Diocesi venete, 8 milioni in fumo: “penitenziagite”!

fonte: vvox.it

Facciamo due conti alla buona: quattro milioni in diocesi di Treviso; tre milioni e trecentomila in diocesi di Padova (Opera della provvidenza di S. Antonio); quattro milioni in diocesi di Vicenza (comprensivi delle azioni della Banca popolare vicentina in conto ai frati di Monte Berico); spiccioli vari investiti dalla diocesi di Vittorio Veneto e dal patriarcato di Venezia. Totale, a spanne: 8 milioni e mezzo di euro. Tutto in fumo, grazie al crac della banca zoniniana e di Veneto Banca. Come dire che dalle casse delle cinque diocesi venete se ne sono iti più di 16 miliardi di vecchie lire.

Cifre tanto ingenti investite in azioni “sicure” nel tempo e sicuramente sparite per sempre in poco tempo inducono a qualche riflessione. Non sono passati molti mesi da quando il vescovo di Vicenza, Beniamino Pizziol, sollecitato a rendere pubblico il bilancio della sua diocesi, rifiutò cortesemente adducendo l’assenza di una legge che lo obbligasse a questo gesto di semplice trasparenza amministrativa. In questo modo la notizia del notevole investimento rimase nel cassetto curiale. Ma dopo la trasformazione delle banche popolari in spa, lalegge del mercato obbliga a rendere pubblico l’elenco dei soci. Così, mentre i cassetti della curia rimanevano ostinatamente e inutilmente chiusi, si sono aperti quelli delle banche e tutti hanno letto e capito. Se si fosse dato ascolto per tempo al pio abate Rosmini si sarebbe evitata questa umiliante lezione di trasparenza che il mondo della finanza, il regno di Mammona, ha inflitto alle Chiese che sono in Veneto.

Ero arrivato a questo punto dell’articolo quando il papa venuto dall’altro mondo, presa la frusta di Gesù, in pochi minuti ha buttato a carte quarantotto tutti i beni mobili e immobili della chiesa, universale o locale che sia. Celestino V, il povero papa povero della fine del Duecento, non regge al confronto, e neppure il mio buon Rosmini. Se alto e basso clero devono liberarsi di ogni proprietà, a che pro bilanci e registri, nascosti oen plein air? Domani sarà il giorno dei distinguo, delle cautele, dei “nella misura in cui”, dei “tuttavia”, del “caso per caso”, della minuziosa distinzione tra miseria e povertà. Ma oggi… oggi è un altro giorno: è il giorno in cui, nell’al di là, gioiscono i Michele da Cesena, i Pietro da Fossombrone, i Bernard Délicieux, i Guglielmo d’Ockhman e, da queste parti, fra Carissimo da Chiampo, santo subito.

C’è da giurarci: adesso, sull’onda dell’entusiasmo, i vescovi veneti saranno i primi, questa sera stessa, a liberarsi dei palazzi dove abitano e a trovare alloggio in un bilocale di periferia, a chiudere i loro musei diocesani pieni di tesori che nulla hanno a che fare con “l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio”, a mandare nelle parrocchie, scalzi, tanti azzimati monsignorini di curia. E ad andarci loro stessi e rimanerci per qualche settimana, sostituendo il parroco che non ha più tempo (o voglia) per dare l’estrema unzione al moribondo o per ascoltare il disperato inchiodato ad un letto. Da parte sua, ne sono certo, Papa Francesco denuncerà a breve i Patti Lateranensi e rinuncerà, oltre all’otto per mille, soprattutto ad essere Capo di uno Stato, per di più confessionale. Perché è da lì, dalla Chiesa-Stato che si dipartono gli untuosi tentacoli delle ambizioni vuoi per una berretta cardinalizia, vuoi per una nunziatura, vuoi per un posto di minutante presso la Segreteria di Stato o per un attico vista cupolone. Avviso ai naviganti: se non è un fuoco di paglia, ma quello vero dello Spirito Santo, teniamoci forte, molto forte.