È una storia vecchia. Nei secoli la Chiesa ha conosciuto molte divisioni: ma Bergoglio le alimenta ancora oggi tenendo lontane le riforme anche sui preti sposati

“Papa Francesco, l’ambiguo modernismo di un Pontefice rimasto legato al populismo argentino”: è il titolo di un articolo di Mario Margiocco pubblicato in firstonline.info. Interessante analisi ripresa dal Movimento Internazionale dei sacerdoti sposati: “Papa porta in avanti Chiesa? In avanti verso dove? Mentre la Chiesa muore piano piano, Bergoglio blocca tutte le ventate di rinnovamento autentico come la riammissione dei preti sposati al ministero”.
Di seguito l’articolo:
“Sia sul piano dottrinale e liturgico sia su quello pratico e dei rapporti internazionali, Papa Francesco non è mai riuscito ad emanciparsi da una visione molto sudamericana e sostanzialmente antioccidentale e sulla guerra in Ucraina le ambiguità sono state manifeste.

Papa Francesco, l’ambiguo modernismo di un Pontefice rimasto legato al populismo argentino
Jorge Mario Bergoglio, papa dal 2013, sta facendo quanto Napoleone I non poté fare e quanto invece Winston Churchill fece ampiamente e benissimo, per dettare il proprio lascito ai libri di storia. Solo che Churchill, quando si descriveva raccontando la Seconda Guerra mondiale, parlava di una guerra vinta. Papa Francesco quando parla di fede non può che tratteggiare nonostante ogni sua buona volontà una dottrina ormai incerta. E parlando di Chiesa non può che evitare di aggiungere che le chiese sono sempre più vuote. E dove non lo sono, vedi Africa, non si può certo dire che siano al momento in sintonia con la sua Roma, essendo i vescovi africani contrari alla benedizione delle coppie gay introdotta dalla Dichiarazione pastorale Fiducia supplicans, e ad altro.

Papa Francesco e le divisioni della Chiesa nei secoli
È una storia vecchia. Nei secoli la Chiesa ha conosciuto molte divisioni, quella attuale è incominciata a fine 800 e, volendo farla semplice, ruota attorno al concetto di “modernismo” che, detto in parole povere significa tenere conto di ciò che è giusto fare in tempi nuovi, senza ledere dicono i modernisti moderati i principi e la tradizione, che non è intoccabile, ma nemmeno strapazzabile. I supermodernisti vanno oltre. Non c’è dubbio che alcune mosse di papa Bergoglio si sono spinte molto, in avanti a suo avviso e secondo molti, ma in avanti verso dove, si chiedono altri.

Condannato da Pio X nel 1907, il modernismo è riemerso come neo-modernismo negli anni ’50, in Germania Francia e Olanda soprattutto. Tutti i neo-modernisti furono a favore del Concilio Vaticano II, ma non tutti gli entusiasti per la convocazione del Concilio furono modernisti. Giova ricordare che lo scritto pre-conciliare che entusiasmò Giovanni XXIII (“Che bella coincidenza di pensiero!”, disse nel febbraio 1962 al cardinale di Colonia Josef Frings che aveva letto quel testo in una sua conferenza nel 1961, titolo “Il Concilio e l’età moderna”) era del giovane professore Joseph Ratzinger, che Frings si porterà al grande evento romano.

Vaticano, lo strappo al Concilio

Lo strappo si verificò al Concilio e sui temi conciliari, e come episodio-simbolo, se si vuole, può essere preso l’abbandono da parte di vari teologi di primo piano della rivista Renovatio fondata nel 1963 da Karl Rahner teologo-principe del progressismo conciliare. Per Henri De Lubac, Ratzinger, Jean Daniélou, Hans Urs von Balthasar e altri era ormai un organo di parte. Fonderanno Communio, in nome della continuità conciliare con la tradizione e contro la teoria della rottura con il passato sostenuta dai rahneriani.

La frattura non si è più ricomposta. L’ala rahneriana, forte dei propri numeri, gestiva nel 66-70 la riforma liturgica, andando ben oltre le decisioni conciliari della Sacrosanctum Concilium, costituzione conciliare sulla liturgia. E ignorando del tutto la Veterum Sapientia, costituzione apostolica di Giovanni XXIII, da lui considerata un documento centrale del proprio pontificato come ricorderà molti anni dopo il cardinale Carlo Maria Martini, dove il Papa del Concilio invitava a rispettare il latino, lingua identitaria nonostante il giustissimo più ampio uso del volgare, e a onorare il canto gregoriano, altrettanto identitario. Noi siamo il latino, noi siamo il gregoriano, diceva Papa Roncalli, lo stesso che poco dopo inviterà con il Gaudet Mater Ecclesia i padri conciliari ad essere audaci. Paolo VI approvava riluttante la nuova liturgia, per poi restarne ampiamente insoddisfatto. Giovanni Paolo II prima, Benedetto XVI poi, cercheranno di tenere insieme le due anime.

