Ambiente. È tutto il mondo che va a fuoco: 2019 anno nero degli incendi

Non solo Australia: in fiamme le foreste di California, Amazzonia, Indonesia, Russia, Scandinavia, Cina… La febbre del Pianeta malattia da curare insieme
Pompieri lottano contro il fuoco in Australia nei pressi di Colo Heights a sud-ovest di Sydney, nel novembre scorso

Pompieri lottano contro il fuoco in Australia nei pressi di Colo Heights a sud-ovest di Sydney, nel novembre scorso – Ansa

da Avvenire

Negli ultimi mesi sono rimaste ben impresse nella mente di tutti le immagini degli incendi che stanno devastando l’Australia. Dall’inizio del 2019 sono stati percorsi dal fuoco quasi 11 milioni di ettari di territorio, con un bilancio di circa trenta vittime, 1.800 abitazioni distrutte, milioni di animali morti e centinaia di milioni di dollari di danni, interi ecosistemi perduti, molte specie animali e vegetali a rischio di estinzione, intere popolazioni di piccoli insediamenti rurali evacuate, le città di Sidney e di Melbourne assediate dal fumo con problemi alla salute per migliaia di cittadini. Ma siamo sicuri che il coinvolgimento emotivo verso questa catastrofe sarà duraturo e tale da farci acquisire una maggiore sensibilità ambientale? O invece l’Australia è solo un ennesimo capitolo di una storia di cui dimentichiamo gli eventi passati e anche prossimi? In una società dominata dal flusso di informazioni siamo forse condannati al ricorrente oblio?

La storia degli incendi forestali ha ormai uno svolgimento globale che si ripete per cause e per effetti articolati da diversi decenni con una pericolosa recrudescenza, e il 2019 può essere definito un annus horribilis. Le informazioni a tal riguardo possono essere ricavate anche dai report di molte agenzie ed enti di ricerca come la Nasa e l’European Space Agency (Esa). Nell’ultimo decennio, e in particolare nel 2019, gli incendi forestali si sono propagati a livello drammatico a diverse latitudini in tutto il mondo. Le due agenzie spaziali hanno specifici satelliti per il monitoraggio degli incendi e rendono possibile l’accesso di pubblico dominio di veri e propri atlanti degli incendi, quali l’Atsr World Fire Atlas, aggiornato in tempo quasi reale. Le devastazioni dell’Amazzonia della scorsa estate sono state di una inconsueta portata: 80.000 incendi, con un aumento del 75% rispetto al 2018. Le enormi ripercussioni ambientali e sociali sono state prese in considerazione anche dal Sinodo dell’Amazzonia voluto da papa Francesco. Nel documento finale il richiamo a questi eventi è stato forte («Gli attentati contro la natura hanno conseguenze per la vita dei popoli»), e la definizione di «crisi socio- ambientale» inquadra bene cosa rappresentano gli incendi.

Sempre nel 2019, in più riprese, devastanti incendi hanno colpito il Nord America. Nel periodo da agosto ad ottobre i boschi in fiamme hanno asserragliato la città di Los Angeles, determinando centinaia di migliaia di evacuazioni, danni ambientali e alle infrastrutture viarie ed energetiche, con pesanti conseguenze sulla vita di milioni di cittadini. Il peggiore incendio della storia californiana è quello cominciato il 27 luglio nella zona di Mendoncino, nel nord dello Stato, sulla costa occidentale degli Stati Uniti. L’incendio, battezzato Mendoncino Complex, rimarrà nella storia delle calamità naturali statunitensi. Il satellite Sentinel-3 di Esa ha registrato 79.000 incendi nel mese di agosto 2019, che costituiscono una anomalia rispetto a poco più di 16.000 incendi rilevati nello stesso periodo dell’anno scorso. Oltre che in America, la maggior parte degli eventi è però avvenuta in Asia, anche se l’opinione pubblica ne è stata meno informata. In Indonesia il fuoco ha bruciato molte foreste e provocato una nube tossica che ha coperto intere aree del Paese con pesanti conseguenze anche di ordine economico e sociale. In questo caso le sostanze inquinanti liberate nell’aria hanno rappresentato un grave rischio per la salute non solo nelle vicinanze, ma anche per le popolazioni di Singapore e Malesia che da decenni protestano per il fumo soffocante che ogni anno, sempre in questo periodo, arriva dagli incendi indonesiani, spesso appiccati per fare posto alle coltivazioni di palma da cocco.

