Dalla parte delle monache ribelli: un documento del Laboratorio Re-in-surrezione contro gli abusi nella Chiesa

Dalla parte delle monache ribelli: un documento del Laboratorio Re-in-surrezione contro gli abusi nella Chiesa
adista.it

«Siamo dalla parte di queste sorelle che, denunciando discriminazione e ingiustizia, si oppongono a quel contesto patriarcale che, assieme ad altre donne, cerchiamo di smascherare e di combattere»: lo affermano Clelia Degli Esposti e Stefania Manganelli del Laboratorio “Re-in-surrezione – per s-velare e fermare ogni abuso” (gruppo trasversale Osservatorio Interreligioso sulle violenze contro le Donne-OIVD e Donne per la Chiesa e di persone abusate in contesti ecclesiali) in un documento che esamina tre fatti di cronaca che hanno, al centro, gruppi di religiose “disobbedienti” nei confronti dell’istituzione per salvare la propria comunità: le clarisse urbaniste del monastero di santa Chiara di Ravello (SA), le suore domenicane del SS. Sacramento di Fognano (RA) e le benedettine del monastero Maria Tempio dello Spirito Santo di Pienza (SI).

Ecco di seguito il testo integrale del documento.

La cronaca di questi giorni ha portato alla ribalta diversi casi di “disobbedienza” da parte di religiose, per salvare i propri conventi e le proprie comunità.

1. Il caso più eclatante, su cui ha scritto con molti dettagli anche la giornalista Franca Giansoldati, è quello delle tre religiose del monastero di Ravello. Le tre sorelle, di cui una di 97 anni, si erano asserragliate nel monastero, non tanto perché non avevano accettato un loro trasferimento (troppo poche per tenerlo aperto), ma perché temevano una speculazione sulla prospettata vendita a terzi dello stesso (valutazione 50/60 milioni di euro), e la donazione che volevano fare al Papa veniva ostacolata dal Dicastero dei religiosi, che si poneva come intermediario. Stritolate dal braccio di ferro, si sono viste recapitare una comunicazione firmata dallo stesso Bergoglio con cui venivano tolti i voti a due di loro. Per disobbedienza “alla Chiesa”.

2. L‘altro caso, ancora non concluso, è quello di Fognano, in cui la Santa Sede rivendica diritti sul patrimonio edilizio in possesso di alcune suore domenicane: si vuole chiudere il monastero per destinarlo ad altri scopi, costringendo le suore ad un trasferimento, adducendo i motivi di tale operazione alla riduzione delle vocazioni e ai costi di gestione dell’immobile. La superiora, suor Marisa Bambi, ha dichiarato: “Ci hanno ordinato di obbedire perché è un voto che siamo chiamate a rispettare, ma gli “ordini” a cui dovremmo sottostare passivamente non fanno altro che emarginarci e ridurci in sofferenza: non possiamo più essere convitto, non abbiamo più l’asilo e ci hanno vietato di ospitare riunioni.” Sono altresì diffidate dall’offrire ospitalità alle persone. Finora operano una resistenza con l’aiuto della comunità in cui vivono. Ovviamente rischiano l’abito.

3. E rischiano l’abito anche le 13 suore del monastero benedettino di Pienza, che si oppongono al trasferimento della suora Superiora, disposto dal Dicastero per gli istituti di vita consacrata dopo una “visita apostolica” effettuata prima dell’arrivo del Cardinale Lojudice come vescovo diocesano.