Vaticano, la mossa di Benedetto nel 2007

Una mossa significativa la fece Benedetto nel 2007 con la sua Summorum Pontificum, quando riabilitò, a certe condizioni, la messa in latino. Quella stessa che 60 scrittori ed esponenti vari della cultura britannica, Agatha Christie Nancy Mitford Malcolm Muggeridge e Graham Greene in testa, a maggioranza netta non cattolici, avevano implorato nel 1971 Paolo VI di preservare, accanto al nuovo rito. Evitando così alla Santa Sede “la sconcertante responsabilità che altrimenti si sarebbe assunta nella storia dello spirito umano”, dato il peso enorme avuto dalle formule e dal rito della messa romana nella cultura occidentale. Si sa come è andata. I progressisti cattolici hanno sempre ritenuto la messa latina un affronto al Concilio.

Bergoglio, quale Chiesa ha ereditato
Jorge Mario Bergoglio ereditava quindi una Chiesa molto divisa. Poteva mediare o schierarsi. E si è schierato dove lo portava il cuore. Del resto il suo primo entusiasta biografo, l’inglese Austen Ivereigh, lo salutava nel 2014 come The Great Reformer. Come Papa Francesco ebbe a dire più tardi, si sentiva pienamente figlio del Concilio. “Sono cresciuto nello spirito del Concilio. Non c’era tanto bisogno di citare i testi del Concilio”. Bastava lo spirito. Una confessione impegnativa e rivelatrice, perché lo spirito del Concilio è vago, i testi ancorché a volte ambigui sono assai più precisi.

La linea Bergoglio, anche per i distratti, si rivelerà nel luglio 2021, quando con la Traditionis Custodes limiterà fortemente e renderà difficile la messa in latino, considerata anticonciliare, nefasta e “indietrista”, abolendo la Summorum Pontificum del 2007, con grande dolore di Ratzinger. E invocando con estremo sofisma, un sofisma di cui fa ampio uso la più disinvolta teologia progressista, la “tradizione del cambiamento” rispetto alle miserie dell’immobilismo. Traditionis Custodes per salvare una tradizione di 50 anni, cioè la messa in volgare per nulla minacciata, a fronte di una di 500? Essere tradizionalisti vuol dire cambiare, era la risposta.

Bergoglio, cosa dice la sua prima esortazione apostolica
Ma Papa Bergoglio non aveva certo aspettato il 2021. La sua prima esortazione apostolica, Evangelii gaudium del novembre 2013, scritta da Victor Manuel Fernández oggi cardinale e prefetto alla Dottrina della Fede, il principale incarico vaticano, è un attacco in piena regola alla enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1998 sotto la regia di Ratzinger. Questa riprendeva per la prima volta dopo oltre un secolo il tema della ragione umana, aiutata ed educata dalla filosofia da Socrate in poi, come base per la fede e il ragionamento teologico. Bergoglio e Fernández omaggiano i predecessori, ma poi dichiarano, in Evangelii gaudium punto 129, che occorre passare a “nuove formule” per l’annuncio del Vangelo, non più ancorate al passato ma alla ricerca di una “nuova sintesi” figlia dell’inculturazione, cioè del legare il Vangelo a ogni specifica cultura. Il che è naturale. Se non si dimentica, e invece Evangelii gaudium lo dimentica, anzi sostiene il contrario, quanto Fides et ratio punto 72 dice in proposito: “Quando la Chiesa entra in contatto con grandi culture….non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito dall’inculturazione nel pensiero greco-latino. Sarebbe andare contro il disegno provvidenziale di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia”.

Bergoglio, passo più deciso dopo la morte di Ratzinger
Morto Ratzinger il 31 dicembre 2022, e finita la sua ingombrante presenza, il passo si è fatto più deciso. La nomina a luglio di un teologo di scarso pedigree e di scritti discutibili come Fernández alla Dottrina della Fede ha fatto scandalo; sorprendente è stato il mandato datogli di fare tutto il contrario di quanto fatto in passato, e ancora più sorprendete il motu proprio Ad Theologiam promovendam del novembre scorso. La teologia deve privilegiare “..il senso comune della gente che è di fatto luogo teologico nel quale abitano tante immagini di Dio …solo e sempre amore.” La teologia non deve essere “astratta” ma legarsi “alle condizioni nelle quali uomini e donne vivono”. La teologia non deve più essere deduttiva, “..riproponendo astrattamente formule e schemi del passato”. Ma induttiva, prendendo in conto le esperienze di vita dei credenti e dei non credenti. Una teologia più della Terra che del Cielo. “Un tipico documento di Papa Francesco”, commentava il frate cappuccino Thomas Weinandy, a lungo professore a Oxford, americano, e da tempo critico di Bergoglio.” Molte parole altisonanti e ambigue. Campane e sirene”.

