Buddhismo in Italia: per il 36% dei praticanti è una filosofia di vita, per il 18% una religione

Buddhismo in Italia: per il 36% dei praticanti è una filosofia di vita, per il 18% una religione

adista.it

ROMA-ADISTA. Tracciare i molteplici volti del Buddhismo in Italia restituendo un’immagine a tutto tondo non solo della sua identità, ma anche delle percezioni e delle rappresentazioni che gli italiani che non si identificano con questa religione hanno. Sono questi gli obiettivi che hanno guidato il primo studio a livello italiano ed europeo dal titolo “Il Buddhismo in Italia – Una ricerca sull’Unione Buddhista Italiana”, promossa dall’Unione Buddhista Italiana (Ubi) e realizzata in collaborazione con un gruppo di ricercatori delle Università di Padova e Torino e presentata oggi alla Sala degli Atti Parlamentari Biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini”.

Secondo l’ultimo rapporto realizzato da Cesnur (2022) i praticanti di tradizione buddhista in Italia sono 342mila, pari allo 0,6% della popolazione residente. Ma chi sono i buddhisti in Italia e cosa li ha spinti a diventare praticanti? Dall’indagine condotta su oltre 500 frequentanti dei centri dell’Unione Buddhista Italiana emerge come ad essere preponderante sia la componente femminile (58%), e una presenza abbastanza consistente di over 60 (33%) rispetto a quella degli under 35 (26%). Dal punto di vista sociodemografico è possibile delineare un identikit del buddhista medio: donna di mezza età, con un profilo socioeconomico e culturale mediamente alto. La ricerca ha cercato di comprendere a quali categorie viene principalmente associato il Buddhismo. Il 36,3% degli intervistati lo considera una filosofia di vita, il 18,7% una religione, il 13,5% lo associa all’amore universale e alla compassione, e il 13,1% ad una scienza della mente. Da queste risposte è evidente il fatto che non tutti concordano nel definire il Buddhismo propriamente una religione: molti – e questa opinione è diffusa anche tra i non praticanti – lo associano a una filosofia di vita, a un insieme di pratiche meditative, all’amore e alla compassione. Per la maggior parte degli intervistati la conoscenza del Buddhismo è avvenuta in modo autonomo tramite le reti familiari (6,6%), il partner (4,3%) o gli amici (13,9%). L’adesione al buddhismo è dettata principalmente da necessità individuali, spirituali e personali. Tra i principali motivi che hanno determinato l’avvicinamento alla pratica buddhista vi sono i benefici spirituali che questa potrebbe portare, la visione del Buddhismo come una via di salvezza alla sofferenza, la ricerca di risposte alle proprie domande e la convinzione che la morale buddhista possa davvero aiutare l’umanità a progredire. È interessante notare come il Buddhismo sia capace di evidenziare alcuni dei nodi rilevanti del cambiamento sociale e culturale che caratterizza le società contemporanee in Occidente. L’attenzione all’ambiente, la difesa dei diritti umani e una particolare sensibilità per le questioni di genere e le disuguaglianze sono alcuni degli elementi che conferiscono al Buddhismo una connotazione attraente per i non praticanti. Il Buddhismo impegnato sembra essere uno degli asset più importanti del capitale simbolico del Buddhismo in Italia. Considerando ad esempio il tema della parità di genere gli intervistati mostrano un elevato grado di accordo (6.83/7) rispetto alla leadership religiosa femminile. Nella realtà dei fatti all’interno dei centri aderenti all’Ubi ci sono 17 responsabili su 57 di genere femminile (pari al 30% del totale). Questo risultato si discosta in positivo dai dati che riguardano la maggioranza di altre organizzazioni laiche o religiose. Perché si diventa buddhisti in Italia? Sicuramente la ricerca spirituale e le sofferenze esistenziali giocano un ruolo preponderante nel far avvicinare le persone al Buddhismo. Tra le interviste raccolte emerge da parte delle persone un’insoddisfazione nei confronti dei valori dominanti della società accanto a una domanda di senso che fatica a trovare risposta. Il Buddhismo viene quindi scelto perché al suo interno si respira una più grande libertà nel ricercare un senso per la propria esistenza, una libertà che non preclude la possibilità di riscoprire le proprie radici cristiane e cattoliche ma in una luce diversa e con una prospettiva più inclusiva. Per il 58% degli intervistati l’apertura al pluralismo e la diversità religiosa sono verità importanti da trovare in tutte le religioni. L’adesione al Buddhismo per 7 intervistati su 10 non va letta in termini di conversione. Per molti, essere buddhista, non significa tagliare di netto con il passato quanto più intraprendere un percorso capace di allargare le proprie prospettive.

La ricerca ha approfondito anche cosa pensano gli italiani del Buddhismo. Ciò che viene in mente ai cittadini quando sentono parlare di Buddhismo sono soprattutto gli stereotipi. Se da una parte il Buddhismo suscita una curiosità dettata dal fascino dell’esotico, spesso le conoscenze sono del tutto approssimative tanto da arrivare a confondere il Buddhismo con l’induismo. A costruire l’immaginario collettivo, oltre alle figure di leader religiosi come il Dalai Lama, sono anche i film, la letteratura e la musica. A tutti sarà capitato di leggere Siddharta o di vedere al cinema sette anni in Tibet. Si tratta di suggestioni che consentono ai non praticanti di farsi un’idea di massima su questa religione. Tra le persone il Buddhismo è percepito come pacifico, non autoritario e poco interessato a fare proselitismo ed è guardato in modo favorevole perché portatore di valori che non mettono al centro la frenesia dell’efficienza, ma al contrario rispettano i ritmi della natura e i bisogni profondi degli individui.

«Attraverso questa ricerca abbiamo voluto aprire un nuovo capitolo negli studi sul Buddhismo in Italia offrendo una prospettiva di riflessione nuova su quanto sta accadendo non solo nel Buddhismo, ma anche nella società italiana – sottolinea Filippo Scianna, presidente dell’Unione Buddhista Italiana. L’originalità di questo lavoro sta nell’aver combinato aspetti qualitativi e quantitativi e allargato l’orizzonte d’indagine anche ai non praticanti buddhisti. Grazie a questo ampio sguardo è possibile comprendere la straordinaria capacità del Buddhismo di interpretare le istanze più diverse della nostra società offrendo risposte flessibili o comunque non dogmatiche alle sfide della contemporaneità».

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