Accusate di troppa modernità per l’apertura della pagina Facebook? O per l’allestimento, davanti al monastero, di un mercatino di marmellate da loro confezionate? O ancora per l’ospitalità offerta a chi volesse vivere la clausura? Questo è quanto trapela dai media, ma pare che la questione sia molto più complessa. La diffida ricevuta dalla madre superiora suor Diletta accusa le suore di avere “posto in essere una serie di comportamenti totalmente disallineati con la loro scelta di vita, in aperta violazione con le norme regolatrici del codice di diritto canonico e del loro ordine cui, per libera scelta, hanno prestato sincera ed incondizionata obbedienza”. La diffida ha fatto seguito al comunicato della Superiora in cui la religiosa afferma: ”Questa comunità monastica è stata accusata di disobbedienza e di resistenza alle disposizioni dei superiori, mentre essa si è semplicemente rifiutata di dar corso ad un provvedimento che reca grossolane anomalie e vistose criticità di natura giuridica, tali da pregiudicarne la validità e l’efficacia, e per questo motivo il monastero ha ritenuto doveroso avvalersi delle tutele e delle garanzie del diritto canonico nelle sedi competenti, ritenendo la comunicazione inoltratagli priva dei requisiti che la renderebbero esecutiva. Non sono quindi le monache ad essersi rese responsabili della sua mancata esecuzione, come apoditticamente afferma il comunicato della diocesi.”

In questi fatti il nodo del conflitto è rappresentato dal patrimonio immobiliare e dalla sua acquisizione da parte della Santa Sede. Detto in altri termini, appare chiaro che “l’interesse dimostrato dall’”alto” (da chi si dichiara in possesso del potere decisionale) per l’aspetto economico travalica le istanze di sopravvivenza delle religiose che, tra l’altro, di questo patrimonio hanno avuto cura nel tempo.

Bisogna riconoscere che un importante passo in questa direzione è stato fatto (nel 2018) col documento “Cor Orans” (Istruzione applicativa della costituzione apostolica “Vultum Dei quaerere” sulla vita contemplativa femminile), significativamente ribattezzato decreto “svuota conventi” e definito “micidiale” da alcune suore; il testo stabilisce e impone rigide regole per i monasteri femminili, individuando, tra l’altro il numero minimo di religiose (5) che possono abitare in un monastero, con obbligo di trasferimento qualora il numero divenga inferiore. Risulta chiaro che in questo contesto diventa centrale l‘acquisizione del patrimonio monastico (oggetto di contesa nel primo e nel secondo caso descritti) da parte della Santa Sede. Nella preoccupazione che nulla vada a terzi o intermediari, ma solo alla Santa sede, ad avvalorare tale tesi è di questi giorni il Motu Proprio del Papa (“Il diritto nativo” – Circa il patrimonio della Sede Apostolica) che chiarisce che “Tutti i beni, mobili e immobili… che siano stati o che saranno acquisiti… dagli Enti Collegati alla Santa Sede, sono … di proprietà… della Santa Sede… I beni sono (SOLO) affidati alle Istituzioni e agli Enti … quali pubblici amministratori e non proprietari”. Il documento elimina quindi ogni possibile intermediario, avocando tutti i beni alla Santa Sede. Non pare proprio un “caso” che queste disposizioni siano quasi concomitanti agli eventi sopra descritti: il patrimonio è salvo, le religiose messe sulla strada e la ribellione sedata.

Da tutto questo possono emergere alcune riflessioni, tutte peraltro inscritte nell’abuso di potere nei confronti delle suore e nella misoginia atavica della Chiesa.

La prima riflessione, di carattere spirituale, è sulla falsa interpretazione del voto di obbedienza, che ha giustificato il provvedimento di Ravello e potrebbe giustificare gli altri, come bene ha inteso suor Marisa. La “storia” del voto di obbedienza è espressione fisiologica di un sistema la cui anima è una struttura gerarchica, manifestazione del dominio maschile, come in quei regimi teocratici dove, chi è riconosciuto come incarnazione del divino, blandisce, rende fragili, spaventa ed emargina chi non si adegua. Proprio nella manipolazione del voto di obbedienza si annida ogni tipo di abuso da parte del sacerdote che dirige un accompagnamento spirituale, impedendo alle abusate di riconoscere l’abuso e producendo in esse sensi di colpa devastanti, come affermano acutamente le studiose Mary Lembo, Ute Leimgruber, Barbara Halsbeck.

