I buddhisti e il dialogo interreligioso. Un solo mondo: insieme è possibile

Gentile direttore (lettera a Avvenire),
ci sono due elementi che questi mesi di pandemia hanno messo in luce, forse più di ogni altro: in primo luogo il fatto che questa nostra società globalizzata è un mondo inevitabilmente interconnesso. Il secondo è che questo stesso mondo ha costruito la propria illusione di immortalità su un sistema di vita definitivamente insostenibile.

Un sistema che premia la ricchezza di pochi e condanna i più alla povertà. È curioso come da diverse parti, scienziati e ambientalisti in testa, in questi ultimi decenni si sia levato un deciso grido di allarme e una altrettanto ferma condanna nei confronti di questa improntitudine che gli antichi greci avrebbero chiamato ‘ubris’, tracotanza. Questo stesso grido di dolore verso la sofferenza del pianeta ha lanciato papa Francesco nell’enciclica sull’ambiente, Laudato si’, che mette al centro un’idea che forse rappresenta anche l’intuizione più geniale e profonda della filosofia buddhista: l’interdipendenza e la profonda interconnessione che lega ogni elemento della vita e come la vita stessa dipenda da cause e connessioni che permettono a questo miracolo che chiamiamo esistenza di manifestarsi. Un miracolo fragile e delicato di cui è fondamentale, anzi, è un imperativo categorico prendersi cura.

Ora arriva anche questo importante documento congiunto realizzato dal Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso il cui titolo è un ulteriore monito a porre l’attenzione sul deficit di umanità che stiamo sperimentando: «Servire un mondo ferito nella solidarietà interreligiosa: una chiamata cristiana alla riflessione e all’azione durante il Covid-19». Un documento importante il cui intento è impossibile non condividere. Ma non solo. Se è vero che il suo scopo principale è di portarci a riflettere sull’importanza della solidarietà interreligiosa soprattutto in un mondo ferito dalla pandemia, viene da dire che questo appello apre la porta a un’ulteriore riflessione che è possibile, anzi, doveroso, iniziare: se di crisi umana stiamo parlando, di un modello ormai insostenibile in modo irreversibile, allora l’imperativo etico che il concetto di interconnessione, di interdipendenza ci sollecita è quello di trovare gli antidoti alla pandemia più grande, che non è il Covid-19 ma la scomparsa della solidarietà, dell’empatia, della cura, della compassione. Poi, cercare i luoghi e gli attori che possono agire per riportare al centro del nostro agire questi valori.

È fuor di dubbio che le grandi confessioni religiose possono svolgere – e già lo fanno – un ruolo deciso nell’arginare questa deriva che annulla l’uomo e lo spirito. Ma, ancora di più, insieme, possono giocare un’altra partita, direi una sfida, che può essere la risposta vincente alla crisi sociale, economica e spirituale e invertire la pulsione di morte verso cui il nostro mondo si è diretto. Insieme possiamo e dobbiamo costruire quella comunità della cura, della presenza, dei valori, dell’etica, la comunità dell’amicizia autentica che è la risposta più forte alle forze che tentano di rendere l’uomo solo, fragile, condizionabile, soggetto solo alle regole del consumo. Insieme possiamo e dobbiamo agire per favorire la nascita di luoghi di sincero dialogo e confronto libero, non tanto e non solo sui valori che ci accomunano, ma sulle prospettive che possono favorire la nascita di questa comunità, di questo mondo nuovo che è uno, interdipendente, libero, nostro. Questo è il compito. Insieme possiamo

Vicepresidente dell’Unione Buddhista Europea

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