Non si può pretendere di procedere con stanchezza e inerzia con il modello attuale: è necessario ripensare il rapporto essenziale che definisce la parrocchia e riammettere i preti sposati

di: Rolando Covi in settimananews.it

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Tra questi due movimenti è racchiusa la lettera pastorale «Quello che conta davvero» di mons. Roberto Repole, per l’anno pastorale 2023-24. Il sottotitolo dice l’importanza della questione: «sul futuro delle Chiese di Torino e di Susa». Dunque, in gioco è l’essenziale della Chiesa diocesana per i prossimi anni.

Discernimento
L’introduzione mette a fuoco l’obiettivo: «essere una Chiesa fatta di comunità vive, nelle quali non solo si parla, ma si sperimenta davvero il Regno di Dio». Per questo è necessario abilitare le comunità ad un reale discernimento (proseguendo, così, nel concreto il cammino sinodale, giunto ormai al terzo anno).

Discernere si traduce in “riconoscere”: non si tratta di “portare” qualcosa a qualcuno, ma di vedere la presenza di Cristo, per lasciarsi accompagnare da lui. «Dove ci sta conducendo Cristo?»: ecco la domanda che rende cristiani.

Il discernimento ha una conseguenza pratica: non si può pretendere di procedere con stanchezza e inerzia con il modello attuale: è necessario ripensare il rapporto essenziale che definisce la parrocchia, quello tra comunità e territorio, pena il perdere la capacità di essere significativi (le parole di Repole richiamano quanto scriveva nella lettera di presentazione del sinodo diocesano del 1995 il card. Martini, quando invitava le comunità cristiane a non rifiutare lo statuto di minoranza, purché sia una minoranza significativa, capace di dare un senso nuovo al contesto in cui è inserita).

Il ruolo del vescovo è quello di aiutare a individuare i criteri per un discernimento ecclesiale: mons. Repole, però, si smarca subito dalla pretesa di addossare ad una sola persona il compito di dare indicazioni assolute; in questo senso, chiarisce il ruolo di presidenza del vescovo diocesano. L’unico centro infatti è Cristo, ed è a partire dallo sguardo su di lui che si può dare fondamento ad ogni discernimento.

Vengono quindi presentati i «tre criteri per essere Chiesa»: l’ascolto della Parola, che non va ristretto dentro una mera conoscenza intellettuale, ma deve portare a imparare a pregare a partire dalla Scrittura. È una postura molto interessante, che mette in discussione l’attenzione esclusiva ad una certa formazione biblica e apre strade percorribili anche per le comunità più umili.

In seconda battuta, la celebrazione eucaristica, curata nella sua qualità, e presieduta dal presbitero («la sua presidenza è indispensabile perché si possa parlare di comunità cristiana»). È presente un altro segno di chiarimento circa il ruolo del ministero ordinato, in questo caso il presbitero. «Dobbiamo custodire la domenica e la domenica custodirà noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la vita», scrivevano i vescovi italiani nel 2004 (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, n.8).

Infine, la fraternità, come anima e motore della carità. In altre parole, più che di comunità (termine utilizzato in tantissimi ambiti), si parla di comunione, praticata verso i più deboli e fragili.

Che cosa cambia in concreto per le parrocchie? Vengono offerte alcune proposte per mantenere viva la presenza cristiana in un piccolo territorio: la chiesa aperta, la preghiera del mattino e della sera, l’ascolto delle esigenze del luogo attraverso un punto di ascolto, la presenza della formazione catechistica e di un servizio di carità, l’attenzione agli ammalati e agli anziani. Ci sono poi dimensioni che hanno bisogno di spazi più ampi, come l’attenzione ai giovani e un servizio di carità più organizzato; lo stesso vale per lo sguardo ai luoghi di vita e di lavoro. In queste ultime dimensioni, è chiesta la collaborazione tra più parrocchie.

Dove celebrare l’eucaristia?
Circa l’eucaristia – ed è forse il punto di svolta più grande rispetto ad una tradizione che vedeva la presenza eucaristica anche nella parrocchia più piccola – si sceglie di non attivare celebrazioni in assenza di presbitero, ma di convocare i fedeli in alcuni «centri eucaristici», presieduti dal presbitero, dove la celebrazione può crescere di qualità.

Si tratta ora di approfondire come rendere visibile la diversità di comunità piccole nell’unità di un’unica celebrazione, per evitare il rischio di una parrocchia che assorbe tutte le altre. È la sfida che un modo nuovo di fare Chiesa consegna ai cristiani di oggi.

Il cambiamento coinvolge anche la Curia: servizi ormai superati vengono accorpati e ne nascono altri, più utili ai nuovi bisogni; donne e uomini laici prendono il posto dei presbiteri; soprattutto, si ribadisce che gli uffici diocesani sono a servizio del ministero del vescovo e della vita delle parrocchie, non viceversa.

Tutto questo, chiede un investimento formativo: prima di tutto con i ministri ordinati (presbiteri e diaconi), poi con i consacrati e, infine, con tutti i fedeli. Degno di attenzione è un nuovo Istituto per la formazione dei laici, che desidera preparare ministri istituiti, per la durata di cinque anni, a servizio delle parrocchie.

A quelli di lettore, accolito e catechista, già indicati dai documenti pontifici, si aggiungono quello di animatore della carità e di coordinatore di comunità. «Quest’ultimo è un servizio indispensabile laddove ci siano piccole comunità in cui non è possibile la presenza costante del presbitero. Non si tratterà di un servizio svolto da un singolo, ma da un gruppo ministeriale composto da almeno tre persone, in modo che sia evidente che il servizio della presidenza è svolto sempre e solo dal prete».

La lettera è l’esito di un anno di intenso ascolto diocesano, dove ogni comunità e movimento hanno raccolto i «germogli» di vita cristiana presenti. Ed è in questa direzione che si conclude: far nascere segni di carità autentica è lo scopo della Chiesa. Pare di riascoltare le parole dei primi secoli: «Guardate come si amano», come criterio ultimo per il ripensamento della presenza ecclesiale sul territorio; in fondo, non ci sono altre scorciatoie per annunciare con credibilità il Vangelo.

Una lettera, dunque, che apre un intenso anno di lavoro pastorale.

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