La seconda riflessione, sempre di carattere spirituale, si riferisce alla situazione di grave abuso di potere decisionale perpetrato (dai “pastori”: vescovi, accompagnatori spirituali/confessori, papa stesso) sulle suore (o congregazioni femminili). C’è stato addirittura il bisogno di fissare (esclusivamente per le suore), nero su bianco, un’imposizione di limitazione d’uso del “mezzi di comunicazione”, al n. 169 del citato decreto “Cor Orans”, nel quale vari punti stabiliscono un potere assoluto del vescovo diocesano sulla comunità del monastero (sempre nell’orizzonte di una correzione “fraterna”). Vale la pena riprendere lo “sfogo” di una suora benedettina, all’indomani della promulgazione di tale decreto, che ne rileva le enormi criticità: «…ancora una volta il Vaticano si mostra fuori dal contatto con la realtà delle vite delle donne (non solo delle monache), e nel cercare di controllare il pericolo di perdere qualsiasi autorità morale usa ancora il comando; …sono imbarazzata dalla Chiesa a cui appartengo e dalla mano pesante con cui si approccia alle sfaccettature della vita moderna che dovrebbe invece abbracciare, non condannare o vedere con sospetto… Il testo di Cor Orans solleva molte preoccupazioni per noi come piccola comunità contemplativa, ma penso che le sollevi ancora più grandi per le donne nella Chiesa nel suo complesso… Possiamo essere intelligenti, istruite, ferventi e disciplinate come ogni uomo. Presumere che in qualche modo siamo carenti in una di queste qualità è profondamente offensivo…» (dalla pagina Facebook di Donne per la Chiesa del 17 maggio 2018).

La terza riflessione riguarda infine l’aspetto economico. L’abuso patrimoniale sulle suore è perpetrato senza vergogna. A fronte di migliaia di preti che percepiscono regolarmente uno stipendio mensile secondo un sistema definito nei minimi dettagli (soprattutto negli accordi legislativi con lo Stato italiano), che garantisce a tutti una dignitosa remunerazione, anche se indagati” (pressoché sempre e solo da istituzioni interne e non statali), alle suore viene persino impedito di inventarsi forme di autofinanziamento per il mero sostentamento personale (pur non avendo a carico nessun procedimento di indagine). Mentre ad esempio al gesuita Rupnik (ora al centro di un clamoroso caso di abuso su numerose donne e suore) viene comunque riconosciuta la possibilità di vendere le sue opere ANCHE in questa raccapricciante situazione (“Sulla possibilità che Rupnik prosegua il suo lavoro artistico, mons. Libanori, vescovo ausiliare di Roma e commissario straordinario della Comunità Loyola in Slovenia, è molto equilibrista: “Se ci sono persone che gli commissionano opere perché non dovrebbe continuare a lavorare”?1, afferma; si badi bene opere commissionate non espressione gratuita di creatività), alle suore vengono contestati i mercatini sui sagrati delle chiese. Diverse chiese parrocchiali, tuttavia, sono zeppe di manifesti di richiesta contributi per le più varie esigenze (spesso per ripristino edifici di culto) e sui sagrati si fanno tanti mercatini e si vendono anche prodotti alimentari, ma, essendo promossi da un parroco, nessun vescovo ha mai osato intervenire.

Ci piace terminare queste riflessioni con alcuni passi del capitolo “La disobbedienza è una virtù per le donne” di Letizia Tomassone nel testo “Non sono la costola di nessuno” a cura di Paola Cavallari: “Quasi sempre le donne che hanno abitato la storia occidentale hanno disubbidito a dei canoni. Sono andate contro le norme, contro i ruoli assegnati loro. In nome di una libertà che ha fatto loro intravvedere una realtà più ampia e più alta. Ancora oggi se si manifesta una paura nei confronti delle donne, è che esse vadano oltre gli spazi in cui dovrebbero contenersi.”

Siamo dalla parte di queste sorelle che, denunciando discriminazione e ingiustizia, si oppongono a quel contesto patriarcale che, assieme ad altre donne, cerchiamo di smascherare e di combattere.

Clelia Degli Esposti, Stefania Manganelli – Laboratorio “Re-in-surrezione – per s-velare e fermare ogni abuso”

1 Dichiarazione rilasciata al quotidiano cattolico francese La Croix il 16/02/2023 in una lunga intervista, riportato da Adista Notizie n° 7 del 25/02/2023

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