Preti sposati: riflessioni che potrebbero esserti utili mentre Papa Francesco sta ripensando alla questione

Gianfranco Monaca (prete sposato)

Ha scritto a Papa Francesco qualche settimana fa, per raccontare la sua esperienza e affidare al Pontefice alcune riflessioni, come un regalo, alla scadenza del 55esimo anniversario della propria ordinazione sacerdotale. Protagonista l’astigiano Gianfranco Monaca, che, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1959, ha chiesto e ottenuto, nel 1970, la dispensa dal celibato. E’, questa, una concessione che esonera chi ne fa richiesta dallo svolgimento delle attività pastorali previste dal Codice di diritto canonico (guidare una parrocchia, presiedere la celebrazione di una messa…), facendo sì che torni allo “stato laico” anche se il sacramento dell’ordinazione presbiterale rimane in eterno. «Caro fratello Francesco – scrive – quando ho ricevuto dal mio vescovo (sette Papi orsono) l’ordinazione presbiterale, tu eri ancora studente: mi permetto dunque questo tono colloquiale che però vuole essere anche espressione di vera fraternità evangelica (…). Ti affido dunque queste mie riflessioni che potrebbero esserti utili mentre stai ripensando alla questione dei “preti sposati”».
Lo abbiamo raggiunto per porgli alcune domande.
Quando ha scritto al Papa?
«Qualche settimana fa. Era la domenica in cui la liturgia romana suggeriva la rilettura della parabola del Seminatore. Un testo evangelico pieno di immagini evocative».

Come ha inviato la lettera?
«Ho chiesto al vescovo di Asti, tramite il vicario generale, di trasmetterla al vescovo di Roma. E’ la via ufficiale, con cui si riconosce formalmente la gerarchia della Chiesa romana. Naturalmente, ciascuno di noi resta libero di fare ciò che vuole della propria corrispondenza, quindi l’ho anche spedita al gruppo di amici con cui parlo abbastanza spesso degli argomenti e dei problemi connessi alla partecipazione alla vita della Chiesa, anche per doverosa informazione».
Perché ha sentito l’esigenza di scrivere a Sua Santità?
«Perché Papa Francesco ha detto che il pastore deve sentire l’odore del gregge, che è un’espressione bellissima che nessun Pontefice aveva usato prima. Ecco, con questa lettera desidero fargli sentire l’odore del gregge, cioè raccontarglli con molta sincerità la mia esperienza e il mio modo di vivere il mio rapporto con il resto del gregge».

Quali incarichi ha svolto nella Diocesi di Asti da sacerdote?
«Ad essere precisi il termine “sacerdote” è stato abbandonato, giustamente, nei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II, che lo sostituisce con quello tradizionale di “presbitero”. Purtroppo il Concilio è stato poco studiato dalla cultura cattolica, forse per una certa pigrizia mentale o, forse, perché coloro che avrebbero dovuto applicarlo hanno avuto timore di dover cambiare troppe cose».
«Detto questo, dopo la mia ordinazione ho svolto l’attività pastorale in diverse parrocchie (Rocca d’Arazzo, San Pietro, Agliano, Refrancore, Costigliole, Santi Cosma e Damiano). Poi, nell’ambito della Pastorale dei migranti, tra il 1965 e il 1969 sono andato a occuparmi di emigrati italiani in Belgio, precisamente a Seraing, nella diocesi di Liegi. Lì ho potuto verificare la mia attività pastorale con l’aiuto straordinario del canonico François Houtart, grande teologo e sociologo dell’Università di Louvain».

E’ stato successivamente che ha chiesto la dispensa? Quali regole prevede?
«Tornato ad Asti ho introdotto in diocesi la domanda per ottenere la dispensa dal celibato, che è stata regolarmente inoltrata secondo le previste forme canoniche, e mi è stata concessa dopo circa sei mesi, nel 1970. Secondo la procedura, sono stato dispensato anche dagli obblighi connessi con le modalità consuete di esercitare i compiti presbiterali. Era il tempo in cui nella Chiesa si viveva un clima di ricerca molto attiva, grazie allo spirito nuovo che era stato introdotto dal Concilio Vaticano II e dagli studi teologici di tutto il mondo, e questo fu provvidenziale, perché le informazioni circolavano molto liberamente nel popolo cristiano, e anche l’ecumenismo viveva un momento felice».

In seguito alla dispensa qual è stato il suo “inquadramento” nella Chiesa? Quale attività lavorativa ha svolto?
«La mia appartenenza alla Chiesa godette di grande libertà. Ho sempre avuto l’impressione che i miei rapporti con i cristiani e i preti (astigiani e non) sia sempre rimasto sul piano di una reciproca stima e collaborazione. Ho lavorato i vari ambiti – dalla formazione professionale rivolta ai disabili all’animazione culturale, retribuito dagli Enti per i quali di volta in volta svolgevo il mio servizio. Inoltre mi sono occupato di attività editoriali: per esempio, ho scritto alcuni libri sulle principali chiese cittadine (Duomo, Collegiata di San Secondo) e, insieme a mia moglie, ho pubblicato per la casa editrice cattolica Elledici diversi volumi sulla lettura della Bibbia dedicati ai ragazzi, che ho commentato e illustrato».
«Ciò che voglio dire, in sostanza, è che il modo in cui ho svolto la mia attività lavorativa successivamente alla dispensa è stato arricchito da tutta la cultura che avevo elaborato nella realtà teologico-pastorale che avevo praticato fino a quel momento. D’altra parte, molti preti hanno svolto lavori considerati “laicali”, come l’insegnamento nelle scuole statali, o come “preti operai” nelle fabbriche, sempre conservando la qualifica presbiterale».

Come è proseguita la sua vita a livello personale?
«Mi sono sposato con una donna che, svolgendo il suo lavoro di insegnante ed educatrice, ha riscosso la grande stima di allievi e colleghi e mi ha sempre fornito un esempio straordinario di coerenza e di testimonianza. Abbiamo un figlio di cui non possiamo che essere fieri».

Riassumendo, quale il suo pensiero in merito a sacerdozio e celibato?
«Come dico nella lettera, per affrontare questo problema bisogna dare molta importanza alla fiducia nelle persone e nello Spirito Santo, chiedere lo spirito di discernimento prima di essere sicuri di possedere il discernimeto degli spiriti, e accompagnare le esperienze con molto senso di fraternità».
«Ma bisogna anche essere consapevoli che l’attuale organizzazione della Chiesa è ancora sostanzialmente regolata dal Concilio di Trento, e la figura del prete è ancora strutturata secondo la cultura celibataria, per cui si tratta di un cambiamento radicale che suppone una grande umiltà e un grande impegno collettivo. Questo secondo la mia esperienza, ed è per questo che ho voluto metterla a disposizione di tutti, a cominciare dal Papa. Spero che si possa apertamente discutere anche ad Asti questo insieme di problemi ecclesiali, che non sono privi di conseguenze per l’intera società civile».

Elisa Ferrando – lanuovaprovincia.it

3 Agosto 2014 ore 09,45

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