La celebrazione verso il popolo non richiede giustificazioni, dato che corrisponde a una tradizione fondata

Dove sta Dio nella Messa? 
di Christian Albini | 12 gennaio 2012 – vinonuovo

Qualche punto di riferimento nel dibattito che ogni tanto riaffiora sulla posizione dell’altare e della conseguente celebrazione verso il popolo o spalle al popolo

Di recente, un amico ha partecipato a un convegno per insegnanti di religione. Mi ha raccontato di come uno dei relatori – parroco in una cattedrale – dopo il suo intervento sull’arte sacra, a microfoni spenti, si sia lasciato andare nel sostenere che la Messa dovrebbe essere celebrata tornando a rivolgersi verso Dio. È la questione della posizione dell’altare e della conseguente celebrazione verso il popolo o spalle al popolo. Un tema che ogni tanto ritorna e che sottintende una questione: dove sta Dio nella Messa?
Può sembrare un dettaglio, ma alla radice si tratta di che cosa celebriamo e viviamo nella liturgia. La posizione degli altari è cambiata da alcuni decenni e vale la pena di richiamare alcuni passaggi e motivazioni, oggi forse dimenticati.

1. Si sente dire che l’orientamento dell’altare è stato ignorato dal Concilio Vaticano II, ma è inesatto. La costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium menziona la forma e l’edificazione degli altari all’art. 128 del cap. VII – relativo alla revisione della disciplina del complesso dei luoghi sacri – che corrisponde quasi integralmente alla redazione originale predisposta dalla Commissione preparatorio del Concilio, approvata il 17 giugno 1962. A questo articolo era allegata una declaratio illustrativa delle modalità di revisione, in cui era compresa la disposizione per la celebrazione versus populum.
Il 31 ottobre 1963 venne poi presentata all’aula conciliare la dichiarazione sul cap. VII della costituzione che conteneva alle pp. 20-21 la suddetta declaratio e che prevedeva esplicitamente, tra le indicazioni attuative, il distacco dell’altare maggiore dalla parete per la celebrazione versus populum. L’assemblea dei padri conciliari su 1941 votanti si espresse: placet 1838, non placet 9, iuxta modum 94 (questi ultimi tutti sull’art. 130, nessuno sull’art. 128).
La revisione degli altari, quindi, corrisponde a una posizione condivisa dai padri. Al Concilio, infatti, ogni mattina si celebrava la Messa rivolti verso l’aula conciliare; la prima normativa sul riorientamento degli altari è del 1964 (Istruzione «Inter oecumenici» per la retta applicazione della costituzione liturgica), a Concilio ancora in corso, e Paolo VI celebrò così il 7 marzo 1965.

2. Il dibattito è stato rilanciato dal testo Introduzione allo spirito della liturgia. Il libro è firmato da Joseph Ratzinger, in quanto pubblicato nel 2000, cioè ben prima dell’elezione pontificia. Non si tratta, pertanto, di un atto magisteriale, ma di un’espressione della ricerca personale di un eminente teologo che partecipa a un dibattito con altri.
Si possono, allora, citare utilmente testi differenti che presentano ipotesi e dati ulteriori: p.es. Spazio liturgico e orientamento, Qiqajon (Atti del IV convegno liturgico internazionale di Bose, organizzato in collaborazione con la CEI); Rinaldo Falsini, Celebrare e vivere il mistero eucaristico, EDB; Jean-Noël Bezançon, La messa per tutti. La Chiesa vive l’eucaristia, Qiqajon.

3. Infatti, la tesi dell’allora card. Ratzinger, secondo cui sacerdoti e fedeli hanno sempre pregato verso Oriente, in quanto simbolo del Cristo che viene, non tiene conto di elementi storici e teologici segnalati da diversi liturgisti. Il riferimento biblico principale è il Benedictus, che in Lc 1,78 si riferisce alla venuta di Gesù come a un sole (anatolê = un astro che sorge), ma – è specificato – sorge dall’alto (ex ypsous) e non da est.
L’orientamento a est è un simbolismo anteriore al cristianesimo che risale ai culti solari. Non è esclusivamente cristiano e non era neppure una caratteristica universale della liturgia cristiana, come testimonia la disposizione architettonica di chiese di varie epoche, a cominciare dalla basilica di San Pietro che faceva guardare assemblea e celebrante verso ovest!
Inoltre, ci sono molteplici attestazioni antiche della celebrazione di fronte al popolo in Africa, nel cristianesimo ortodosso e a Roma. Solo all’epoca dei papi di Avignone fu introdotta nella liturgia papale la celebrazione rivolti a oriente.
Dal punto di vista teologico, la posizione del celebrante di fronte alla comunità è segno di Cristo che nell’ultima cena innalza il pane e il vino per poi consegnarli a coloro che sono radunati attorno a lui. L’altare è la mensa del Pane, in cui il Signore si rende sacramentalmente presente e attorno al quale sono disposti il celebrante e l’assemblea. A questo riguardo, la disposizione circolare o semicircolare di molte chiese recenti è la più significativa.
Ciò corrisponde agli elementi presenti fin dai primordi nel canone romano, in cui i fedeli erano attorno all’altare e alla fine dell’orazione sulle offerte, nel rispondere al Sursum corda (“In alto i nostri cuori”), si rivolgevano al Signore alzando al cielo le mani e gli occhi. Verso l’alto, come in Lc 1,78, non verso est. Questo dialogo è identico in tutte le famiglie liturgiche, dove è presente da sempre.
Quindi, la simbologia dell’Oriente non è assoluta e vincolante e la celebrazione verso il popolo non richiede giustificazioni, dato che corrisponde a una tradizione fondata e all’intenzione del Concilio di favorire la partecipazione di tutti i fedeli alla liturgia (Sacrosanctum concilium, 48) in cui il sacramento celebrato è al centro. Dio, infatti, nella Messa non sta in una direzione geografica, ma nella Parola e nell’Eucaristia.
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