Impeachment. Il Congresso assolve Trump senza processarlo

Se fosse il finale di un film sarebbe troppo perfetto e ben poco credibile. Nello stesso giorno Donald Trump si è buttato alle spalle l’impeachment, il più breve della storia, assolto dopo sole due settimane di un processo che non gli ha apparentemente intaccato l’immagine.

Ha raccolto consensi a manciate per un discorso sullo stato dell’Unione in cui si è presentato come il salvatore dell’America e l’unico in grado di promettere che «il meglio deve ancora venire», e ha intascato un’impennata del gradimento popolare. Intanto il partito democratico cercava malamente di controllare il danno del clamoroso flop dell’Iowa e di riorganizzare le sue fila alla luce di risultati che rivelano una divisione e una debolezza interna poco promettenti. Allo stesso tempo, Wall Street continuava la sua volata, quasi a dare la sua benedizione allo status quo e all’assicurazione del presidente Usa che «l’America è di nuovo grande».

I pianeti sono allineati a favore del capo della Casa Bianca. E sembra che non sia una congiuntura stellare passeggera. A far riflettere sulla forza di Trump è soprattutto il modo in cui si è conclusa la sua messa in stato d’accusa da parte del Parlamento americano per il caso Kievgate.

Le imputazioni erano gravi: abuso di potere (assolto con 52 voti su 48) e ostruzione al Congresso (assolto con 53 a 47), per aver condizionato gli aiuti militari all’Ucraina all’apertura di un’indagine contro il suo presunto rivale politico, l’ex vicepresidente democratico Joe Biden. E nel corso delle indagini alla Camera che hanno preceduto il procedimento vero e proprio al Senato sono emersi fatti che dimostrano che entrambe le accuse sono fondate. Persino molti repubblicani questa settimana hanno smesso di difendere la azioni del presidente, ammettendo pubblicamente che è vero, ha usato la sua autorità e influenza di capo di Stato per spingere un leader straniero (ucraino) a mettere in cattiva luce un suo avversario (nella fattispecie, Biden) e per aumentare le sue probabilità di rielezione.

Ma, stando a quasi tutti i senatori del Grand old party (in maggioranza al Senato con 53 seggi su 100), l’operato di Trump non va punito rimuovendolo dal vertice della più potente democrazia della terra. Che le sue azioni siano «vergognose», come ha sostenuto la repubblicana Lisa Murkowsky, o che «abbiano superato la linea di quello che è appropriato», come sostiene Lamar Alexander o che siano «sbagliate», secondo Joni Ernst, il Gop al Senato è rimasto compatto nell’affermare che, nonostante tutto, Trump non rappresenta un pericolo per la Costituzione americana.

Nemmeno gli avvocati del Commander in chief hanno perso tempo a contraddire le prove presentate dai democratici. Anche questo colpisce. La strategia della difesa era di sostenere che le azioni di Trump, sebbene inusuali e opinabili, formalmente non violano il suo giuramento di fedeltà. Fare di tutto per rimanere alla Casa Bianca, in sostanza, è nell’interesse della nazione. Ancora una volta, come già alla fine dell’inchiesta sul Russiagate di Robert Mueller, Trump si trova assolto perché le persone preposte a giudicarlo, pur senza esonerarlo, per varie ragioni non sono disposte a dichiararlo colpevole. Non la pensano così i democratici, per i quali però il breve processo contro il presidente, concluso senza che riuscissero a convocare un solo testimone in aula, si è trasformato in un clamoroso autogol.

Fra i repubblicani, solo il senatore Mitt Romney, ex governatore del Massachusetts ed ex candidato alla presidenza noto per la sua integrità, ha preso la storica decisione di votare per la condanna per abuso di potere, dichiarando che «il presidente è colpevole di un terribile abuso di fiducia pubblica».

Una giornata amara per i liberal, che dicono di non rimpiangere la decisione di avviare l’impeachment, perché, sostengono, non potevano rimanere indifferenti di fronte a un uso troppo disinvolto dell’autorità da parte dell’uomo più potente della terra. E che restano convinti, nelle parole della Speaker della Camera Nancy Pelosi, che la storia darà loro ragione.

avvenire

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