Caso don Euro, escort e ricatti: a processo pure il vescovo – Video Massa, le accuse contro monsignor Santucci: «Pagò il prete perché tacesse sulla Curia»

MASSA. «Sono stanco, sono tanto stanco. E ho paura. Cosa mi succederà adesso Giovanni? »La t elefonata intercettata e finita nei faldoni della Procura è del 26 aprile del 2016. Don Luca Morini chiama dal telefono cellulare il vescovo di Massa Carrara, monsignor Giovanni Santucci, e lo interroga sul suo futuro. Quello dell’aprile di due anni fa è un sacerdote spaventato, molto lontano da quello in accappatoio bianco ripreso delle Spa extralusso. E ancora più lontano da quello che – solo poco tempo prima – chiede soldi al suo vescovo, minacciando di rivelare all’opinione pubblica dossier scottanti su altri parroci. «Paga o svelo segreti scottanti su altri nostri preti»: così secondo la Procura di Massa don Morini ha tenuto per mesi (da febbraio a dicembre 2016) sotto scacco il vescovo. Quel parroco è diventato famoso come don Euro ed è finito al centro dello scandalo sollevato da Francesco Mangiacapra uno degli escort che frequentava e pagava con i soldi dei parrocchiani.

Adue anni di distanza dalla telefonata al vescovo, alcuni dubbi di don Morini sul suo futuro sono stati sciolti. Ora sa cosa succederà. Il 13 giugno prossimo, infatti, sarà insieme al vescovo della Curia di Massa Carrara e Pontremoli in un’aula di tribunale. Insieme, non come spesso in passato sul pulpito della chiesa, ma sul banco degli imputati nel processo che si aprirà a loro carico (e dell’ex sacerdote e ora insegnante di religione Emiliano Colombi). Davanti al collegio giudicante presieduto da Ermanno De Mattia.

Ieri mattina, dopo un’ora e mezzo di camera di consiglio in tribunale a Massa, il gup Giovanni Maddaleni ha rinviato a giudizio con l’accusa di tentata truffa e impiego improprio di denaro il vescovo Giovanni Santucci. E per riciclaggio l’ex sacerdote Emiliano Colombi. Il giudice ha disposto anche di riunire le posizioni e di fare una unica udienza, nella data già fissata, il 13 giugno. Sì perché don Luca Morini – sospeso dal sacerdozio dal Vaticano agli inizi del mese scorso – una risposta l’aveva già avuta l’otto marzo, proprio nel giorno del suo cinquantasettesimo compleanno. Il giudice aveva accolto, infatti, la richiesta di giudizio immediato avanzata dai suoi legali, facendogli saltare a piè pari l’udienza preliminare. Sembrava che la sua posizione e quella del vescovo fossero destinate a separarsi.

Adesso invece il sacerdote che chiedeva i soldi destinati alle messe funebri alle suore per andare a spenderli negli hotel e nei festini con gli escort e il vescovo saranno in tribunale insieme. Con capi di imputazione diversi. Monsignor Santucci dovrà rispondere di “impiego improprio di denaro” e di “tentata truffa” (così è stato riformulata l’ipotesi accusatoria che in un primo momento era di frode). Il Tirreno ha provato a cercare il vescovo, per telefono e andando a suonare al campanello della curia, proprio accanto alla Cattedrale che sovrasta il centro storico di Massa. Dal citofono, molto educatamente, ci hanno risposto che il monsignore ieri era impegnato con alcune visite pastorali. E che potevamo parlare con il suo avvocato. Il suo legale, il professore Adriano Martini, uno dei principi del foro massese, infatti ha parlato: «Mi aspettavo questa decisione ma è totalmente errata». E in merito alle ipotesi accusatorie avanzate nei confronti del monsignore spiega: «È già stata dimostrata la sua innocenza, non si sta giudicando se ha fatto bene o male a dare quei soldi a don Morini, ma se si sia appropriato di denaro di cui non poteva disporre. Ebbene così non è stato perché ha impiegato quel denaro potendone disporre». Il riferimento è all’assegno di mille euro che il vescovo, secondo la ricostruzione della Procura, avrebbe prelevato dalla fondazione Pie Legati per destinare non a opere di carità, ma proprio a don Luca Morini. «Per quel che riguarda poi la tentata truffa all’assicurazione Cattolica (secondo l’accusa per fare avere un vitalizio a don Morini) bisogna considerare che il reato di truffa prevede due condotte vincolanti: l’artificio o il raggiro – insiste il professor Martini – Qui non se ne ravvisa nessuna delle due». Secondo l’avvocato, quindi, il vescovo non ha di che preoccuparsi: in tribunale potrà dimostrare la sua innocenza.

Ma intanto quella di ieri è stata una pagina nera per la curia. Il canovaccio di un romanzo a tinte forti con un parroco assestato di denaro che minaccia il suo vescovo di rivelare “dossier scottanti” a carico di altri religiosi. E un monsignore che, per mesi, paga il suo ricattatore e il suo silenzio. Anche con i soldi destinati alle opere pie di cui, spiega l’avvocato di sua eminenza, il vescovo poteva comunque disporre non commettendo reato. E qui la legge e il senso della giustizia non vanno tanto a braccetto. Il pensiero va a un’altra vicenda. «Peccati, non reati» proprio così chiosò il compianto avvocato carrarese Paolo Barsottinella celebre arringa del processo a carico di padre Mauro De Sanctis, il parroco simbolo di Marina di Carrara che agli inizi degli anni Duemila fu accusato di violenza sessuale e favoreggiamento della clandestinità (all’epoca dei fatti la Romania non era ancora un paese dell’Unione europea). Il processo si concluse nel 2005: padre Mauro venne condannato solo per il secondo capo d’imputazione.

Il Tirreno

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