Lo ammettiamo, amiamo un prete

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Si sono rivolte a due Pontefici — Francesco, nel maggio di quest’anno, e Benedetto XVI nel 2010 — le donne che intrattengono relazioni clandestine con sacerdoti, riproponendo la controversa questione del celibato ecclesiastico. «Ci chiediamo e ti chiediamo se davvero è giusto sacrificare l’Amore in virtù di un bene più alto e grande che è quello del servizio totale a Gesù e alla comunità… Ti chiediamo di essere da te convocate in un’udienza privata per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze», scrivevano a Papa Bergoglio le amanti dei preti. Ventisei firme. Di tono più dotto la missiva inviata a Ratzinger nel marzo di quattro anni fa, arricchita da alcune citazioni del saggio di Eugen Drewermann, Funzionari di Dio. Psicodramma di un ideale (Raetia, 1995) ma di eguale sostanza. Nessun segnale, però, nessuna convocazione pervenuta. Né oggi, né allora.

Non c’è da sorprendersi. Gianfranco Girotti, reggente emerito della Penitenzieria apostolica in Vaticano, ha dichiarato: «Nonostante le tante aperture mostrate su temi scottanti, Bergoglio manterrà la situazione immutata sul celibato». Appelli e auspici («Grazie Papa Francesco, speriamo con tutto il cuore che tu benedica questi nostri amori…»), dunque, sembrano caduti nel vuoto. Poco importa che tale legge non sia di emanazione divina, bensì ecclesiastica. Che il celibato non sia dogma di fede. Eppure, la sortita delle intrepide ventisei, apparentemente ignorata dal Vaticano, ha suscitato clamore rimbalzando nei commenti dei media, con notazioni anche provocatorie del tipo «a sposarsi ormai ci tengono solo i gay, i trans e le amanti dei preti», come ha sostenuto Marcello Veneziani.

Vale la pena, allora, cercare le testimonianze delle dirette interessate. Impresa complicata. Le amanti dei preti, nell’era di internet, comunicano molto tra di loro («Ho sentito l’esigenza di cliccare in rete la frase “mi sono innamorata di un prete”. Non mi aspettavo tanti risultati, invece ho scoperto un mondo», dice Vittoria, studentessa di 24 anni), pochissimo con le persone estranee al loro ambiente. L’aggancio avviene tramite Ernesto Miragoli, prete sposato da lungo tempo (rito civile in prime nozze, religiose dopo aver ottenuto la Dispensa), sessantenne, con figli. Miragoli vive a Como e lavora nell’edilizia. Si occupa anche di editoria. Gettata la tonaca (un tempo si diceva così), ha quindi deciso di agire nel volontariato proprio in quel campo che lo aveva toccato da vicino. Da 25 anni segue le «relazioni pericolose» tra le donne e i sacerdoti. «Le amanti che hanno scritto a Papa Francesco — spiega a “la Lettura” — sono soltanto la punta dell’iceberg. Difficile dare cifre. Personalmente, sono stato contattato da almeno 300 di loro. Può ben immaginare quanto il fenomeno sia vasto».

Miragoli ha «visto relazioni sfociare in matrimoni (pochi), convivenze o, per lo più, rimanere clandestine. E varie rotture. Quasi mai da parte delle donne. Sono i preti che si tirano indietro». Pentimenti? Lacerazioni? Miragoli ammette: «Per molti è davvero un dramma. Altri, però, non hanno intenzione fin dagli inizi della relazione di assumersi le proprie responsabilità. Tra l’altro, rompendo con la Chiesa, non avrebbero la strada spianata. Anche economicamente, intendo. Tutto viene perso, e non c’è pensione di vecchiaia all’orizzonte. Mi risulta che oggi l’unico benefit per il prete che se ne va sia un contributo di mantenimento per alcuni mesi, previsto dall’Istituto diocesano per il Sostentamento del clero. A discrezionalità del vescovo». Da queste considerazioni, si evince come le donne innamorate di un sacerdote spesso finiscano in un vicolo cieco, illuse al pari delle amanti degli uomini sposati.

