camisasca

Un vescovo di Comunione e Liberazione nella terra di Giuseppe Dossetti. Sembrava impossibile e invece, a partire dal 16 dicembre prossimo, nel duomo di Reggio Emilia si insedierà don Massimo Camisasca, sostituendo Adriano Caprioli. E se la scelta si dice spirituale, a preoccupare sono le conseguenze politiche. È la città di uno dei padri democristiani della Costituzione italiana, un tempo capitale della patria rossa dalle vie Stalingrado e piazza Lenin e ora si trova a dover incassare il più inatteso dei colpi, l’arrivo di un vescovo ciellino. Massimo Camisasca, nato nel 1946, una delle colonne portanti di Comunione e Liberazione è conosciuto come lo storiografo ufficiale di don Luigi GiussaniCappellano del Milan di Sacchi e per un certo periodo professore di filosofia all’università cattolica di Milano, il sacerdote va ad occupare l’ambito posto nella diocesi che fu in origine del cardinale Camillo Ruini. Un passato impegnativo che renderà la permanenza reggiana una sfida senza paragoni.

“Un dono per Don Massimo”. Il banner di colore rosso campeggia sul sito internet della Fondazione Missionaria San Carlo, nata dal carisma di Comunione e Liberazione e fondata nel 1985 dallo stesso priore. “Non c’è niente di male, – dice l’economo Don Domenico Mongiello, – è una raccolta fondi che facciamo per i nostri missionari e che servirà a sostenere Don Camisasca. È un modo per permettere ad amici e familiari di dargli una mano”. Le donazioni possono essere fatte direttamente su internet con carta di credito oppure con bonifico bancario. Un aiuto innocente che dovrebbe aiutare il priore nell’insediamento in terra rossa, ma il riferimento ai soldi suona paradossale. Mandato a salvare una situazione economica che si preannuncia disastrata, uno dei problemi più difficili che il neo milanese dovrà affrontare riguarda la situazione finanziaria della curia reggiana. I debiti sarebbero da far risalire al restauro del seminario di Marola e alla gestione del seminario reggiano. In questione anche la ristrutturazione del Duomo, iniiziato dieci anni fa, e che ha messo a dura prova le finanze ecclesiastiche locali.

Il saluto più rumoroso in merito all’arrivo di Camisasca in città è arrivato dal governatore della regione Lombardia, Roberto Formigoni che su Twitter ha scritto: “Buon lavoro vescovo Massimo”. Sono attualmente sette i vescovi di Comunione e Liberazione in Italia, tra i quali compaiono nomi del calibro del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano. E se l’augurio di Formigoni lascia molti interrogativi, non dev’essere stato lo stesso per Massimo Camisasca che con il Celeste ha un rapporto di conoscenza di lunga data. Dirigente dell’unità organizzativa Organizzazione e personale è la carica ricoperta dal nipote Michele in regione Lombardia, una delle pedine fondamentali nella rete di potere firmata Comunione e Liberazione, di cui Formigoni, almeno fino a qualche mese e indagine fa, era il leader politico.

E alle istituzionali formule di accoglienza del sindaco Graziano Delrio, fanno da contraltare i comunicati degli esponenti Pdl in città. Sono l’europarlamentareIva Zanicchi e il consigliere regionale Fabio Filippi ad esultare per l’arrivo di un “vescovo coraggioso”: “Ci auguriamo, – fanno sapere i due, – che la sua parola torni a farsi sentire anche a Reggio Emilia, terra di nebbie e di conformismo. Crediamo che la nomina rappresenti un motivo di gioia e di soddisfazione per quasi tutti i reggiani”. Di Comunione e Liberazione Massimo Camisasca si porta anche lo stemma ufficiale: sono una quercia e una stella, gli elementi che comporranno l’effige per rappresentare la diocesi di Guastalla e Reggio Emilia, rievocando lo stemma della Fraternità San Carlo. “Opus iustitiae pax” invece il motto che significa “la pace frutto della giustizia”, tratto dal libro del profeta Isaia.

Pregate per me, ne avrò molto bisogno”, scrive Don Massimo Camisasca ai suoi fedeli. Due sono i problemi spinosi che dovrà affrontare il sacerdote, oltre la difficile situazione economica della curia: la crisi delle vocazioni in terra reggiana e le correnti interne alla diocesi. La provincia di Reggio Emilia infatti, si trova a dover gestire da anni una difficile coesistenza con il Familiaris Consortio, comunità sacerdotale che non sembra vedere di buon occhio la direzione centrale. Nei mesi scorsi la rottura con il parroco locale costretto al trasferimento e la diocesi preoccupata di trovare una linea d’azione comune per conciliare le diverse posizioni. Nella lotta tra parrocchie e gruppi del Familiaris Consortio, Reggio Emilia ha bisogno di una presa di posizione forte nella speranza che si sappiano conciliare tutte le anime di una diocesi in subbuglio. Tanti gli interventi da affrontare in un ambiente in partenza non troppo favorevole. “Vengo come amico. Vengo per ogni uomo e per ogni donna”, fa sapere Camisasca anche se la paura tra fedeli e parrocchie è che si porti dietro una vera rivoluzione targata Comunione e Liberazione. 

