Ventitrè donne al Vaticano II…Rivoluzione al femminile mancata

L’articolo inserito in ilsole24.it di Lucetta Scaraffia (leggi qui) sembra larvatamente progressista. Di fatto accenna solo lateralmente alla denuncia della emarginazione delle minoranze nella comunità ecclesiale. Sono passati circa 50 anni dal Concilio e notizie di questo tipo erano state passate in silenzio. Oggi ci sono altre realtà e non è certo riscoprendo un evento passato che le cose cambiano… Abbiamo in realtà situazioni di emarginazione ancora oggi ben più gravi … ad es. la situazione di molte famiglie di preti sposati che hanno fatto un regolare percorso canonico di dimissioni, dispensa e matrimonio religioso.  Ridotti al silenzio con la promessa di un posto di lavoro vivono ad esempio senza essere loro riconosciuto il diritto a professare liberamente la propria fede in pubblico secondo la chiamata ricevuta da Dio con la vocazione sacerdotale. Qualche anno fa la teologa Valerio intervenne sui preti sposati e le loro donne stravogendo la prospettiva della giusta battaglia per l’aborgazione del celibato obbligatorio. Noi come associazione dei sacerdoti sposati non condividiamo la doppia vita del prete nel ministero (ndr)

Di seguito l’articolo di Lucetta Scaraffia

Le 23 donne invitate da Paolo VI a partecipare al concilio Vaticano II come uditrici presenziavano alle riunioni vestite di nero, con un velo sul capo come a una funzione pontificia. Negli intervalli potevano andare in una saletta-bar separata, approntata per loro, e per due volte fu negata a Pilar Bellosillo, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, la possibilità di prendere la parola in pubblico. Tutte cose che oggi ci indignano, ma normali se giudicate con criteri storici: nel 1964 nessuna riunione della Banca d’Italia, del Consiglio superiore della magistratura, e neppure della Corte suprema statunitense, per limitarsi a qualche esempio, prevedeva presenze femminili.
Piuttosto, libri come questo di Adriana Valerio fanno capire quanto velocemente e radicalmente sia cambiato il mondo – anche un mondo lento come quello della Chiesa – grazie alla rivoluzione delle donne. Già nell’enciclica Pacem in terris Giovanni XXIII aveva riconosciuto l’emancipazione femminile come un importante e positivo «segno dei tempi», e molti cardinali e vescovi appoggiarono la proposta di Paolo VI di aprire le porte del Concilio alle uditrici.
La scelta delle invitate fu comunque faticosa, anche se la loro presenza avrebbe dovuto essere simbolica – così la definì Papa Montini – non avendo diritto né di parola né di voto. Invece, le uditrici parteciparono attivamente ai gruppi di lavoro, presentarono memorie e contribuirono con la loro esperienza alla stesura dei documenti, in particolare su temi come la vita religiosa, la famiglia, l’apostolato dei laici.
La presenza di due vedove di guerra contribuì a rafforzare il peso femminile anche nelle discussioni sulla pace, alle quali, dall’esterno, contribuiva con la sua attività di lobbying l’americana Dorothy Day.
Delle uditrici facevano parte 10 religiose e 13 laiche. Molte di loro, specie le religiose, costituivano il filo terminale di gruppi costituiti ai margini dell’assemblea conciliare per preparare commenti e richieste. In particolare, il peso di questo lavoro di mediazione gravò sulle spalle di Sabine de Valon, superiora generale della Società del Sacro Cuore che, nel 1962, aveva organizzato l’Unione internazionale delle superiore generali, di cui era presidente. Superiora anche delle uditrici ed entrata nell’aula conciliare piena di entusiasmo – salutò quel momento come «il passaggio dalla sala di attesa al soggiorno» – si scontrò poi con tensioni e ansietà crescenti.
La più vivace delle uditrici laiche fu senza dubbio Pilar Bellosillo, presidente dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche, scelta proprio per questo due volte come portavoce dal gruppo degli uditori. Nel 1965, per l’ultimo periodo, fu chiamata la più giovane delle partecipanti, l’argentina Margarita Moyano Llerena, presidente del Consiglio superiore delle giovani, combattiva come Gladys Parentelli, uruguaiana, che non rinunciò durante il concilio ad andare a capo scoperto e con le maniche corte, così da essere poi espunta dalle foto ufficiali. Gladys si sentì delusa dal poco spazio dato agli uditori laici durante i lavori conciliari, tanto da non partecipare alla sessione conclusiva.
Leggendo le biografie ricostruite nel libro si può vedere come molte uditrici, fra cui la Parentelli, si siano poi avvicinate a posizioni progressiste, considerate poco ortodosse. Molte delle partecipanti, inoltre, si sarebbero dichiarate a favore del sacerdozio femminile. L’autrice si schiera senza remore con queste ultime, presentando con sguardo critico le osservazioni conclusive sulle donne di Paolo VI, che parlano di «un modello che rappresentava il femminile nella funzione “naturale” di custode di un’umanità da salvare», perché ribadiva in sostanza il ruolo materno.
Il materiale offerto dal libro meriterebbe invece un’analisi più approfondita, con un occhio più attento anche al rapporto con il mondo esterno alla Chiesa e ai cambiamenti di quegli anni, per superare la facile interpretazione di ogni fatto conciliare come progressista o conservatore.
Anche perché la presenza delle donne, per il solo fatto di esserci stata, segna una svolta importante nella storia della Chiesa e del Novecento, mentre gli esiti possibili sono più numerosi e sfumati dell’alternativa tra conservazione e progresso.
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Adriana Valerio, Madri del Concilio. Ventitrè donne al Vaticano II, Carocci, Roma, pagg. 168, € 16,00 scheda online su ibs>>>  con il 15% di sconto.

Madri del Concilio. Ventitré donne al Vaticano II

22 luglio 2012

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