Milano 2011: la Caritas in giunta, i ciellini in Curia

Jacopo Tondelli

Per la prima volta il cattolicesimo sociale che si ispira a Carlo Maria Martini assume il controllo politico di Milano. Questo dice l’analisi della giunta che Giuliano Pisapia ha costruito con grande autonomia smentendo anche chi, come noi, appena due mesi fa non avrebbe scommesso su di lui. Nel Pd emergono giovani professionisti della politica e “eretici” capaci. Tutti sono attesi da grandi sfide, mentre gli equilibri cittadini cambiano, da domani, in maniera sensibile. Milano 10 giugno 2011 – 22:15 Una giunta di alto profilo, di competenze vere. Una squadra che assomiglia a Giuliano Pisapia, alla sua storia e ai suoi legami con la città. Una giunta che si appoggia a piccoli pezzi di Pd e che ha invece parentele chiare con i mondi del riformismo socialista, del civismo ambrosiano affermatosi nella seconda metà del secolo scorso e di cui Piero Bassetti e Valerio Onida sono l’espressione generazionale e culturale. Una giunta che porta un’impronta chiara: quella del cattolicesimo sociale di Carlo Maria Martini, della Caritas ambrosiana e di Don Virginio Colmegna. Ci sono molte donne, l’hanno notato in tanti: merito di Pisapia l’aver preso sul serio il fatto che, aldilà di ogni giudizio, il governo di Letizia Moratti era stato anzitutto il primo governo cittadino affidato a una donna. Ai partiti e alla “coalizione” Pisapia ha pagato un dazio ridotto come è giusto e sensato per chi il principale partito suo alleato, cioè il Pd, l’ha anzitutto sconfitto alle primarie. Le tre nomine riconducibili a Sel di Nichi Vendola non cambiano l’asse nè inficiano la matrice riformista della squadra. Da questo processo, in molti casi, escono nomi di qualità, da cui è finalmente lecito pretendere molto. Parliamo anzitutto di Bruno Tabacci, ex presidente democristiano della Regione, uomo dai consensi popolari ridotti, ma di grandi competenze e relazioni, Presidente della Regione Lombardia già vent’anni fa. La stima di cui gode valica i confini degli schieramenti e dei manicheismi: lo rispettano le cooperative e la Compagnia delle Opere, gli immobiliaristi e la sinistra. Pisapia gli ha chiesto di entrare in squadra già la sera della vittoria, nel pieno dell’adrenalina e della festa. Qualche malumore lo ha suscitato, ma nessuno aveva argomenti abbastanza forti da poter porre un veto. Terrà in mano i difficili conti del Comune di Milano: con mano ferma e se serve rude, c’è da scommetterci. La vicesindaco, Maria Grazia Guida è legata a doppio filo a Don Virginio Colmegna e fin dalla sua nascita alla Casa della Carità, al mondo di intelligenze, interessi, passioni che le gravitano attorno e la sostengono. Maria Grazia Guida era – potremmo dire – la “vice di Don Colmegna”, ora sarà la vice di Pisapia. Lucia Castellano, direttrice del carcere di Bollate, gode di grande considerazione in ambienti bipartisan in città. Anche lei è legata alla Casa della Carità e la frequenta partecipando spesso a convegni e incontri. Discorso analogo per Marco Granelli, consigliere Pd. Viene dal mondo del cattolicesimo sociale ambrosiano: anche lui è un “figlio politico” di Carlo Maria Martini e di Don Colmegna, con cui ha strettamente collaborato fin dai tempi della Caritas. Assegnare a lui le deleghe alla Sicurezza significa tracciare una discontinuità assai netta, rispetto all’epoca di Riccardo De Corato, ma anche anche alle politiche sociali targate Mariolina Moioli, donna forte della giunta Moratti e legata a Comunione e Liberazione. Lucia De Cesaris, l’assessore all’urbanistica, l’ha voluta Giuliano Pisapia. Avvocata, garante dei comitati referendari per il voto cittadino di domenica, dovrà prendere decisioni strutturali per il futuro della città. Dovrà decidere che fare del Piano di governo del territorio: abrogare, emendare, accettare? In che tempo, per che strade, confrontandosi con quali interlocutori, con quali obiettivi e piani economici di sviluppo per la città? Questioni serie, in cui collocare proprio l’eventuale risultato del referendum di cui De Cesaris è la garante. Sarà il suo assessorato