Il pugno di ferro. I taleban chiudono anche la radio delle donne

Bambine a scuola all'aperto nella zona di Kabul per sfuggire al divieto imposto dai taleban

L’emittente indipendente Sada e Banowan trasmetteva dalla città di Faizabad. Peggiora ancora la situazione sanitaria: un afghano su due non ha accesso ai farmaci e l’85% si indebita per le cure

avvenire.it

Le autorità dei taleban hanno chiuso un’emittente indipendente gestita da donne, Radio Sada e Banowan, nella città di Faizabad, nella provincia di Badakhshan a nord di Kabul. Lo denuncia da New York il Committee to protect journalists (Cpj). I taleban, è l’appello dell’organizzazione, “devono interrompere la repressione dei media locali in Afghanistan e permettere all’emittente indipendente Radio Sada e Banowan, gestita da donne, di continuare il suo lavoro”. Ieri le autorità della città hanno chiuso le attività dell’emittente e sigillato l’ufficio, secondo quanto riferito dai notiziari e da un dipendente della stazione radio che ha parlato con il Cpj a condizione di anonimato, per paura di rappresaglie. Gli agenti della Direzione dell’informazione e della cultura e di quella per la promozione della virtu’ e la prevenzione del vizio, hanno accusato l’emittente di trasmettere illegalmente musica durante il mese sacro del Ramadan.

L’impiegata della stazione radiofonica che ha parlato con Cj ha dichiarato di non essere a conoscenza della messa in onda di musica e di ritenere che la decisione sia una ritorsione per i programmi dell’emittente incentrati sull’istruzione femminile e sulle opportunità di lavoro nel Badakhshan. Come ha dichiarato la responsabile per l’Asia del CPJ, Beh Lih Yi, “i taleban hanno privato le donne afghane di tutto, dal lavoro all’istruzione. La chiusura di una stazione radiofonica gestita da donne dimostra che non c’e’ tregua per i media afghani nemmeno durante il mese sacro del Ramadan. I taleban devono correggere la rotta e smettere di reprimere il giornalismo”. Radio Sada e Banowan è stata fondata nel 2014 ed è di proprietà della giornalista afghana Najla Shirzad.

Intanto, la situaLo riferisce Emergency, aggiungendo che povertà, violenze, inadeguatezza del sistema sanitario e dei trasporti contribuiscono ad ostacolare l’accesso alla salute nel Paese. Un afghano su 5 ha perso un parente o un amico che non è riuscito ad accedere alle cure di cui aveva bisogno; 5 su 10 hanno dovuto risparmiare su cibo e abbigliamento per poter pagare delle prestazioni sanitarie e 9 su 10 si sono dovuti indebitare chiedendo del denaro in prestito. Le donne rappresentano una delle fasce più vulnerabili, in particolare nella gestione della gravidanza.
Il rapporto di Emergency ha raccolto dati in una ventina di strutture di 10 province attraverso la somministrazione di questionari e interviste a oltre 1.800 persone tra pazienti e staff sanitario di Emergency e degli ospedali pubblici.
In Afghanistan, dove si stima che nel 2023 ci saranno 28.3 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari, l’accesso alle cure per la popolazione è un percorso fatto di ostacoli e numerose barriere la cui origine risale a prima dell’agosto 2021. Ma, anche se molte disfunzioni del sistema sanitario afghano sono di vecchia data, “dopo il ritiro delle forze internazionali e del cambio di governo dell’agosto 2021 le riserve dell’Afghanistan all’estero sono state congelate, le nuove autorità interdette dalla comunità internazionale e le delegazioni diplomatiche occidentali evacuate”, dichiara Stefano Sozza, direttore del programma di Emergency in Afghanistan. In un Paese che dipendeva da aiuti internazionali per il 75% della sua spesa pubblica, la condizione della popolazione è peggiorata a causa dell’aumento della povertà e della carenza di servizi essenziali”.
L’Ufficio per gli Affari Umanitari delle Nazioni Unite ha stimato che 17.6 milioni di afghani avranno necessità sanitarie gravi o estreme, una dato probabilmente assai maggiore, tenuto conto che, a causa del conflitto, negli ultimi 20 anni l’accesso alle aree rurali, dove vive il 70% della popolazione afghana, è stato estremamente limitato, impedendo di raccogliere dati e informazioni sui bisogni di salute in modo strutturato.

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