Religione a scuola e insegnanti laici

Egregio Direttore, ho letto con grande interesse l’articolo: “Giovani lontano dalla Chiesa: bisogna volergli bene”, di mercoledì 23 marzo. L’intervento di Mons. Cairati in occasione delle feste “più importanti per un cristiano”, quelle pasquali.

Mi permetto di fare qualche osservazione su alcuni passaggi dell’articolo, senza aver avuto la possibilità di leggere l’intervento completo.

Colpisce il riferimento alla presenza delle parrocchie nelle scuole superiori e l’auspicio che l’insegnamento della religione cattolica sia affidato ai preti.

«E’ importante quindi la presenza delle parrocchie nelle scuole superiori, ad esempio con l’insegnamento da parte dei preti nell’ora di religione. Soprattutto parlando di temi etici, si fa fatica ad integrare le visioni della Chiesa e dell’uomo. E’ fondamentale quindi argomentare».

È oggi pensabile che si possa recuperare il mondo giovanile “occupando” lo spazio pubblico della scuola con la presenza del clero?

Dalla fine del Concilio Vaticano II si è molto parlato, e tanto si è fatto, per la formazione dei laici, così da creare in quasi tutte le diocesi italiane gli Istituti Superiori di Scienze Religiose.

La presenza di molti laici, come insegnati di religione nella scuola, ha contribuito a recuperare la dimensione culturale del cristianesimo, a farlo riscoprire come anima del processo di sviluppo dell’Occidente e non solo (penso all’opera delle Missioni). Non ultimo, grazie a molti insegnanti laici che, oltre al sapere teologico, hanno preparazione in molte altre discipline del sapere, gli studenti hanno potuto usufruire di percorsi interdisciplinari per la loro formazione. Mi sembra, forse mi sbaglio, che si voglia “rioccupare” uno spazio, per riattivare un processo di catechesi, più che di formazione culturale. Il sospetto mi viene quando viene detto: «Soprattutto parlando di temi etici, si fa fatica ad integrare le visioni della Chiesa e dell’uomo». Forse il punto è proprio questo: la presentazione dell’antropologia cristiana è prerogativa del clero, o il cristiano, in quanto portatore di uno statuto epistemologico che ha nel Vangelo la sua intelligenza, è in grado, da solo, di presentare e proporre un valore di senso, che ha (certamente) nella Chiesa il suo indirizzo? L’autenticità del Messaggio è peculiarità di alcuni o non è forse espressione di una condivisione che, nella diversità dei compiti (non mi sfugge il tema della ministerialità, ma non è questo il luogo per tale discussione), trova la sua forma più completa e adatta per ogni situazione? Si è molto parlato di complementarietà dei ruoli e ancora siamo a rivendicare l’esclusività dei compiti. Quello educativo appunto!

Prima di passare a questo secondo aspetto, mi soffermo per un istante sull’espressione:«E’ fondamentale quindi argomentare». Non voglio essere polemico, semplicemente riaffermare come sia specifico dell’uomo formato, la capacità argomentativa. Non è prerogativa specifica di alcuni l’intelligenza argomentativa su temi etici o teologici. Se così fosse verrebbero messi in discussione gli anni di studio dei laici negli ISSR e del loro continuo aggiornamento in istituzioni universitarie.

E sono alla seconda parola che vorrei richiamare: educazione. Lo faccio a proposito di un altro passaggio dell’intervento di Mons. Cairati: «Il problema è che la famiglia non educa più alla fede, non presenta modelli cristiani attraenti». Mi sembrano i soliti modi di dire, che da tante parti si sentono.

Verrebbe anche qui da domandarsi: l’educazione alla fede non è forse responsabilità di chi è chiamato a guidare la comunità cristiana? La coltivazione e l’irrobustimento di quel seme che viene consegnato nell’atto battesimale, non è forse compito educativo della comunità cristiana e di chi la guida?

Se interpreto bene: come fa la famiglia a presentare modelli cristiani attraenti” se non ci sono luoghi dove poterli incontrare e conoscere? Condivido quando si parla di «Chiesa in uscita» (espressione oggi molto in voga) e di ricerca di «luoghi esemplari che si propongano come modelli da imitare per uscire dalla tradizione». Ma dovremmo ancora domandarci: non è compito del cristiano laico quello di essere lievito in un terreno argilloso che sembra sordo a proposte di valore, di buon senso (di senso buono) e di fede?

Il tentativo di “occupare” ancora gli spazi pubblici da parte del clero (vedi il riferimento alla presenza del prete nei Manieri del Palio), mi pare un controsenso e un modo per ricadere dentro quella tradizione dalla quale si dice di voler uscire.

Ringrazio per l’attenzione.

Cordiali saluti,

Un cristiano qualunque

 legnanonews.com

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