Il ritorno a Washington del National Prayer Breakfast. Auspicata da don Serrone una maggiore unità tra le religioni

Simbolo e bandiera della pace - tecnologiaduepuntozero

da avvenire.it

L’orgoglioso « America first» di Donald Trump lascia il campo a «United America» di Joe Biden. «Unità», dentro e fuori i confini Usa, è stata la parola più invocata dal presidente cattolico, seppure senza la passione necessaria per scaldare il cuore dei 1.200 leader presenti alla settantunesima edizione del National Prayer Breakfast. Fu Dwight Eisenhower a promuovere l’iniziativa, che si rivelò una vera novità sulla possibilità di fare incontrare politica e religioni su base preconfessionale, al di là delle appartenenze, «nello spirito di Gesù».

Il Nazareno rimane l’uomo più amato della storia, eppure il più crocifisso da coloro che al suo amore s’ispirano, che nel suo nome s’incontrano e vorrebbero riversare i grandi ideali del cristianesimo nella politica e nelle relazioni umane. Ma nel tempo della crisi planetaria di amore per il futuro di pace dell’umanità è sempre meglio provarci e riprovarci piuttosto che stare a guardare e lamentarsi. È per questa ragione che, dopo due anni di assenza a causa del Covid-19 (Biden ha invocato misericordia divina per il milione di morti americani), è tornato il National Prayer Breakfast, una sorta di profezia della “diplomazia dell’amicizia”, su base spirituale, che fa incontrare leader laici ai più alti livelli della vita sociale, politica, economica, invitati da un’apposita commissione di senatori e congressisti dei due grandi schieramenti politici americani.

Un numero ridotto di partecipanti, quest’anno, consapevoli che la pandemia con i suoi postumi e la crisi umanitaria che attraversa la storia con le sue diverse declinazioni di conflitti e ingiustizie, necessitino di risposte più adeguate da parte di una politica che risulta essere inadeguata, talvolta in modo imbarazzante, in America come in Europa, in Medio Oriente come in Africa. La “preghiera”, nel nome di Gesù che raduna, intesa come ascolto sincero, come conversione della mente e del cuore a Dio, come possibilità di dialogo aperto e fraterno, è il metodo che caratterizza ogni incontro delle delegazioni presenti a Washington sulle urgenze della storia contemporanea.

E, dunque, non potevano che andare in scena, ancora una volta, la guerra in Ucraina, la ripresa del conflitto israelo-palestinese, il tema dei diritti umani e della libertà religiosa. Il presidente degli Stati Uniti ha voluto significare la maggiore difficoltà delle leadership oggi: l’incapacità di amare le differenze e di costruire l’unità a partire dalla pari dignità di ogni uomo. Biden non è riuscito ad andare oltre: sarebbe stato bello sentire che l’America, in segno di discontinuità, a un anno ormai dall’inizio del conflitto Ucraina-Russia, inizierà a finanziare la pace e a depotenziare la guerra. Il presidente Zelensky, collegato in diretta da Kiev, che ha poi preso la parola per ringraziare tutti del sostegno assicurato al suo Paese, avrebbe potuto dare voce alle immani e taciute sofferenze che questa guerra sta generando nei bambini, nei giovani, negli anziani, nel dialogo interconfessionale, nell’avvenire della Chiesa ortodossa, nell’anelito di pace che è nel cuore sfinito degli ucraini.

Non lo ha fatto; ha perso un’ottima occasione. Chi invece ha brillato di coraggio e di lucidità politica è stato il re di Giordania, Abdallah II, che ha presenziato come speaker a questa edizione del Npb: a mia memoria (è la mia ventesima partecipazione, dai tempi di Bush figlio) tra gli interventi più incisivi che abbia sentito. Il “custode” dei siti sacri musulmani e cristiani di Gerusalemme ha denunciato che la santità della città di Dio e di tutti i credenti continua a essere violata dalla politica ancor prima che dal fanatismo religioso. Abdallah II ha poi voluto testimoniare che nell’accoglienza dei rifugiati in Giordania, provenienti dai diversi conflitti mediorientali (sono oltre un milione, più di un decimo della popolazione) egli si sia ispirato a Gesù di Nazareth. Guardando ancora a Lui, una scomoda ed esaltante novità emerge e tutti convince: non abbiamo sufficiente fede in Dio per dare ancora una possibilità alla pace, ma è proprio di questa conversione che abbiamo bisogno, che oggi il mondo ha bisogno.

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