I poveri avevano ragione: mons. Romero è santo!

Avevano ragione i poveri

di Juan Vicente Chopin

1. LA RIVENDICAZIONE DELLA VITTIMA

I poveri avevano ragione: mons. Romero è santo! L’hanno avuta sempre, per questo non si sono mai allontanati da questa cripta, il luogo in cui riposa il suo sacro corpo. È la stessa posizione dei discepoli di Policarpo di Smirne, secondo quanto si legge nel racconto del suo martirio: «In questo modo abbiamo potuto raccogliere le sue ossa […] e le abbiamo depositate in un luogo adatto. Ogni volta che sarà possibile riunirci lì con giubilo e allegria, il Signore ci concederà di celebrare il giorno del suo martirio in memoria di quanti hanno già raggiunto il culmine della loro lotta e come preparazione per quanti lo faranno in futuro». Sappiamo già che l’anniversario di un martire non è quello della sua nascita biologica, ma quello della sua resurrezione, il giorno del suo martirio.

In quest’ottica, non sarebbe male suggerire a mons. Vincenzo Paglia di renderci visita più spesso, così da consentire all’alta gerarchia salvadoregna di visitare con maggiore frequenza la tomba dei martiri. E dico questo perché il martirio è un elemento costitutivo e fondante della Chiesa, nel senso in cui l’intende Apocalisse 1,5, che definisce Gesù il Testimone fedele, il primogenito tra coloro che sono morti. (…).

Bisogna dire che l’apparato mediatico della destra più recalcitrante ha tentato di snaturare fino all’estremo la memoria del martire d’America, il quale però risorge nobilitato e restituisce speranza alle vittime che in lui trovano il proprio simbolo. Quelle vittime anonime che sono morte prima del tempo: delegati della parola, catechisti, pastori protestanti il cui volto è riassunto nella figura di mons. Romero.

In questo senso, anche la considerazione contraria risponde a verità. Vale a dire, l’oligarchia di questo Paese non aveva ragione. Non l’ha mai avuta. Non ce l’ha ora.

Avevano torto i pennivendoli mercenari che Roque Dalton menziona nel suo poema La Jauría (“Il branco”), iniziando da Fray Ricardo Fuentes Castellanos, traditore della sua stessa Chiesa (una delle voci più dure nei confronti di Romero e delle sue omelie domenicali, ndt), e da Sidney Mazzini, entrambi editorialisti di El Diario de Hoy, fino ad arrivare agli pseudo-giornalisti dei nostri giorni, quelli che il poeta – martire della cultura – presentava nel poema citato come «i necessari corifei di sfondo/quelli di seconda fila/quelli che hanno bisogno di ululare di più/gli sciacalli furiosi che sbavando fanno la posta a ogni progresso».

Neppure avevano ragione gli oscuri cardinali, vescovi e preti amici dell’impero. Gli stessi a cui si riferisce don Pedro Casaldáliga nel suo immortale poema: «Povero Pastore glorioso, assassinato a pagamento, a dollaro, a valuta./ Come Gesù, per ordine dell’impero./ Povero Pastore glorioso,/ abbandonato/ dai tuoi stessi fratelli del pastorale e di messa…!/ (Le curie non potevano comprenderti:/ nessuna sinagoga ben costituita può comprendere il Cristo)».

Ma la verità si fa strada e va prendendo corpo ciò che il filosofo Max Horkheimer affermava con nostalgia filosofica, cioè che l’assassino non può trionfare sulla vittima innocente.

Ma non è necessario essere filosofi per capire certe cose. In quest’ottica, come solitamente accade, il popolo ci precede. Il canto popolare noto come “La cumbia de Mons. Romero” lo ripete chiaramente: «Il diavolo si è sbagliato, come si sbaglia sempre,/ a voler chiudere la bocca dell’uomo che si è dato per intero/ perché vive con noi Oscar Arnulfo Romero».
2. ROMERO, ESPRESSIONE DEL MARTIRIO CONTEMPORANEO

Mons. Romero è il primo santo ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa cattolica nella storia di El Salvador. Questo fatto riempie di gioia, rallegrando soprattutto noi che abbiamo sempre espresso pubblicamente la nostra devozione per lui.

Questo martire, che il sentire popolare, fin dai primi giorni dopo il suo assassinio, ha chiamato «San Romero de América», presenta caratteristiche peculiari: è un vescovo; dà la sua vita per difendere i poveri ed esigere il rispetto dei diritti umani; i suoi assassini si definiscono anch’essi “cristiani”; i suoi stessi fratelli vescovi lo accusano di istigare il popolo e vi sono preti e laici che diffidano della sua santità.

