Nella Risurrezione del Duomo di Terni anche gay e trans vanno in paradiso

Dipinta nel 2007 dal pittore argentino Ricardo Cinalli, rappresenta personaggi di rottura rispetto all’iconografia sacra come prostitute, spacciatori, transessuali e omosessuali, nell’atto di ascendere al cielo. A commissionarla fu l’allora vescovo Vincenzo Paglia. A Terni si parla di un progetto di copertura dell’opera eppure uno dei maggiori critici d’arte inglese nel 2009 la osannò. L’autore ne parla con Repubblica

di BENEDETTA PERILLI e GIULIA VILLORESI

TERNI – Nel Duomo di Terni anche gli omosessuali vanno in paradiso. Lo fanno in un dipinto realizzato nel 2007 sulla controfacciata della cattedrale di Santa Maria Assunta che rappresenta una risurrezione dei morti. Al centro dei 16 metri per 9 di pittura muraria si staglia Gesù che ascende al cielo trascinando due reti da pesca piene di figure umane. In basso, dai buchi che si aprono sulla terra, escono altri aspiranti al paradiso; in alto un cordone di umani difende la Gerusalemme celeste; nel centro si intravede una Terni industriale e inquinata. Su tutto si posa la mano di Dio. Nel groviglio di corpi nudi appaiono personaggi nuovi alla tradizione iconografica cristiana. Tra questi, riconoscibili ai lati della porta d’ingresso della chiesa, ci sono due transessuali e una coppia di uomini in atteggiamenti erotici. Ma anche prostitute, spacciatori, donne velate, uomini di colore con scarpe da ginnastica e omosessuali con il cravattino a pois.

A confermarlo è l’autore dell’opera Ricardo Cinalli, apprezzato pittore argentino che da anni vive a Londra. “Tutti possono aspirare a questa Gerusalemme celeste”, spiega a Repubblica. “Omosessuali, transessuali, ladri, spacciatori, prostitute, prostituti, malavitosi tatuati. Ci sono due uomini che si cingono l’un l’altro: tra loro non c’è una tensione sessuale, ma erotica sì. Sono tutte persone che non necessariamente, da un punto di vista tradizionale, avrebbero guadagnato il cielo”.

Tra i vari personaggi dipinti all’interno della rete mistica compaiono anche don Fabio Leonardis – “desnudo” e con un cuore tatuato sul bicipite – e monsignor Vincenzo Paglia sostenuto da un mendicante. Sono loro gli altri due protagonisti di questa storia. La Risurrezione di Cinalli fu realizzata per volere di Vincenzo Paglia, allora vescovo della diocesi Terni-Narni-Amelia, oggi arcivescovo e presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e del parroco Fabio Leonardis, allora direttore dell’Ufficio beni culturali della diocesi e segretario della Consulta regionale per i beni culturali ecclesiastici. L’opera fu inaugurata in occasione della messa di Pasqua del 2007, ricevendo scarsa attenzione da parte della stampa locale e suscitando reazioni contrastanti nei parrocchiani.

A Terni circola voce di un progetto per ricoprirlo. Difficile ottenere dei commenti in merito da parte dei rappresentanti della diocesi. Don Claudio Bosi, attuale direttore dell’Ufficio per i beni culturali, conferma che questo sarebbe “il desiderio di molti laici che frequentano la chiesa”, ma smentisce che vi sia un progetto concreto in tal senso. E aggiunge: “Ci sono momenti in cui certi temi possono essere affrontati, altri in cui è meglio tacere. Confermo che la questione è scottante, ma non posso aggiungere altro”. Don Fabio Leonardis, parroco colto, controverso e amato, è morto nell’agosto del 2008. Non è reperibile a causa dei numerosi impegni monsignor Vincenzo Paglia. Mentre preferisce non commentare l’attuale vescovo di Terni-Narni-Amelia Giuseppe Piemontese.