La situazione è complicata per entrambe le parti. «In molti casi le relazioni nascono come dipendenza reciproca a livello affettivo. Il prete aiuta la donna in difficoltà, la consiglia, gli incontri tra i due si infittiscono e poi l’uno non riesce a fare a meno dell’altro», osserva un monsignore della Diocesi di Milano, che con «la Lettura » preferisce mantenere l’anonimato. La materia è delicata. Aggiunge: «Le gerarchie vengono a conoscenza di questi rapporti sia da segnalazioni esterne, sia dalle confidenze degli stessi sacerdoti smarriti. E sarebbe la cosa più lineare. Che fare, poi? Da tempo, direi dall’epoca del cardinale Martini, nella nostra Diocesi ci si muove con tatto, usando il buon senso. Niente anatemi né scelte affrettate. Al prete in crisi si consiglia di rivolgersi a uno psicologo, al direttore spirituale. Gli si chiede di autosospendersi dal ministero per un periodo di ripensamento, prima di prendere una decisione definitiva».

La voce delle donne indica che i sacerdoti, al pari dei laici, talvolta giocano con gli amori delle donne. «Sono egocentrici, si preoccupano per se stessi, si avvicinano e si allontanano quando vogliono a seconda del loro stato d’animo e del loro bisogno », ci racconta Consuelo, infermiera di 32 anni. «La mia storia — aggiunge Mina, 47 anni, insegnante — è finita da molto tempo, ma è durata tra alti e bassi per circa 15 anni. Ne avevo 27 quando l’ho conosciuto. All’inizio, ho tentato di celare questo sentimento anche a me stessa. Ho tenuto nascosta la mia storia lacerandomi nei dubbi e nelle insicurezze fino a che non ho trovato sul web un sito che, nell’anonimato, aiutava le donne dei preti. Con grande dolore ho capito che pochissime storie sfociavano nel matrimonio. Sono solo una minoranza i sacerdoti che hanno la forza di scegliere di abbandonare il ministero per amore».

Consuelo, Mina, Vittoria, Stefania, Giovanna, Stella, Silvia, Monica, Gloria, Erica, Marta, Giulia. Le donne non se la sentono, comprensibilmente, di dichiarare le loro generalità. Ad eccezione di due di loro: Maria Grazia Filippucci, ricercatrice universitaria, 58 anni. E Ralitsa Tcholakova, 43 anni, violinista originaria di Sofia che vive ad Ottawa, in Canada. Deluse entrambe dalle esperienze amorose con sacerdoti.

«Di regola — ci scrive Ralitsa — una relazione con un prete cattolico è una relazione impari. Non si basa su un’unione equilibrata. La donna è quella che deve sacrificarsi e accettare i compromessi più dell’uomo. Io non sono una donna sottomessa e non posso tollerare un abuso. Tuttavia, la colpa in parte è anche delle donne che mantengono segreta la loro relazione. L’amore deve essere celebrato in pubblico». E Maria Grazia: «Il mio frate, egoisticamente, si preoccupava solo di se stesso. La nostra relazione iniziava, continuava e si interrompeva quando decideva lui. In due diversi periodi siamo stati amanti. In entrambi i casi, si è fatto avanti nei momenti in cui ero sola e più fragile, approfittando dell’amicizia che ci legava e fregandosene altamente del fatto che potessi soffrire a causa del suo comportamento e delle sue incertezze».

La testimonianza più cruda è di Gloria, 41 anni, impiegata: «Quattro anni fa ho avuto una figlia… Lui aveva già deciso di lasciare il ministero ma sia la sua famiglia sia i suoi amici preti e la Curia continuavano a fargli pressione di lasciare me e di andare lontano per “disintossicarsi”. Appena rimasta incinta, tutti spariti. La Curia lo ha saputo subito ma ha aspettato circa sei mesi, sperando forse che avessi un aborto, prima di sospenderlo. Nel frattempo, lui aveva fatto in Municipio il prericonoscimento della nascitura. Ci hanno abbandonato a noi stessi, anche nella ricerca di un lavoro per il mio uomo, e hanno aspettato. Aveva cinque mesi la bimba quando lui è entrato in crisi e ci ha lasciato con l’illusione di poter tornare nei ranghi, nonostante il riconoscimento della figlia. Da allora si è trasformato. Squilibrato e violento. Stavamo lontani poiché se n’era andato, eppure continuava a riversare su di me il suo astio. Oggi vive nel limbo e continua a non concretizzare una scelta di vita».