Tutti questi tratti fanno di mons. Romero un santo contemporaneo, le cui caratteristiche vanno oltre la visione classica della santità. È un santo per i nostri giorni, che non sarà mai compreso dai settori conservatori, i quali vivono con nostalgia il loro passato di oppressione, privi della speranza di poter costruire una società riconciliata. Ma la Chiesa, rappresentata dalla persona di papa Francesco, il 3 febbraio 2015 lo ha dichiarato martire in odium fidei. Un decreto che ha reso possibile la cerimonia di beatificazione del prossimo 23 maggio, che presenterà Romero come modello di santità, motivo di ispirazione per la resistenza popolare, difensore degli umili ed esempio di lotta contro i poteri stabiliti.

3. MARTIRIO IN ODIUM FIDEI

Nel martirio confluiscono dialetticamente i motivi del martire con i motivi del carnefice. Ignacio Ellacuría lo riassume bene con una domanda magistrale: «Perché muore Gesù e perché lo uccidono». Il primo elemento si riferisce alle motivazioni del martire, il secondo a quelle del carnefice. (…).

Le tre questioni a cui bisogna rispondere per ciò che riguarda l’odio per la fede sono tre: chi è che odia? Cos’è che odia? Perché lo odia?

Chi odia non è solamente una persona, in questo caso Roberto D’Aubuisson, ma un’élite di famiglie che hanno divinizzato il mercato, un’oligarchia miope che, nella prospettiva di un capitalismo selvaggio, ha scambiato il territorio salvadoregno per una piantagione di caffè e i suoi abitanti per coloni tenuti sempre all’obbedienza.

Quello che si odia allora è la prassi pastorale e caritativa di mons. Romero, il quale, a partire dalla sua fede, ha optato per gli emarginati ponendosi come paravento tra la voracità del capitalismo e le classi contadine e lavoratrici.

Lo si odia perché mons. Romero non è come gli altri suoi compagni di baculo, che cedono alle concessioni del sistema economico imperante, bensì sceglie di schierarsi dalla parte degli emarginati. E lo dice chiaramente: «È un fatto evidente che la nostra Chiesa è stata perseguitata negli ultimi tre anni. Ma la cosa più importante è osservare perché sia stata perseguitata. Non è stato perseguitato un qualunque sacerdote né è stata attaccata una qualunque istituzione. Si è perseguitato e attaccato quella parte della Chiesa che si è schierata dalla parte del popolo povero ed è scesa in sua difesa».

L’odio per la fede, nel martirio di mons. Romero, presenta la difficoltà legata al fatto che quanti orchestrano il suo assassinio sono convinti che sia lui a tradire la fede cristiana e che siano loro a salvaguardare l’autentica espressione del cristianesimo. È necessario allora un ampliamento del concetto canonico di martirio, per illustrare quei casi in cui l’odio per la fede non è sufficientemente chiaro.

Con la beatificazione di mons. Romero si conferma quello che scrive Giovanni Paolo II nella sua lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente, che cioè, «al termine del secondo millennio, la Chiesa è tornata nuovamente a essere una Chiesa di martiri».
4. IL MARTIRIO DI MONS. ROMERO CI INTERPELLA

Per non perdere l’ispirazione e l’esempio che ci vengono da San Romero d’America, intendiamo pronunciarci su aspetti molto concreti che reclamano la nostra attenzione. A tale scopo, riprenderò il pronunciamento diffuso da distinti settori della società salvadoregna dinanzi all’imminente beatificazione di mons. Romero.

La gioia che ci procura la beatificazione di mons. Romero non deve distoglierci dalle cause che hanno condotto al suo assassinio. Siamo chiamati a portare avanti la lotta per la giustizia, la verità e la riparazione «per il suo omicidio e per tutte le gravi violazioni dei diritti umani commesse prima, durante e dopo il conflitto armato, che egli cercò ardentemente di evitare, senza essere ascoltato».

Si deve ancora portare a termine il compito di sradicare l’impunità e la violenza che si sono accampate in tutta tranquillità nella nostra patria, in maniera da realizzare la giustizia, la fraternità e la solidarietà. Del sangue versato da mons. Romero possiamo dire, a maggior ragione, quello che egli stesso affermò nella sua omelia del 27 gennaio 1980 rispetto al sangue del nostro popolo: «Sono sicuro che tanto sangue versato e tanto dolore causato ai familiari delle numerose vittime non sarà senza effetto. È sangue e dolore che irrigherà e feconderà nuove e sempre più numerose sementi di salvadoregni che prenderanno coscienza della responsabilità di costruire una società più giusta e umana, che fruttificherà nella realizzazione delle riforme strutturali audaci, urgenti e radicali di cui la nostra patria ha bisogno».

Concretamente, ci pronunciamo riguardo ai seguenti punti:

1) Invitiamo i vescovi, i preti e i laici che diffamarono pubblicamente mons. Romero, bollandolo come guerrigliero o con altri epiteti analoghi, a pentirsi e a chiedere perdono anche al popolo salvadoregno.

