Vaticano P. Pierre Vignon: L’urgenza di una riforma del diritto canonico

(Pierre Vignon – Golias) Avevo già annunciato questa narrazione alla pagina 18 del numero 635 pubblicato il 27 agosto scorso: “Vediamo spesso il diritto canonico in vigore distruggere gli effetti concreti delle intuizioni teologiche e spirituali del Concilio Vaticano II e di colui che è chiamato a guidare la Chiesa come successore dell’apostolo Pietro”. E ho anche precisato: “Con questo non si nega l’importanza del diritto, anche nella vita della Chiesa. Lo paghiamo a caro prezzo ogni volta che lo facciamo. Si tratta di rimetterlo nel suo giusto rapporto con la Rivelazione di Cristo di cui la Chiesa è responsabile”.
Ero a questo punto delle mie riflessioni quando ho visto un piccolo libro di un brillante teologo italiano, padre Severino Dianich. Egli ha presieduto a lungo l’Associazione dei Teologi d’Italia e ha un impressionante record di pubblicazioni con oltre 170 titoli. Le sue ricerche riguardano l’ecclesiologia e l’arte. Con i suoi 86 anni, continua attivamente il suo ministero al servizio dell’intelligenza della fede. Il suo libro, pubblicato nel 2018, è breve e denso. Non si tratta di uno scrivere per non dire nulla. Ecco i pensieri che ne ho tratto.
Il diritto canonico attualmente in vigore nella Chiesa non ha adottato le prospettive di apertura del Concilio Vaticano II. Invece di orientarsi ad extra per impegnarsi nel dialogo con la società contemporanea, il diritto canonico ha disciplinato il solo funzionamento della Chiesa ad intra. Il risultato è una pratica ecclesiale che blocca tutto ciò che lo Spirito Santo cerca di dire al mondo nella sua compagine odierna.
P. Severino Dianich
Dobbiamo essere d’accordo sul significato della missione. Secondo la tradizione più antica, il termine “missione” è utilizzato per indicare l’opera della nostra salvezza compiuta dalla Trinità; il Padre manda il Figlio e lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio. Così la Chiesa prende la sua origine e riceve la sua forma primordiale dalla comunione della Trinità. Può quindi essere definita nella sua natura più profonda solo come un gruppo di uomini e donne inviati dal Signore nel mondo, per annunciare il Vangelo a tutte le creature e per fare di discepoli tutte le persone.
Mentre il Vaticano II parla molto della missione in questo senso, il codice di diritto canonico ne parla molto poco. Ciò è tanto più importante poiché la limitazione della parola missione a terre lontane è recente. Fu durante le grandi scoperte che il termine missione assunse il significato particolare che conosciamo oggi, vale a dire della fondazione e del radicamento della Chiesa in parti del mondo dove non esiste ancora.
Ma il cambio di epoca gli conferisce ora un significato completamente nuovo. Basti pensare al discorso erculeo del cardinale Bergoglio nel pre-conclave da cui sarebbe uscito papa. Bergoglio oppose alla Chiesa evangelizzatrice che esce fuori da se stessa, la Chiesa mondana che vive in se stessa e per se stessa. Le vicissitudini della Chiesa negli ultimi sei anni gli hanno solo dato ragione.
Papa Francesco ricorda a ogni membro del popolo di Dio l’importanza della missione che gli viene dal battesimo: “Ogni battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il livello di educazione della sua fede, è un soggetto attivo dell’evangelizzazione … ”(Evangelii Gaudium, 120). Francesco non smette mai di dirlo, come nel discorso dell’ 8 ottobre 2016 agli Oblati di Maria Immacolata, un ordine missionario: “Oggi ogni terra è “una terra di missione”, ogni dimensione dell’essere umano è una terra di missione, che attende l’annuncio del Vangelo”.
Il papa non fa altro che perseguire le intuizioni dei cappellani della JOC Godin e Daniel, autori nel 1943 di “Francia, Paese di missione”.
Sebbene i canonisti trovino difficile ammetterlo, sono finiti i giorni in cui la Chiesa poteva affermare di essere la società perfetta a cui gli stati dovevano sottomettersi. Pio XI lo affermò ancora nell’enciclica Ubi Arcano del 1922. Oggi viviamo in un mondo multiculturale e multi religioso, come i primi cristiani. Noi siamo in un mondo come quello descritto da Tertulliano nella sua Apologetica (42, 1-3) alla fine del secondo secolo: “Dicono che siamo anche persone inutili per gli affari. Come potremmo esserlo noi che viviamo con voi (…). Viviamo con voi in questo mondo, senza rinunciare ad andare al vostro foro, al vostro mercato, ai vostri bagni, ai vostri negozi, ai vostri ostelli, alle vostre fiere e altri luoghi in cui si fanno affari”.
La Chiesa non può più comportarsi come se il mondo intorno a lei dovesse accettare le sue regole senza discuterle. Siamo in una società secolarizzata e laica. Forse ce ne pentiremo, ma è inutile. La Chiesa si è completamente rinnovata negli studi biblici, liturgici, ecclesiologici, patristici, ma il mondo dei canonisti sembra accamparsi su posizioni del passato. Le ingiunzioni della Chiesa non sono più date per scontate come lo erano nella tarda cristianità. Non si tratta di riformare qualche norma canonica qua e là, è la portata stessa del diritto nella vita della Chiesa che deve essere cambiata. La Chiesa deve ripensare se stessa per essere all’altezza della sua missione.
I canonisti devono ripensare i fondamenti giuridici da porre come base ai nuovi sviluppi nella Chiesa. Il Codice del 1983 non è riuscito ad integrare la riforma ecclesiologica del Concilio in cui la Chiesa si definiva nella sua destinazione nel mondo, come segno e strumento di salvezza, con l’obiettivo di diffondere il Vangelo considerato come essenziale alla natura della Chiesa e come opera propria dei laici.