Ne ha parlato, tuttavia, uno dei più importanti critici d’arte inglesi, durante un colloquio pubblico nel 2009 alla Grosvenor Chapel di Londra, Westminster, dedicato interamente alla Risurrezione del duomo di Terni. La prima domanda del critico fu: “Come hanno saputo di te?”. Curiosità legittima, non perché Cinalli fosse un artista ignoto all’epoca dei fatti, quanto perché i meccanismi delle attuali committenze ecclesiastiche sono un soggetto affascinante quanto nebuloso. Con quale intento e per quali vie, oggi, un vescovo sceglie un artista per abbellire una cattedrale? E soprattutto: perché il più noto (e il più controverso) critico d’arte del Regno Unito raccoglie una piccola folla a Westminster per parlare di un dipinto realizzato in una chiesa umbra?.

Brian Sewell è stato un intellettuale “cordialmente oltraggioso” (affettuosa definizione del Guardian in occasione della sua scomparsa nel 2015), amico degli incompresi e castigatore degli intoccabili (un piccolo esempio: Picasso, nell’ultima fase della sua vita, avrebbe prodotto “alcune delle più tristi, misere, mortificanti, ripetitive, tediose, scialbe, ossessive e grossolane opere mai propinate come arte”); ma apprezza Cinalli, che giudica un maggiore del XX secolo, o, in alternativa, “il Matisse del XXI”; nel 1987 lo propone alla Tate Gallery per il Turner Prize, nel 2009 celebra la Risurrezione come un’opera che adempie alla più alta missione dell’arte pittorica: sfidare l’iconografia, elevare la tradizione. Un risultato oggettivo, almeno per ciò che riguarda la trasgressione iconografica, e che tuttavia non sarebbe stato concepibile senza l’avallo di Leonardis e Paglia.

“Don Fabio – racconta Cinalli – ebbe modo di vedere alcuni miei lavori alla fiera d’arte di Bologna, dove ci incontrammo per due anni di fila. Poi, nel 2007, Paglia scelse il mio nome da una rosa di dieci candidati internazionali, ed ebbi l’incarico”. La Risurrezione è anche il risultato del sodalizio umano tra don Fabio e Paglia (per Cinalli, “i sacerdoti più aperti che abbia mai conosciuto”) e di un comune progetto di rigenerazione del dialogo tra Chiesa e arte contemporanea. “Lavorare con loro è stata un’esperienza umanamente e professionalmente fantastica. Mai, in quattro mesi, durante i quali ci vedevamo circa tre volte alla settimana, Paglia mi ha chiesto se credessi in Dio, non mi hai mai messo in una posizione scomoda. Mi è stata lasciata una completa libertà, ma allo stesso tempo ogni cosa veniva discussa e analizzata nel dettaglio, sia da un punto di vista formale che concettuale. Volevano che i fedeli, vedendo la mia Risurrezione, sapessero che Dio ama e salva tutti.”. Racconta, poi, di un’intesa totale con i committenti; di un unico veto, quello di non inserire nella rete mistica una copulazione tra un uomo di colore e una donna bianca; di un parrucchiere di Terni che ha prestato il volto a un Cristo considerato troppo virile; di un rosone medievale coperto per lasciare posto alla nuova opera.

Perché un simile dipinto è stato ignorato? Un primo spunto di riflessione lo dà lo stesso Fabio Leonardis, che ha curato per SilvanaEditoriale una monografia sulla Risurrezione. Per comprenderla fino in fondo, scrive, “non basta vederla”, c’è bisogno ‘di un cuore che vede’, ossia di un cuore che sappia commuoversi e riconoscersi in uno dei ‘mezzi morti’ presenti nel dipinto”. Qualcuno non ha avuto occhi per vedere, qualcun altro, invece, non si è riconosciuto.
L’unico che ha piacere di parlare ancora è Ricardo Cinalli, che ricorda con commozione il periodo in cui lavorava in Italia, rievocandolo come un sogno: “Quando ci ripenso mi viene spesso in mente il Papa, che è argentino come me. Non so se sa di quest’opera. Mi sarebbe piaciuto mandargli il libro curato da don Fabio, e forse un giorno o l’altro lo farò”.

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