Carceri sovraffollate del 129%. Cinque suicidi al mese

Una cella del reparto femminile del carcere milanese di San Vittore (LaPresse)

avvenire

«Il sovraffollamento nelle carceri italiane non è una fake news», scrive il Garante nazionale per le persone detenute Mauro Palma. E i numeri contenuti nella sua relazione annuale, illustrata stamani alla Camera alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, lo confermano. Alla data del 26 marzo 2019, su 46.904 posti regolamentari disponibili nei 191 istituti di pena, erano presenti 60.512 detenuti, ossia 13.608 in più rispetto alla capienza regolamentare, con un sovraffollamento del 129 per cento. Un dato che conferma una linea di tendenza in crescita rispetto al passato: a fine dicembre 2017 i detenuti presenti erano 57.608, contro i 59.655 alla stessa data del 2018. Dunque una crescita, in un solo anno, di oltre 2.000 persone.

In carcere si entra meno, ma si esce ancor meno

A preoccupare il Garante non sono solo «le ovvie conseguenze che tale situazione determina negli Istituti, ma soprattutto le ragioni che ne sono alla base. Tale aumento, infatti, non è dovuto a un maggiore ingresso di persone in carcere (che, anzi, rispetto all’anno precedente sono diminuite di 887 unità), ma a un minor numero di dimissioni dal carcere: 1.160 in meno. In altre parole, in carcere si entra di meno ma si esce anche di meno». Perché? Molto probabilmente perché si utilizzano di meno le misure alternative al carcere. A ciò si aggiunga che alla data del 20 marzo 2019 risultano detenute 1.839 persone con una pena inflitta inferiore a 1 anno di reclusione e 3.319 con una pena inflitta compresa tra 1 e 2 anni, un fenomeno in crescita (in soli tre mesi, dal 31 dicembre 2018 al 20 marzo dell’anno in corso, di 40). Si tratta cioè di 5.158 persone che potrebbero usufruire di misure alternative alla detenzione in carcere, ma che ciò nonostante rimangono all’interno degli istituti.

Appare quindi urgente una riflessione che coinvolga tutti i soggetti coinvolti nell’esecuzione penale – magistratura, amministrazione penitenziaria, operatori del sociale e lo stesso Parlamento – per arrivare al perseguimento, anche sul piano della maturazione culturale, della pena costituzionalmente orientata, e alla predisposizione di tutti gli strumenti necessari per rimuovere gli ostacoli che impediscono la concreta applicazione di misure esecutive della pena alternativa alla detenzione, secondo quanto l’ordinamento prevede.

Suicidi

Nel 2018 i casi di suicidio sono stati 64: un numero che ha segnato un picco di crescita rispetto all’anno precedente (50 nel 2017) e che ha raggiunto un livello che non si riscontrava dal 2011. Nei primi tre mesi del 2019, 10 persone si sono tolte la vita in carcere, circa una a settimana.

Rimpatri forzati di migranti irregolari

Nel 2018 sono passate nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) 4.092 persone. Un numero ridotto preso di per sé, ma che, se comparato con quello dei rimpatri effettivamente eseguiti diventa molto alto: su 4.092 persone ne sono state rimpatriate 1.768, meno della metà, poco più del 43%. Una cifra davvero bassa se confrontata ai costi economici, ma soprattutto umani delle persone ristrette.

Si allunghi o meno il tempo massimo della detenzione amministrativa dei migranti nei Cpr, la media di rimpatriati resta dunque stabile attorno alla metà. Ciò costituisce un problema perché la detenzione di chi non viene rimpatriato finisce per non aver avuto una ragione.

La media dei rimpatri effettuati rispetto alle persone trattenute si è sempre attestata attorno al 50%: da un minimo di 44% nel 2016 a un massimo di 59% nel 2017, sceso nell’ultimo anno al 43%, il dato più basso degli ultimi otto anni. Colpisce in particolare, la situazione delle donne: nel 2018 delle 631 transitate nel Cpr di Ponte Galeria, l’unico femminile, ne sono state rimpatriate solo 83, pari al 13% del totale.

Il secondo motivo di uscita dai Cpr è stato nel 23% dei casi la mancata convalida del trattenimento da parte dell’Autorità giudiziaria, un dato questo che dovrebbe invitare a una maggiore cautela nell’invio delle persone nei Cpr. La mancata convalida indica infatti che le persone non avrebbero dovuto essere trattenute. Il terzo motivo di uscita, dopo il rimpatrio e la mancata convalida, è la scadenza dei termini del trattenimento, nel 20% dei casi.

«C’è da chiedersi – annota il Garante – se la scelta fatta dal Legislatore nel 2017 che punta ad ampliare il numero dei Cpr vada nella direzione giusta, visto il risultato davvero scarso in termini di raggiungimento dell’obiettivo a fronte di una grave difficoltà soggettiva provocata dalla privazione della libertà».

In generale, gli andamenti dei rimpatri forzati appaiono stabili: 6.398 nel 2018, in flessione rispetto all’anno precedente (6.514). I primi cinque Paesi per numero di persone rimpatriate sono Tunisia, Albania, Marocco, Egitto e Nigeria. Circa 870 persone sono state scortate con un volo di linea nei propri Paesi d’origine, mentre 2.116 sono state rimpatriate con uno dei 76 voli charter, di cui 66 diretti in Tunisia, 5 in Nigeria, 3 in Egitto. Gli altri due erano voli congiunti di Frontex, uno organizzato dalla Germania per il Gambia e l’altro dall’Austria per il Pakistan.

Nel 2018 il Garante nazionale ha monitorato 29 voli charter di rimpatrio forzato e due voli commerciali.

Nei primi due mesi e mezzo di quest’anno, i voli charter sono stati 14, di cui 9 per la Tunisia, due per l’Egitto, due per la Nigeria e uno per il Gambia per un totale di 219 persone allontanate. Il Garante nazionale «non ritiene che i rimpatri forzati siano lo strumento più adeguato per affrontare la gestione dei flussi di immigrazione irregolare, considerati la procedura in quanto tale, il numero limitato di accordi bilaterali in vigore riguardanti i voli charter, il quantitativo di risorse che richiedono». Occorre «pertanto potenziare i rimpatri volontari».

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