Habemus papam, non habemus pacem

Men­tre il papa in Israele ascolta discorsi molto ela­bo­rati sulla magni­fica tol­le­ranza reli­giosa nel paese, sui bene­fici della fio­rente demo­cra­zia, sulle para­di­sia­che con­di­zioni per tutti, cri­stiani, musul­mani ed ebrei, i ser­vizi di sicu­rezza israe­liani dispie­gano un enorme appa­rato che tra le altre fun­zioni dovrebbe pre­ve­nire gli atti di vio­lenza e di intol­le­ranza pro­ve­nienti dalle diverse bande fasci­ste dell’estrema destra israe­liana. Sì, que­sta è una demo­cra­zia tol­le­rante per­sino verso i quo­ti­diani eccessi dell’estrema destra.

Papa Fran­ce­sco ha pre­pa­rato tutti a una visita pura­mente reli­giosa, un pel­le­gri­nag­gio di fedeli . In Israele una visita di que­sto tipo ha sem­pre pro­fondi signi­fi­cati poli­tici, con­si­de­rati non solo i secoli di per­se­cu­zione cri­stiana, ma anche i lun­ghi anni in cui il Vati­cano non ha rico­no­sciuto lo Stato di Israele. Ma le cose hanno fun­zio­nato in modo abba­stanza diverso e ogni passo del sommo pon­te­fice è stato accu­ra­ta­mente elaborato.

Il Papa Fran­ce­sco è volato in eli­cot­tero dalla Gior­da­nia a Betlemme, ter­ri­to­rio dell’Autorità pale­sti­nese e ha evi­tato di arri­vare attra­verso i posti di blocco israe­liani. I pale­sti­nesi, meno pre­oc­cu­pati degli israe­liani, hanno con­sen­tito al papa di incon­trare molti fedeli, men­tre in Israele ha tro­vato nume­ro­sis­simi poli­ziotti e agenti segreti spa­ven­tati dalla pos­si­bi­lità che qual­che «tol­le­rante» israe­liano rin­no­vasse con vio­lenza la mil­le­na­ria con­tesa ebraico-cristiana.

Prima sor­presa: il Papa chiede di toc­care il muro, la bar­riera di odio costruita da Israele per «com­bat­tere il ter­ro­ri­smo», come ha spie­gato il giorno seguente il sag­gio pre­mier Neta­nyahu. Non solo tocca il muro, la sua ora­zione per la pace è piena di con­te­nuti, sod­di­sfa enor­me­mente i pale­sti­nesi, fa infu­riare alcuni patrioti israe­liani. Da Betlemme, il papa vola in eli­cot­tero all’aeroporto inter­na­zio­nale di Israele, e da lì in eli­cot­tero a Geru­sa­lemme, dove avrebbe potuto arri­vare in mac­china in cin­que minuti. Ma c’era anche da occu­parsi dei simboli.

Grande abbrac­cio col nostro gran pre­mio Nobel per la Pace, il pre­si­dente Peres e solo una for­male stretta di mano col nostro egre­gio Neta­nyahu, cosa abba­stanza posi­tiva agli occhi di alcuni come l’ autore di que­ste righe .
Le carat­te­ri­sti­che spi­ri­tuali e reli­giose della visita erano chiare e impor­tanti, ma per la lea­der­ship israe­liana tutto non è altro che un pre­te­sto per le solite frasi di pro­pa­ganda e solo il pre­si­dente Peres ha costi­tuito una rela­tiva ecce­zione. Neta­nyahu, i rab­bini capo, il rab­bino del Muro del Pianto, tutti a ripe­tere le lita­nie pro­pa­gan­di­sti­che: noial­tri vogliamo la pace, chioc­cia un pre­mier che non farà nulla per una vera pace, noial­tri siamo le eterne vit­time del ter­ro­ri­smo, ripe­terà il coro men­tre l’esercito non arriva a nes­suna con­clu­sione sui due gio­vani pale­sti­nesi uccisi, solo due set­ti­mane fa, da sol­dati o poli­ziotti israeliani.

«Noial­tri le vit­time», tutti spie­gano al papa il sogno della pace, non spie­gano il per­ché di così tante nuove case negli inse­dia­menti, della vio­lenza quo­ti­diana dell’occupazione, della con­ti­nua con­fi­sca di terre, della costru­zione di nuovi osta­coli alla pace, ma la colpa è sem­pre dei pale­sti­nesi che non vogliono la pace e si uni­scono ai ter­ro­ri­sti! Al Muro del Pianto il rab­bino spiega al Papa la libertà di culto e dimen­tica che gli ebrei non orto­dossi non pos­sono pre­gare libe­ra­mente in quel luogo, come fa notare nel pome­rig­gio un rab­bino non ortodosso!

Il papa a Betlemme incon­tra Abu Mazen, «il pre­si­dente dell’Autorità pale­sti­nese», una vec­chia volpe. Il papa, altra vec­chia volpe, si abbrac­cia con Peres, una super volpe che ha al suo attivo nume­rosi danni ai ten­ta­tivi di pace dal ‘67, ma da anni gioca fedel­mente il ruolo di pre­mio Nobel per la pace . Risul­tato: il papa annun­cia una pre­ghiera con­giunta in Vati­cano, che forse non farà avan­zare la pace, ma ha un valore intrin­seco, rovina la dige­stione al nostro navi­gato pre­mier Neta­nyahu. Neta­nyahu, comun­que mal impres­sio­nato dalla visita del papa al muro dell’odio tenta di ripri­sti­nare un certo equi­li­brio e porta il papa a toc­care la lapide degli israe­liani uccisi in atti di ter­ro­ri­smo .
Tutti si sor­ri­dono, gli agenti segreti si sen­tono sol­le­vati, il pre­mier un po’ depresso, il nostro vec­chio pre­si­dente eufo­rico, il papa sicu­ra­mente con­for­tato di tro­vare tanti tipi pro­ble­ma­tici in poche ore, si siede nell’aereo, forse senza sapere che tutti potreb­bero arri­var­gli a Roma in una settimana.

Il pre­si­dente Peres pro­verà nuovi stra­ta­gemmi, il pre­si­dente Abbas dirà sod­di­sfatto ai pale­sti­nesi che il «pro­cesso» con­ti­nua, il papa lo acco­glierà con pia­cere, pre­gherà e farà gli auguri di un futuro migliore, l’arena inter­na­zio­nale e i gior­na­li­sti cele­bre­ranno… L’occupazione con­ti­nuerà, il pro­cesso di annes­sione colo­niale dei ter­ri­tori non diminuirà.

manifesto.it

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