ilfattoquotidiano



Quattro anni e nove mesi «in nome del popolo italiano». Inflitti a monsignor Mauro Inzoli, 66 anni, carismatica figura di Comunione e liberazione a Crema e in Lombardia: ex presidente del Banco Alimentare, rettore del liceo linguistico Shakespare, parroco della chiesa di Santa Trinità, soprannominato «don Mercedes» a causa della passione per le auto di lusso, sostenitore da sempre del “celeste” Formigoni. La condanna risale al 29 giugno scorso per violenze, abusi e molestie sessuali nei confronti di ragazzi fra i 12 e i 16 anni.

Le venti pagine della sentenza, redatta dal gup del Tribunale di Cremona Letizia Platè, ora inchiodano il religioso alle sue responsabilità. Soprattutto perché negli episodi avvenuti fra il 2004 e il 2008 (risarciti con 25 mila euro a testa alle cinque vittime, costituitesi parte civile) Inzoli approfittava «con spregiudicatezza della propria posizione di forza e di prestigio, tradendo la fiducia in lui riposta dai giovani anche nel corso del sacramento della confessione». Un comportamento che durava «fin dalla metà degli anni ’90 con una pluralità indiscriminata di soggetti, all’epoca minorenni»: solo la prescrizione ha impedito che l’intero elenco entrasse nell’inchiesta.

L’esito giudiziario, anche se la difesa ha già richiesto l’appello a Brescia, si deve esclusivamente all’esposto presentato il 28 giugno 2014 da Franco Bordo, deputato di SI-Sel. «Le motivazioni dimostrano una volta per tutte il quadro inquietante non solo per l’inaudita gravità dei fatti, ma soprattutto per l’estensione del fenomeno e il numero delle vittime, comprese le tante che non sono citate nella sentenza», commenta.

E Bordo sottolinea con forza altri due aspetti sintomatici dell’intera vicenda: «Fatti accertati che si sono consumati nello studio parrocchiale, nelle vacanze a Falcade e Rimini, nel liceo privato di cui Inzoli era rettore, nell’albergo di Grosseto e almeno in una delle “case famiglia” per minori in difficoltà che a lui facevano capo. D’altro canto, balza agli occhi il clima di omertà intollerabile che regnava a Crema. Inzoli deteneva una capacità d’influenza e rapporti di potere: nel 2004 la “segnalazione” da parte delle vittime all’allora vescovo Angelo Paravisi, citata anche nella sentenza, non produce alcuna conseguenza…».

Il “caso Inzoli” rappresenta un’indelebile piaga e una vergogna perenne per i ciellini che si dividono fra la fraternità religiosa retta da Julián Carrón, il braccio economico della Compagnia delle Opere, il Meeting di Rimini e la sussidiarietà declinata soprattutto negli Atenei, nella sanità e nei media.

Nelle venti pagine della sentenza, si cita l’ambiente di Gioventù Studentesca e si ricostruisce quanto accadde in altri luoghi-simbolo di CL a Crema. Inzoli era «una specie di idolo meritevole di venerazione» per ragazzini violati con «il battesimo dei testicoli» o, peggio, citando Abramo e Isacco a giustificazione delle violenze sessuali.
Ma incontrovertibile è il decreto della Congregazione per la dottrina della fede, reso pubblico il 26 giugno 2014 dal vescovo Oscar Cantoni in una lettera ai fedeli: «Recepisce quanto Papa Francesco, accogliendo il ricorso di don Mauro, ha stabilito. In considerazione della gravità dei comportamenti e del conseguente scandalo, provocato da abusi su minori, don Inzoli è invitato a una vita di preghiera e di umile riservatezza».

Gli è inoltre «prescritto di sottostare ad alcune restrizioni, la cui inosservanza comporterà la dimissione dallo stato clericale». Ma non basta, perché Inzoli «non potrà dimorare nella Diocesi di Crema, entrarvi e svolgere in essa qualsiasi atto ministeriale» e per di più «dovrà intraprendere, per almeno 5 anni, un’adeguata psicoterapia».

Ma ad agosto Inzoli si presenta, come sempre, al Meeting ciellino di Rimini. E a gennaio 2015 si accomoda al Pirellone di Milano in seconda fila – giusto alle spalle di Maroni, Formigoni, Cattaneo e Cristina Cappellini – al convegno omofobo “griffato Expo” ad applaudire Luigi Amicone, direttore del settimanale ciellino Tempi, e Mario Adinolfi all’epoca pronto a lanciare il quotidiano La Croce.

E una volta aperta l’inchiesta “italiana”, il Vaticano aveva opposto il “sub secreto pontificio” alla richiesta della magistratura di Cremona di ottenere la documentazione sulle violenze sessuali. Non è bastato a evitare la condanna a Inzoli, con la pubblicazione della sentenza che imbarazza non soltanto i ciellini.

il manifesto

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