Cultura / Il dio senza dogmi di Kieślowski

re i conti con dio che ci si creda o meno. E con la razionalità esasperata, i regimi totalitaristi dell’Est, il destino “cinico e baro” e l’occhio femminile. Passione Kieślowski – la rassegna cinematografica dedicata all’autore polacco a vent’anni dalla scomparsa, fino al 2 giugno al Palazzo delle Esposizioni di Roma – ripercorre i temi che gli sono stati cari. Anche assieme a testimoni come Tomasz Wasilewski, regista e connazionale, considerato il suo erede.

United States of love, il malinconico e feroce film di Wasilewski, Orso d’argento alla scorsa Berlinale, ambientato in Polonia nel primo anno dopo la liberazione del comunismo, è impregnato di una fede punitiva che rende gli individui infelici. Agatha (Julia Kijowska) è sposata con una figlia, ma è ossessionata dal sacerdote della sua parrocchia; Iza (Magdalena Cielecka) è respinta dal padre di una sua studentessa con cui ha avuto una relazione; Marzena (Marta Nieradkiewicz), sorella di Iza, è un’ex miss, le cui solitudine e ingenuità vengono manipolate da persone di cui si fida e che ha aiutato; Renata (Dorota Kolak), una vecchia insegnante in pensione, usa qualsiasi trucco per attirare l’attenzione di Marzena di cui si è invaghita.

Wasilewski ha girato un film con quattro personaggi femminili che si sfiorano senza intrecciarsi e che suggeriscono una connessione ai temi del doppio e della incomunicabilità tra gli individui sottesi ne La doppia vita di Veronica (1991), dove due identiche Irène Jacob convivono, a Parigi e a Cracovia, senza sapere nulla l’una dell’altra. L’altro riferimento kieślowskiano forte è al Decalogo (1988). «Kieślowski ha usato la religione per fare un ritratto del Paese, ma il dogma è solo una leva per indagare la natura umana – puntualizza Wasilewski -. Ogni episodio equivale a un comandamento, senza esprimere mai giudizio positivo o negativo sulle persone e sulla situazione. La sua ricerca non ha niente a che fare con il proselitismo. Il cattolicesimo in Polonia è stato ed è un elemento pervasivo e credo che abbia avuto un forte impatto sul maestro come sulla vita di ogni altro polacco».

E molto cinema polacco, anche ultimamente, ha riflettuto sul senso di colpa e sulle radici cristiane che hanno forgiato le vecchie generazioni, continuando ad alimentare le nuove, magari solo per sottrazione. In questo senso, è indimenticabile Ida di Pawel Pawlikowski che racconta la sofferta vocazione di una suora che si scopre ebrea; il film ha vinto l’Oscar come migliore film straniero nel2013. Nello stesso anno è passata in concorso a Berlino una pellicola coraggiosa e intelligente sulle pulsioni omosessuali di un sacerdote, In the name of di Malgoska Szumowska, che non è ancora approdato nelle nostre sale. In United states of love, che uscirà in Italia per Cinema di Valerio De Paolis, le citazioni esplicite dell’opera di Kieślowski sono indubbie, ma mai insistite. Vi è la morte di una ragazzina per la caduta accidentale in un buco di un lago ghiacciato, come era accaduto al piccolo protagonista del Decalogo 1, ispirato al primo comandamento Io sono il Signore tuo Dio. Non avrai altro dio all’infuori di me.

E il bianco e nero di United States of love è macchiato ogni tanto dall’azzurro di un maglione, dal fucsia delle cuffiette da piscina, dal verde della tonaca sacerdotale. Un omaggio alla Trilogia del coloreispirata alla bandiera francese e associata ai tre ideali della rivoluzione (blu-libertà, bianco-uguaglianza e rosso-fratellanza). «Assieme al direttore della fotografia Oleg Mutu che aveva firmato la fotografia di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu (Palma d’oro a Cannes nel 2007 n.d.r.) – spiega Wasilewski-, ricordavamo l’epoca degli anni ’80 e ’90 come priva di colori. Avevamo la stessa sensazione anche se lui ha vissuto la cappa del regime in Moldavia. Per questo abbiamo deciso di rendere le facce per lo più bianche, il resto senza tinta, come la fine del mondo in qualsiasi posto».

Wasilewski è nato nel 1980 e aveva solo nove anni quando la dittatura crollò ma racconta quella stagione politica, che Kieślowski anticipò con Lavoratori 1971: Niente su di noi senza noi, riprendendo la repressione violenta dello sciopero di Danzica da parte della polizia. Il documentario venne requisito e usato dalla forze dell’ordine per identificare i partecipanti e punirli, rovesciando completamente l’intento di denuncia del suo autore. E il comunismo Kieślowski lo ha reso anche con i campi lunghissimi sui palazzoni squadrati dell’architettura sovietica, come fa Wasilewski. La sua macchina da presa è però spesso addosso ai protagonisti: «Come in quelli di Kieślowski, nel mio film non ci sono grandi trame o eventi epocali, l’importante è che lo spettatore provi le stesse emozioni dei personaggi».

ilsole24ore.com

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