Lo dice molto bene Don Severino Dianich: “È il disagio di chi osserva come il Codice segna tutto l’ordinamento della vita della Chiesa come se l’obiettivo per cui la stessa esista non sia quello di mettersi in relazione con il mondo, per diffondere il Vangelo e come se potessimo considerare i rapporti dei fedeli tra di loro senza considerare i loro rapporti con la società civile, proprio in un momento in cui quest’ultima non è più una società cristiana”. Il linguaggio del Codice è autoreferenziale ed estraneo alla cultura giuridica contemporanea. I fedeli non trovano nel Codice le regole cui uniformare la loro azione nella società civile e nemmeno nella Chiesa. L’unica attività missionaria è l’attività della Santa Sede e dei vescovi che inviano missionari. Il laico è considerato un “soggetto”, termine bandito dalle leggi civili sin dalla costituzione americana del 1787. Un altro dettaglio: come capire oggi che l’apostasia è un delitto per chi è stato battezzato da neonato e quindi non ha potuto scegliere liberamente da adulto? Se questo può avere un senso nella Chiesa, non ha alcun significato al di fuori di essa. Ciò è in contrasto con la libertà religiosa così come intesa nel mondo moderno e anche dal Concilio.
Il Codice ha adottato i principi del Vaticano II, in particolare nei canoni 204, 211 e 781, ma non ne trae le conseguenze. Tali principi sono applicati ad intra ma non ad extra. Un tempo, la comunicazione della fede era definita dai rapporti tra pastori e fedeli. Oggi è il popolo di Dio, vale a dire tutti i fedeli, che è responsabile della trasmissione della fede, secondo il magistero dei vescovi e del Papa. All’improvviso, le soluzioni interne non corrispondono più a quanto sperimentano i battezzati immersi nel mondo.
Non è più il Dio padrone che si impone alla ragione in cui è necessario credere, ma quello presentato dalla Costituzione dogmatica sulla Parola di Dio al n ° 2: “Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (…).Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé”.
I Padri del Concilio avevano capito che la Chiesa non poteva continuare a funzionare solo internamente, ma che doveva inserirsi negli ingranaggi del mondo per continuare ad esistere. Il Codice non è riuscito a uscire dalla sua base tradizionale e trascrivere le nuove prospettive in cui si trovava la Chiesa.
Dopo il tentativo di Benedetto XVI di reinterpretare in continuità il Concilio Vaticano II, nei suoi auguri di Natale 2005 alla Curia, Papa Francesco riporta la Chiesa sui binari con il numero 27 della esortazione apostolica Evangelii Gaudium: “Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione”.
Per il diritto canonico questa è una sfida: riuscire a progettare un’organizzazione che non sottoponga a norme di diritto canonico le attività che i fedeli svolgono ad extra, nei loro impegni familiari, professionali, sociali e politici. Attualmente i laici possono solo dare la loro opinione o essere consultati. Vescovo e parroco non hanno ricevuto dal sacramento dell’ordine tutti i carismi necessari per esercitare un adeguato discernimento su molte materie che di solito si offrono per la consultazione dei fedeli.
Dobbiamo quindi tornare alla grande tradizione della sinodalità della Chiesa. Ed è quanto ha detto ancora Papa Francesco in occasione della commemorazione del 50 ° anniversario di istituzione del Sinodo dei Vescovi: “Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”.
Questa non è una soluzione tattica per superare la carenza di clero, ma per creare uno spazio più ampio in cui i doni dello Spirito possono manifestarsi ed essere riconosciuti. “Senza uno sviluppo della Chiesa in questa direzione, non sarà mai possibile superare veramente la tendenza a vivere interiormente”, dice Severino Dianich. Basandosi sulla dottrina di San Tommaso d’Aquino, mostra quanto la teologia dei carismi debba essere rifondata sul sacramento del battesimo. La Chiesa deve considerare tutti i carismi, e non solo quello del ministero ordinato come è stato fatto dal Concilio di Trento.Per questo Papa Francesco parla tanto dei poveri. Perché “Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa” (Evangelii Gaudium 198).
Il diritto canonico deve riuscire a tradurre per oggi ciò che la Costituzione conciliare Gaudium et spes prevedeva al numero 43: “Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale. Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero”.
Don Severino, dopo la sua lucida osservazione, conclude sperando che i canonisti possano trovare i criteri applicativi per delimitare l’ambito del carisma dei pastori e quello dei fedeli. La sinodalità non implica uno schiacciamento del potere decisionale ma consente a tutti, in complementarità, di orientarsi verso l’obiettivo desiderato. È così che la Chiesa ad extra potrebbe parlare alla Chiesa ad intra. Se sappiamo trovare la dimensione interpersonale delle relazioni dei battezzati tra di loro e con il mondo, la corresponsabilità dei ministri e dei laici, il minimo uso di misure coercitive, il tutto nel moto della forza attiva dello Spirito Santo, c’è una nuova architettura del diritto che si manifesterà e che sarà pienamente utile ai cristiani. È così che usciremo dalla schizofrenica separazione che il diritto canonico causa alla vita della Chiesa così come lo Spirito Santo intende guidarla. È con rammarico che do solo questi elementi del piccolo potente libro del teologo Severino Dianich. Posso solo consigliare di leggerlo a chi legge l’italiano e spero che presto qualcuno ne proponga la traduzione in francese.
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Traduzione italiana per Il Sismografo di Maria Grazia Moretti. Testo originale in francese, “De l’urgence d’une réforme du droit canonique” scritto da Pierre Vignon e pubblicato da Golias Hebdo, n° 643, settimana dal 22 al 28 ottobre 2020.

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