Ancora: «I sacerdoti sono uomini spesso estremamente sensibili ma pur sempre uomini. Ne consegue — sostiene Vittoria — che talvolta mostrino atteggiamenti o modi di pensare non in linea con quanto ci si aspetterebbe dal loro ruolo. Ma questo è un pensiero che riflette la nostra cultura. È lo stesso stereotipo delle donne dei preti, bellissime e tentatrici. In realtà, siamo donne e uomini come tanti. Non siamo sul set di un film».

Ma dove ci si innamora di un sacerdote? In parrocchia. Ma non solo in parrocchia: come per Maria Grazia Filippucci che dichiara di «non essere credente». Neppure per Erica, studentessa. Che tratteggia così la sua storia: «Spesso ci trovavamo a condividere la giornate. Lui si è innamorato e mi lanciava segnali che non coglievo. Dopo la sua dichiarazione, sulle prime lo respinsi, da sorella. Una settimana dopo ho capito di amarlo. Lui parte di me e io di lui. Siamo stati insieme per qualche mese, con l’affiatamento di due fidanzati che imparavano a camminare insieme. Poi la sua famiglia l’ha scoperto e lui ha dovuto fare i conti con una realtà difficile. Crisi e silenzio. Infine, un trasferimento per motivi di studio. Ci sentiamo poco, adesso, ma so che mi ha amata e forse mi ama ancora. Tra Dio e la famiglia non c’era posto per me. Ora viviamo infelici. Perché? Per una regola contro natura e, a mio avviso, contro Dio».

Secondo le stime di Vocatio, il movimento dei preti sposati in Italia, negli ultimi cinquant’anni, circa 100 mila preti (nel mondo) hanno abbandonato il sacerdozio, 10 mila nel nostro Paese; la maggior parte, per amore di una donna. «Succede, e non di rado, che l’ex prete non si unisca in matrimonio con la prima persona di cui si è innamorato, colei che gli ha scombussolato l’esistenza, ma successivamente, con un’altra donna, quando la sua vita fuori dal ministero ecclesiastico ha preso un nuovo corso», nota il monsignore della Diocesi milanese. Di solito, «queste sono le unioni più riuscite perché depurate da quel carico di angosce, di dipendenza, presente nelle relazioni clandestine».

Amare un prete significa lottare contro tutto. Marta, 39 anni, commessa, racconta: «Mi dicevo continuamente che era una pazzia pensarlo come uomo, mi sentivo confusa e sono entrata in conflitto con me stessa. Mi ha aiutato uno psicologo». E Monica, 40 anni, badante: «Vergogna, tantissima vergogna, tanto da sentirmi continuamente gli occhi addosso e il dito puntato di tutti…». Riassume Stella, 30 anni, libera professionista: «Ti trovi a gestire un complicato alfabeto di gesti, sguardi, sorrisi. A scegliere i posti alle riunioni secondo logiche comprensibili solo ai due amanti e non agli altri. Tutto questo è la negazione stessa dell’amore che, per sua natura, tende a espandersi e vuole essere dichiarato al mondo». «Ciò che mi ha impressionato di più confrontandomi con altre donne — afferma Stefania, 43 anni, architetto — è scoprire che i sacerdoti hanno più storie sentimentali. Un panorama desolante. Preti che si trascinano da una parrocchia all’altra collezionando relazioni. È questo il celibato della Chiesa cattolica? Parlando con il mio don, ho saputo che nella sua Diocesi il 30 per cento dei sacerdoti viveva una storia d’amore».

Sostiene Miragoli che «l’abolizione del celibato non è e non deve essere il remedium concupiscentiae. Conosco tre donne che sono state amanti, in tempi diversi, dello stesso prete. Costui, anche se fosse sposato, continuerebbe la vita da farfallone. I motivi fondamentali per chiedere l’abolizione del celibato sono ben altri». Il prete sposato li riassume così: «Non lo ha voluto Cristo Fondatore. Dio creò l’uomo e la donna perché entrambi partecipassero al piano di salvezza divina. Un prete con famiglia vive in modo immediato i problemi della gente comune. E dunque è più credibile come pastore».

Marisa Fumagalli

Illustrazione di Chiara Dattola

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