a gestire, ad esempio, l’ipotesi di restituire a Milano le “vie d’acqua”, proprio come chiedono i comitati. Un impegno gravoso per una persona “molto seria, molto molto capace, e non poco spigolosa”. Anche lei lavorerà nel territorio che fino a ieri competeva ad un uomo di Comunione e Liberazione come Carlo Masseroli. La “sezione Pd” della giunta merita un breve capitolo a parte. Pisapia ha premiato Pierfrancesco Majorino e Pierfrancesco Maran, due giovani politici professionisti che da anni si spendono con costanza nella loro città. Ha riconosciuto a Stefano Boeri – capolista e recordman di preferenze – le deleghe alla cultura e all’Expo cui l’architetto teneva particolarmente. A due “eretici” del Pd come Maurizio Baruffi e Davide Corritore Giuliano Pisapia ha affidato compiti importanti di macchina: il gabinetto del sindaco al primo, e il ruolo di city manager per il secondo. Sono due democratici “di minoranza” che hanno creduto a Pisapia quando ancora prima delle primarie in molti – e anche chi qui scrive – pensavano l’opzione di una vittoria dell’avvocato impossibile. Onore quindi alla loro lungimiranza, e oneri gravosi. A masticare amaro sono invece i vecchi potentati del partito, quelli che in città e in Regione perdevano un po’ da sempre e speravano finalmente di piazzare i loro uomini e le loro donne. La loro sconfitta, in quest’epoca di vittorie, è quella di un partito che non ha saputo costruire un rapporto vero con la città, il suo cambiamento e gli interessi che lo generano: e non è un caso che a vincere sia qualcun’altro. Un progetto e un immaginario di città, in fondo, è stato espresso in questi anni dalla Casa della Carità e dalla curia diociesiana di Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, ed è “normale” che sia egemone oggi che la città va governata davvero. Lo stesso partito democratico, del resto, per troppi anni si è fatto scudo delle idee e delle parole che venivano dalla Curia, unica vera “opposizione culturale” espressa al centrodestra cittadino. A vincere nel voto e nella giunta della città, per la prima volta dall’inizio della Seconda Repubblica, è dunque un’idea di società e una rappresentanza di interessi non lontana da quella che – attorno a Carlo Maria Martini, Beniamino Andreatta e Giovanni Bazoli – generò quindici anni fa l’Ulivo di Romano Prodi. Aggiornata e corretta, contaminata con l’anima riformista e socialista, capace di muovere finalmente le passioni e il voto di giovani e donne, la Milano dei prossimi cinque anni sarà figlia anzitutto di quel mondo. A perdere, per la prima volta, è l’altro lato del cattolicesimo politico milanese: quello di Comunione e Liberazione, irriducibile e fiero “avversario” di Carlo Maria Martini e di tutti i suoi figli. Roberto Formigoni e i suoi uomini di certo non spariranno: hanno in mano gangli vitali di Milano e la Regione; non gli mancano le competenze e le intelligenze; hanno un’identità e una storia che sono iniziate prima di Berlusconi e sicuramente gli sopravviveranno, in forme e contenitori tutti da definire e costruire. Ironie della storia e della cronaca, proprio ora che gli uomini di Cl devono lasciare il potere temporale nella città si preparano a una svolta storica: “prendere possesso” della Curia con la prossima nomina di Angelo Scola a Cardinale di Milano. L’arrivo di Scola avrà molto da dire sugli equilibri e le decisioni interne alla Curia e stabilirà una dialettica importante con il Comune di Pisapia e un asse forte con la Regione di Formigoni. Aldilà dei simboli, le ricadute si vedranno anche nella struttura economica della città: a cominciare da quella Fondazione Cariplo guidata da un altro grande vecchio democristiano come Giuseppe Guzzetti, cui la vittoria di Pisapia non è certo dispiaciuta. Milano, insomma, si avvia a cambiare pelle. A tutti, ma proprio a tutti, i nostri più sinceri auguri di buon lavoro. Da questa giunta ci si aspetta tanto: e tanto si chiederà, giorno per giorno. Serve a Milano, e serve all’Italia.

linkiesta.it – 12 Giugno 2011 ore 08:19









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