Al convegno parteciparono anche  “due cardinali: Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, che ha svolto il 4 febbraio l’intervento di apertura, e Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, che conclude l’incontro. Abbiamo chiesto a mons. Tony Anatrella di inquadrare la questione.

In che senso il celibato è un cammino di libertà e non la privazione di qualcosa?
Il celibato sacerdotale è un carisma, il segno concreto e visibile del dono totale di sé a Dio per il servizio della sua Chiesa.

Non si tratta di una privazione o di un divieto che graverebbe sul matrimonio dei preti, ma di una significativa scelta di vita, di un modo per esprimere anche attraverso il proprio corpo la totale appartenenza a Dio,

enunciata proprio dalle parole di Gesù in Mt19,12: “.. e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli”. Per questo è inscritto nel Dna della vocazione sacerdotale, è del tutto praticabile e viene vissuto con serenità dalla maggioranza dei sacerdoti, fedeli alla parola data alla loro ordinazione.

Chi ne vorrebbe l’abolizione, sostiene però che il celibato impedirebbe alla persona di esprimersi sessualmente e sarebbe così fonte di squilibrio, frustrazioni e nevrosi…
No, il celibato non è, di per sé, causa di alcuno squilibrio. Quando queste condizioni si manifestano, si tratta di stati preesistenti all’ordinazione sacerdotale. Per questo ritengo che non dovrebbero essere ammesse al sacerdozio personalità immature dal punto di vista affettivo-sessuale-relazionale. Uno degli aspetti problematici della formazione dei futuri sacerdoti è costituito proprio da questa dimensione della personalità.

Secondo alcuni, le solitudini affettive causate dal celibato spingono dei preti ad avviare relazioni amorose etero/omosessuali, o a sposarsi, o ad abusare di minori, o a cercare sollievo nell’alcol…

La paura della solitudine è indicativa della paura di sé e del vivere con se stessi. Anch’essa non dipende dalla scelta celibataria ma dalla capacità o meno dell’individuo di vivere se stesso.

L’affettività e la sessualità del sacerdote rimangono, ma proprio la maturazione affettivo-sessuale – che è la traduzione della messa in atto di una pluralità di strutture nel funzionamento psichico della personalità – gli consente di assumerle nella coerenza del suo stato di vita.

E poi, nessun abuso su minori è collegabile al celibato. Qui entrano in gioco personalità dipendenti da sessualità infantile, turbe nevrotiche, perversioni.

Eppure a volte si incontrano sacerdoti tristi, stanchi, non sereni…
Sui preti pesa spesso una mole di superlavoro o la mancanza di mezzi per svolgere gli incarichi pastorali, a volte l’ostilità dell’ambiente. Anche il carico di problemi, inquietudini e angosce che le persone affidano loro.

Pensa che l’abolizione del celibato frenerebbe, almeno in parte, il calo delle vocazioni?
Ritenere che la semplice abolizione del celibato possa costituire una risposta all’attuale crisi di vocazioni e all’abbandono del ministero sacerdotale da parte di alcuni è pura illusione.

Come dovrebbe vivere un sacerdote?
E’ bene che non sia lasciato solo ma possa vivere in un legame fraterno con altri e, se possibile, in una comunità sacerdotale. Momenti di preghiera, condivisione, attività apostoliche e di formazione permanente sono anche occasioni per arricchire e approfondire le relazioni reciproche.

Dove inizia l’ “equilibrio di vita” di un prete?
L’equilibrio di vita (anche affettiva) di un prete e

la preparazione al celibato comincia dalla formazione in seminario e dall’esempio/guida di formatori e sacerdoti che lo accompagnano.

In certi casi può essere utile un accompagnamento psicologico o un discorso di prevenzione in presenza di personalità immature, instabili. Importante è anche la selezione, ossia la verifica se il candidato al sacerdozio possieda le attitudini richieste”.