2) Che siano tolti i simboli cristiani dalle bandiere dei partiti politici, in particolare di Arena (il partito fondato da Roberto D’Aubuisson, riconosciuto come mandante dell’omicidio di Romero), poiché non ci si può definire cristiani e ammettere l’assassinio di persone innocenti.

3) Che i deputati di Arena, per il bene del popolo salvadoregno, votino per l’approvazione della Legge Generale sull’Acqua. Ricordiamo loro che tale risorsa non è una merce, ma un diritto a cui tutti gli esseri umani devono avere accesso.

4) Chiediamo al governo degli Stati Uniti e ai suoi rappresentanti nel Paese di rispettare il diritto dei popoli, concretamente del Venezuela, all’autodeterminazione. Che si revochi il decreto che descrive assurdamente il Venezuela come una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. A essere minacciati sono i Paesi latinoamericani, non certo gli Usa. (…).

5) Chiediamo alla Procura Generale della Repubblica e al governo di El Salvador di investigare, processare e punire i mandanti e gli esecutori dell’assassinio di monsignor Romero e di conseguenza indennizzare le vittime delle violazioni commesse, in quanto sono stati dei rappresentanti dello Stato salvadoregno a pianificare ed eseguire questo crimine di lesa umanità.

6) Esigiamo che vengano adeguate le leggi del Paese alla Convenzione Americana sui Diritti Umani, revocando la Legge di amnistia approvata con il Decreto Legislativo n. 486, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il 22 marzo 1993.

5. MONS. ROMERO, UN FARO DI LUCE

La beatificazione di mons. Romero non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. È un momento meraviglioso per continuare la lotta. È una porta aperta attraverso cui far passare le vittime dalla morte alla resurrezione.

Se la prima Chiesa nasce dal sangue di Gesù Cristo e dei primi martiri, alle origini del movimento cristiano, allora la Chiesa salvadoregna rinasce a partire dal sangue dei suoi martiri. Orientiamoci allora verso la rifondazione della Chiesa salvadoregna. E con ciò incoraggiamo tutte le istituzioni dello Stato a fare lo stesso in funzione della costruzione di un nuovo Paese.

La luce di questo faro illumina le tenebre di un sacerdozio che non odora di pecora ma di lupo, perché un prete che abusa di minorenni ha scelto di stare contro gli indifesi. Non è suo amico, ma suo nemico. Lo stesso papa Francesco ha dichiarato il 7 luglio 2014 che non c’è posto nel ministero della Chiesa per quanti commettono questi abusi. E ha detto ai vescovi che dovranno esercitare il proprio servizio pastorale con estrema attenzione per garantire la protezione dei minori e che dovranno rendere conto di questa responsabilità.

Mons. Romero getta luce sulle tenebre del marketing della religione, i cui pastori esigono che le donne si vestano in maniera adeguata per il culto, ma non hanno alcun problema a violentarle e ad aggredirle fisicamente.
6. COMPITI DA SVOLGERE

Spetta a noi lottare perché la santità di mons. Romero non degeneri in una devozione di bassa lega, bensì mantenga il suo carattere profetico.

In questo senso, voglio rendere omaggio alle donne della Comunità Monsignor Romero della Cripta della Cattedrale, che negli ultimi anni hanno recuperato questo luogo e hanno lottato contro varie avversità per difendere la memoria di San Romero. Il giorno della beatificazione dell’arcivescovo, il 23 maggio, questa comunità festeggerà 16 anni di lavoro condotto allo scopo di tenere viva la sua opera: «Non è stato facile – affermano -, a volte abbiamo dovuto combattere, altre volte abbiamo piegato il capo, ma siamo testarde, pazienti e resistenti. E siamo disposte ad andare avanti finché ci sosterranno le forze, perché crediamo che la ragione e la verità siano dalla nostra parte e perché monsignor Romero lo merita; è lui che ci incoraggia a proseguire». Fanno parte di questa comunità María Teresa Alfaro Fernández; Marta Segovia; Engracia Chavarría; Ruth Elizabeth Rivas; Magaly Urrutia Argot; Ana Ruth Granados; Miriam de Cañénguez; Zenaida López; Vanessa Ivonne Rivas; Alicia López; Reina Atenas de Rivas.

Ringraziamo anche i giornalisti che alimentano la memoria di mons. Romero: blog e siti alternativi, il Diario CoLatino e la Radio Maya Visión. Chiediamo loro di continuare a sostenere la Comunità della Cripta e il processo di canonizzazione di mons. Romero. A proposito, mons. Romero sarebbe un magnifico patrono dei giornalisti salvadoregni.

Monsignore è resuscitato e continuerà a resuscitare nel popolo. Manteniamo acceso il fuoco della resurrezione. Viva mons. Romero!

adistaonline

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