Paul Levey, 47 anni. Sposato con Michelle ha tre figlie. “Noi che siamo stati abusati da bambini ci dividiamo in vittime e sopravvissuti, vittime sono quelli che non ce I’hanno fatta e si sono tolti o distrutti la vita, io sono un sopravvissuto perché sono ancora vivo, nonostante per tante volte ho cercati di togliermi la vita.” I primi abusi che racconta Paul ad opera di Gerald Ridsdale il prete pluripedofilo che ora è in carcere, sono cominciati durante una vacanza estiva con alunni, fratelli dell’ordine che gestiva la scuola, e preti. “I miei genitori erano separati, io avevo 13 anni e andavo in una scuola cattolica a Ballarat, la Saint Bede’s e durante quella vacanza ho subito i primi abusi. Tornato a scuola stavo male e ho cominciato ad andare malissimo e dopo qualche mese di condotta sregolata e di voti pessimi mio padre d’accordo con i fratelli dell’ordine cattolico che gestivano la scuola hanno deciso di mandarmi a vivere a casa del prete per farmi essere più ligio e meno distratto e mi hanno cambiato scuola. Quindi sono stato mandato a vivere nel presbiterato dove viveva padre Ridsdale che era molto vicino alla scuola Saint Colemans a Mortlake e per 6-7 mesi ho subito abusi tutti i giorni. Mia madre ha chiamato ripetutamente il vescovo per farmi tornare a casa ma il vescovo che era Mulkearns diceva che io dovevo stare a casa di padre Ransdale, era meglio così. La cosa orribile era che il vescovo era già a conoscenza di alcuni fatti di pedofilia legati a padre Ransdale avvenuti negli anni ’70 e nonostante questo permetteva che io vivessi con lui. Io mi sono lamentato con l’arcivescovo e visto che stavano venendo alla luce degli episodi di pedofilia, sono riuscito a tornare a casa da mia madre mentre il prete poco dopo, veniva spostato. Ma per anni padre Ridsdale è rimasto in contatto con mio padre”. Paul non parla con nessuno degli abusi subìti, se ne vergogna fino ai suoi 23 anni, fino a quando il caso dei preti pedofili non esplode nei primi anni ’90 e padre Ridsdale va anche in televisione. “A quel punto, mio padre, che era nell’esercito, vedendo quel prete e sapendo che io avevo vissuto con lui ha capito tutto e mi ha portato dalla polizia e lì ho parlato per la prima volta”. Oggi Paul parla liberamente di quello che ha subito e con la moglie Michele vanno anche nelle scuole a Sumbery dove vivono per cercare di informare i giovani e vogliono organizzare un gruppo per le vittime e i sopravvissuti nello loro città. Perché dicono: “Tante persone che non mi conoscono mi chiamano sapendo la mia storia e mi raccontano quello che hanno subito e che ancora non hanno mai raccontato”di GERALDINE SCHWARZ
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