Le dinamiche che l’attuale crisi può innescare sono imprevedibili e ingestibili. Sono «i contesti in cui nascono i fascismi, ma sono anche quelli in cui nascono le rivoluzioni d’ottobre»

Si può risolvere la crisi dell’euro a base di lacrime e sangue, come prescrivono la Commissione Europea, la Banca Centrale Europea, il Fondo Monetario Internazionale? Le politiche di austerità seguite in Italia dal governo Monti serviranno almeno a qualcosa? E perché a versare lacrime e sangue devono essere sempre i lavoratori e le fasce più povere? È su tali questioni che abbiamo interrogato Antonio Tricarico, coordinatore della Campagna per la riforma della Banca Mondiale (Crbm), uno dei promotori della Campagna per il congelamento del debito, l’iniziativa diretta ad ottenere un’immediata sospensione del pagamento del debito italiano, accompagnata dalla creazione di un’autorevole commissione d’indagine popolare (audit) per accertarne la legittimità e definire un piano di uscita «ponderato e partecipato», oltre che da «una riforma delle entrate e delle uscite pubbliche improntata a criteri di fiscalità progressiva, eliminazione degli sprechi, salvaguardia della spesa sociale, recupero di investimenti per la difesa dei beni comuni e riconversione socio-ambientale della produzione» (v. Adista n. 77/11).

Il quadro tracciato da Tricarico è senza dubbio drammatico: con la «pesantissima deindustrializzazione» subita, un’agricoltura in difficoltà e il settore dei servizi in mano ad avventurieri, l’Italia, spiega il coordinatore della Crbm, non è in grado di «compensare gli impatti delle misure di austerità e reinvertire l’attuale ciclo economico». Nessuno, infatti, è disposto, in Italia (e non solo), a investire nell’economia reale: chi ha i capitali li ha già spostati all’estero e le banche sono ben più interessate ai profitti garantiti dall’economia finanziaria. Cosa fare, dunque? Per Tricarico non ci sono dubbi: reintrodurre il controllo dei capitali e procedere alla nazionalizzazione delle banche. E se la prima misura, oggetto di un’opposizione ideologica radicale, si scontra con lo stesso Trattato istitutivo dell’Unione Europea, nulla impedirebbe in realtà di realizzare la seconda, la creazione, cioè, di vere banche pubbliche, «banche che seguano non una logica di mercato, ma una logica di trasformazione dell’economia fuori dal mercato, per produrre cambiamento nel ciclo economico».

Convinto dell’ineluttabilità, «prima o poi», di una ristrutturazione del debito italiano, Tricarico invita inoltre ad avviare una seria discussione politica su come tale ristrutturazione possa avvenire, scongiurando il pericolo che ad avvantaggiarsene siano proprio «quelli che i soldi ce l’hanno». Da qui l’idea di un audit popolare sul debito pubblico, utile «ad aggregare le forze interessate ad opporsi alle politiche di austerità, fino ad acquisire forza sufficiente per porre la questione nell’agenda politica», contrastando il disegno di potere che si cela dietro lo stesso governo Monti: quello di «privatizzare sistematicamente tutti gli enti pubblici locali, fino ad arrivare, ma se ne parlerà fra 7-8 anni, alla privatizzazione dell’Inps». Una strategia che il governo non si preoccupa neppure di nascondere, varando un decreto sulle liberalizzazioni da cui solo grazie alla mobilitazione in difesa del voto referendario dello scorso giugno è rimasto fuori il provvedimento che vietava la gestione del servizio idrico attraverso enti di diritto pubblico. Un decreto, comunque, sottolinea il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, che «peggiora le già pessime misure del precedente governo sulla privatizzazione degli altri servizi pubblici locali».

Viviamo tempi unici, sostiene Tricarico: le dinamiche che l’attuale crisi può innescare sono imprevedibili e ingestibili. Sono «i contesti in cui nascono i fascismi, ma sono anche quelli in cui nascono le rivoluzioni d’ottobre». Per questo, conclude, è indispensabile preparare il terreno, «per disporre di forze sufficienti qualora avvengano cortocircuiti improvvisi, qualora la situazione diventi drammatica e la gente non trovi più i soldi al bancomat».

di Claudia Fanti – adistadocumenti n. 9 del 2012

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