per più di una riflessione. Se la conoscenza ha il suo valore però, è fondamentale che alle analisi segua il gesto. L’analisi è un utensile essenziale del pensiero. Condannata a perlustrare in ogni direzione possibile la ragnatela delle informazioni disponibili come un piccolo aracnide ostinato, deciso a non farsi sfuggire qualunque pur microscopica preda rimasta invischiata nella tela. Scompone ed esamina, in alcuni casi esamina l’esaminato in un susseguirsi di scatole cinesi cognitive, insidiose sabbie mobili capaci di inghiottire la meravigliosa possibilità che è stata regalata all’uomo di immaginare, anche l’eventualità del sacro. All’analisi è negata la dimensione del fine. Dovrebbe servire a spianare il terreno su cui poi, attraverso un gesto del tutto eterogeneo e proiettato all’esterno della propria bolla verso una concretezza sensibile agli altri, costruire la novità. Il contesto delle teologie e degli impianti teorici sovrapposti nei secoli su come realizzare, modulare, modificare, rinnovare i luoghi sacri è un territorio in cui la battaglia tra analisi e intuizione non è mai sopita. Il rischio è ideologizzare un fronte estetico, una qualunque pretesa priorità metodologica, per farne un feticcio, dimenticando che tutto questo se non serve l’uomo non ha più senso. Non esiste una verità univoca del metodo dal momento che la rivelazione ha scelto l’incarnazione specifica per ognuno, che significa tanti metodi quanti gli esseri viventi. Naturalmente non dico che vada tutto bene, ma le basi di una possibile linea comune non possono prevedere il dettaglio, che prende forma in ogni singolo caso. Si possono forse individuare alcuni presupposti attraverso cui la specificità umana prende forma, mai fissare in una regola quale volto avrà. Quello succede solo nel momento irripetibile della sua nascita. Così per i simboli e i luoghi del sacro. I risultati del passato sono lì da vivere. È però fondamentale uno sforzo supremo di libertà interiore. Si deve accettare che ogni singolo pregiudizio, il più complesso e argomentato, trova sempre in questo ambito un fronte opposto di controdeduzioni e sensibilità. La mia singolarità non è quella di altri ed è un diritto. Penso alla mia visita della cattedrale di San Vito a Praga che dispiega tutto l’armamentario per cui, io che entro, dovrei definirla un capolavoro del gotico. San Vito è uno di quei luoghi che vuole imporsi come il migliore, il più bello, la vera manifestazione del sacro sulla terra, che non a caso coincide con la gloria del potente di turno. San Vito non mi ha ispirato alcun trasporto mistico, l’ho trovata a mio gusto persino un po’ noiosa. Uno sfoggio distante, privato della carne di una vicinanza contigua, corruttibile e pressante, che invece ho incontrato, per esempio, a Besalú in Catalogna, tra i muri di una chiesetta del 1100 visitata velocemente in una giornata dal caldo ostile. Nel sacro, lo sfoggio di decorazione, di effetti speciali architettonici e materici, può risultare del tutto inutile. Non si tratta di stupire o acquisire crediti, si tratta di innescare una relazione intima insondabile, delicata e potente che non percorre le vie che ci aspettiamo, improgettabile, rivoluzionaria, discreta. Che lo spirito possa percorrere anche le vie del fasto più consueto è possibile, ma per nulla necessario. Oggi la focale si è spostata dalla ricchezza di ornamenti e forme e dallo sfoggio di potere alla dimostrazione di appartenenza a qualche élite estetico-culturale. Il sacro è diventato uno dei tanti luoghi in cui giocare i destini del proprio essere à la page con i tempi, nei modi delle mode che si vendono per elezione. Il contemporaneo, quello militante e non di maniera, intanto si è già spostato altrove rispetto a canoni che appartengono ormai a più di quarant’anni fa e oggi sono territorio di conquista dei devoti ritardatari, che trovano ospitalità proprio nei meandri delle idee sul sacro. Serve studio, ma soprattutto servono gesti, servono il coraggio e il rischio di una autonomia e vivacità spirituale senza cui ogni approccio al sacro come alla vita defluisce in un esercizio fine a se stesso, patetico cameo di una elezione immaginaria.

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