Le parrocchie senza più il prete da affidare ai preti sposati e non solo tenute vive da diaconi, laici e famiglie

Mancano i sacerdoti per garantire riti e attività pastorali nei piccoli paesi, a cominciare dalla montagna. La scelta di vescovi e parroci di “affidarle” a collaboratori sposati ma non ai preti sposati che dal 2003 offrono proposte di collaborazione, costantemente disattese, al Papa e ai vescovi.

Giuseppe Macaluso, accolito della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro

Tutti hanno sempre saputo che Piero Pierattini è sposato, è padre di famiglia con tre figli e nonno di cinque nipoti. E, «una volta conquistata la fiducia», come lui stesso racconta, nessuno si è fatto problemi a vederlo dietro l’altare per guidare la celebrazione settimanale della parrocchia. Non la Messa, ma la liturgia della Parola. Perché Pierattini è un diacono permanente da un quarto di secolo. E per anni è stato l’animatore di due piccole comunità sulla collina pistoiese che non potevano più contare sul parroco fisso. Una presenza, quella dell’ex esperto di informatica oggi in pensione, che ha scongiurato che nei portoni d’ingresso comparisse la scritta “Chiesa chiusa per mancanza di prete”.

E anche della comunità. «Le piccole parrocchie sanno organizzarsi e tenersi vive. Ma serve una spinta per agire. Una figura di riferimento che faccia da motore», afferma il diacono di 74 anni che si appresta a festeggiare le nozze d’oro. Come è accaduto a lui. Per sei anni è stato “delegato” dal sacerdote che aveva formalmente la responsabilità di San Lorenzo a Uzzo di farne le veci. Poi, alla morte del prete, il vescovo lo ha nominato amministratore parrocchiale. Incarico che ha ricoperto per quattro anni. «Accanto alla liturgia della Parola, ho amministrato il sacramento del Battesimo e presenziato i matrimoni.

Mi preoccupavo di cercare qualche presbitero che venisse a celebrare la Messa nelle feste solenni. In altre occasioni mi procuravo ostie consacrate presso le parrocchie vicine per la Comunione durante la liturgia settimanale – dice –. È stata coinvolta anche mia moglie che è stata di grande aiuto nel curare i rapporti con la comunità. E anche mio figlio più grande che con la fidanzata ha tenuto gli incontri di catechismo per 6 o 7 bambini». E dopo 25 anni sono tornate le Cresime. «Prima che iniziassi il servizio a San Lorenzo i frequentanti erano 10; quando ho lasciato la parrocchia, ce n’erano fra 30 e 40 su 250 abitanti».

Cifre, certo, ridotte. Come nelle piccole comunità sempre più diffuse in Italia che vescovi e sacerdoti scelgono di affidare a diaconi o laici perché non venga meno una presenza significativa della Chiesa. Realtà che in molti casi ricadono nelle “aree interne” dove si trovano paesi e borghi che rappresentano un terzo del Paese e in cui il numero dei residenti crolla, i servizi pubblici scarseggiano e il domani rischia di essere sinonimo di “abbandono”. Anche dal punto di vista ecclesiale. Allora ecco la via di puntare su équipe di persone che non saranno mai i sostituti o i surrogati del prete, ma i “motori” di parrocchie dal volto missionario. Esperienze che si moltiplicano ma che in alcune zone della Penisola sono orami consolidate e addirittura cominciate negli anni Novanta.

Era, infatti, il 1998 quando Pierattini si è trovato “in mano” la parrocchia intitolata al santo diacono martirizzato. E dopo è stata la volta di San Michele Arcangelo a Buriano, frazione di Quarrata, con 300 anime. Novità non di poco conto per lui che era stato il responsabile dell’Ufficio di pastorale familiare della diocesi di Pistoia. «Quando ero sul pulpito le prime volte, avevo una discreta paura. Poi si è creato un legame con il popolo e abbiamo preso a camminare davvero insieme». Una pausa. «Tanti centri minori fanno i conti con molteplici difficoltà – sottolinea Pierattini –. Ecco perché avere una parrocchia effervescente è importante: dal punto di vista ecclesiale e sociale. Del resto il campanile è ancora una bussola per la gente». Così non può smettere di suonare. «Abbiamo anche risistemato le campane – sorride il diacono – perché scandiscono la vita collettiva».

Lo sa bene Giuseppe Macaluso, accolito dell’unità pastorale di Loro Ciuffenna, nella diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro. Una cittadina e dieci frazioni sparse nella montagna del Valdarno: ognuna con la sua chiesetta. «D’inverno hanno poche famiglie che le abitano: talvolta tre o quattro. E ciò dice di come questi luoghi corrano il pericolo di rimanere deserti. Ma d’estate si popolano», spiega l’ex bancario di 73 anni che con la moglie ha adottato due figli e adesso ha anche un nipotino. Merito dei villeggianti o di chi ha lì la seconda casa. Ed è lui che assicura la liturgia della Parola il sabato e la domenica. Non solo. «È capitato anche che mi venisse chiesta la benedizione di una famiglia. Poi c’è stato il passaparola. E a luglio sono passato di casa in casa per benedire gran parte dei residenti». Il suo impegno “al posto” del parroco si concretizza soprattutto fra luglio e agosto. «Mi metto a servizio della pastorale delle vacanze che va coltivata. Se si garantisce una presenza, arrivano anche le risposte: non solo in termini numerici, ma anche di collaborazione», fa sapere Macaluso. Fra i suoi ultimi compiti quello di presentare al vescovo una proposta di revisione organizzativa delle parrocchie della sua montagna. «Serve fare in modo – conclude l’accolito – che i paesini non si spegnano dal punto di vista cristiano».

avvenire.it

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