In estate il fronte degli incendi si è manifestato anche in Scandinavia, andando a ripetere eventi abbastanza inusuali in questa area, ma che erano già avvenuti nell’anno precedente. Nella stessa stagione si è registrata una serie di incendi devastanti in Siberia. Successivamente, gli incendi sono diventati più diffusi intorno all’Artico, non solo in Siberia, ma anche in Alaska e Groenlandia, con elevate emissioni di fumi e di inquinamento. A primavera si era assistito invece a una maggiore attività degli incendi in Asia. Gli incendi nell’Asia sudorientale, nella Cina nordorientale e nella Russia sudorientale hanno prodotto alti livelli di inquinamento ambientale sull’Asia orientale. Nella stessa stagione gli incendi nell’America Centrale hanno prodotto molti danni ed elevati tassi di inquinamento che hanno peggiorato lo stato della qualità dell’aria di Città del Messico, già tristemente nota per i bassi livelli che la contraddistinguono.

Gli incendi boschivi fanno parte del ciclo naturale di alcuni ecosistemi. Addirittura, in alcuni casi, il fuoco è elemento essenziale per determinare la ‘rigenera- zione’ di un bosco, ma negli ultimi anni la loro frequenza e la loro violenza sono diventati tali che stanno determinando drammatiche conseguenze per la salute pubblica ed effetti ambientali allarmanti. A prescindere dalle cause scatenanti dei singoli incendi, che possono essere sia di carattere naturale sia determinate dall’uomo, tutti gli eventi hanno un quadro di fattori in comune: elevate temperature dell’aria, una minore umidità del materiale combustibile (es.: vegetazione secca), presenza di venti che ne influenzano l’intensità e la rapidità di propagazione. Tutti i peggiori incendi sopra elencati si sono verificati in concomitanza di alte temperature, tempo secco e venti intensi.

Come è stato recentemente confermato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, il 2019 è stato finora uno degli anni più caldi della storia. Ancora più preoccupante è il fatto che la Terra abbia attraversato un decennio di temperature elevate e che ogni anno, dal 2015, si è avuto un nuovo record. Il riscaldamento, una sorta di ‘febbre’ globale, si manifesta con incrementi delle temperature e ‘ondate di calore’, oltre che con una ‘tropicalizzazione’ del clima che comporta precipitazioni piovose di particolare intensità capaci di determinare inondazioni devastanti sempre più frequenti. Negli ultimi anni gli eventi climatici estremi hanno colpito non solo i Paesi in via di sviluppo, ma anche nazioni del gruppo dei Paesi più avanzati, come Australia, Giappone e Stati Uniti. La frequenza e la violenza degli incendi forestali sono direttamente collegate al cambiamento climatico in corso e allo stesso tempo lo alimentano, con i milioni di tonnellate di carbonio emesse durante la combustione e che, aumentando la propria concentrazione nelll’atmosfera, vanno ad incrementare l’effetto serra. Secondo il Copernicus Atmosphere Monitoring System di Esa, nei primi 11 mesi del 2019 gli incendi hanno rilasciato globalmente circa 6.735 milioni di tonnellate di CO2: ben 140 milioni di tonnellate sono imputabili ai soli incendi dell’Artico di giugno e luglio – pari all’emissione di 36 milioni di auto – e 708 milioni di tonnellate agli incendi indonesiani tra agosto e novembre.

Con gli incendi forestali si producono, oltre a monossido di carbonio e anidride carbonica, metano ed altri gas, cenere e particolato anche di piccolissima dimensione. L’esposizione a questi agenti inquinanti può determinare problemi respiratori e cardiaci che si protraggono anche dopo l’estinzione dell’incendio. Secondo alcuni dati raccolti ed elaborati su base satellitare le particelle sospese derivate dal fuoco (Pm 2,5) hanno incrementato l’inquinamento dell’aria in Spagna, Francia, nell’Himalaya e in molte altre regioni. Negli ultimi mesi in Australia, molte regioni hanno dichiarato lo stato d’emergenza perché il particolato ha superato livelli allarmanti, con un contenuto anche 12 volte sopra il livello considerato pericoloso per la salute. Il cambiamento climatico e la ‘febbre’ della Terra hanno anche ripercussioni economiche e finanziarie. Non è un caso che l’attenzione alla sostenibilità stia facendo breccia in alcuni colossi della gestione del risparmio, pur se la conversione ecologica sembra avanzare troppo lentamente.

Cosa possiamo fare? Monitorare il rischio di incendio è il primo imperativo. La scienza e la tecnica hanno fatto notevoli passi avanti: in molte aree geografiche esistono sistemi di controllo che sono in grado di salvare vite e ridurre i costi ambientali ed economici; in altri vi è però una quasi totale assenza di un dispositivo efficiente ed efficace di contrasto agli incendi, come nel caso della Russia o di alcuni Paesi asiatici. È poi necessario favorire una migliore coscienza ambientale e conoscenza dei reali rischi che un abuso delle risorse forestali e ambientali possono determinare e sviluppare un approccio di ‘ecologia integrale’. Infine, bisogna avere ben presente – quasi un imperativo etico – che gli incendi e il cambiamento climatico sono legati con un doppio filo e non sono di pertinenza di un singolo Stato o di una parte sociale, ma riguardano tutta l’umanità.

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