Su un fronte molto diverso dal dottrinale, quello del diritto canonico, cioè delle regole giuridiche che dovrebbero governare la Chiesa, non va meglio. Papa Francesco ha governato con stile autoritario, accentratore, senza veri consiglieri ma solo esecutori, e al di sopra delle regole, da vero papa-re. Geraldina Boni, ordinario di diritto ecclesiastico e canonico all’Università di Bologna, ha scritto un’analisi critica della Giustizia vaticana sotto Bergoglio, nel caso del processo per malversazioni al cardinale Angelo Becciu i cui diritti di imputato, sostiene, sono stati disattesi, e che ha visto il diritto canonico ampiamente ignorato.

Papa Francesco e la geopolitica: quali pregiudizi?
Sul fronte geopolitico resta la sensazione che Papa Francesco parta troppo spesso da un pregiudizio antioccidentale tipicamente latinoamericano e, segnatamente, argentino. La sua è una terra, bellissima e un tempo ricchissima, che si vedeva come un pezzo d’Europa australe, e che da quasi 70 anni ha un’economia a pezzi, semidistrutta da un’inflazione cronica innescata dai sogni di gloria di Juan Domingo Perón. Un’inflazione che è stata in media grossomodo, da allora, del 180% all’anno, e oggi al 270%, un Paese senza moneta quindi, e dove tutto salvo fiammiferi e pane si paga in dollari, o in euro. Il giudizio di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina è spesso stato ambiguo, la sua popolarità fra i cattolici ucraini è zero, la Segreteria di Stato ha dovuto più volte correggerlo, ma non per russofilia, quanto per antioccidentalismo, il che nel caso alla fine si equivale. Se la Russia ha attaccato è anche perché è stata stuzzicata, è stata la sua prima analisi. “I russi sono imperiali e temono l’insicurezza ai confini” è stata un’analisi che ha sentito e che ha ripetuto. E i confinanti con la Russia non sono autorizzati a temere qualcosa? Non ha mai sentito la battuta moscovita secondo cui i confini della Russia sono quelli che caso per caso decide il Cremlino? Il suo antiamericanismo poi è da manuale: “è un onore essere attaccato dagli americani”, ha detto in perfetto peronismo a chi gli ricordava l’ostilità di numerosi vescovi degli Stati Uniti. Ma non sono fratelli nell’episcopato? Non dovrebbe dialogare, con misericordia?

Intesa Ratzinger-Bergoglio? Difficile da sostenere
L’ultima fatica mediatica del papa è El Sucesor, frutto di una serie di interviste a Papa Francesco nel luglio 2023-gennaio 2024 del giornalista spagnolo Javier Martinez-Brocal. Uscirà in Italia da Marsilio. È l’architrave a futura memoria. Papa Francesco è il successore, da qui il titolo, di Ratzinger e di Pietro. Ogni Papa, dice, apporta il suo contributo, nella continuità. Traccia una comunanza di riferimenti tra Woytila, Ratzinger e Bergoglio, tutti discepoli del teologo italo-tedesco Romano Guardini soprattuto. Un po’ forzato. Tratteggia una perfetta intesa Ratzinger-Bergoglio, difficile da sostenere, non fosse altro che per la bocciatura bergogliana delle scelte ratzingeriane sulla messa in latino. E soprattutto stride mettere insieme la forma mentis di due uomini profondamente legati alla filosofia classica come il papa polacco e quello tedesco, e un terzo che si affida a un ben diverso codice culturale. Il cardinal Fernández, alter ego di Papa Bergoglio, intervistato da padre Spadaro su La civiltà cattolica del settembre scorso, diceva di non ritenere che esista per il cattolicesimo una filosofia di riferimento. “ Si pensa nel contesto di una prassi, e questa prassi apre nuovi orizzonti”. Ci sono le Scritture e c’è lo Spirito Santo, che aiuta il Papa, in primis. Ma la Fides et ratio dice che la fede pensata, e la fede non può non essere pensata, ha bisogno di una filosofia, e chi pensa di farne a meno è perché ha già abbracciato una filosofia. Quella di Papa Francesco è chiara, oltre alla meritoria e costante difesa dei poveri e degli umili, e può piacere o meno: è quella del pueblo locus theologicus, e fonte del rinnovamento ecclesiale.

Chissà che cosa deciderà il prossimo conclave.

Crediti immagine: Futuro Europa

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