Mea Maxima Culpa, in un film gli orrori dei preti pedofili

Il documentario del regista statunitense Alex Gibney, disponibile in streaming per gli abbonati E+, descrive con crudezza gli abusi durati oltre vent’anni di don Lawrence Murphy in un collegio per minorenni sordi. Un crimine avvolto dal silenzio della Chiesa che ora Bergoglio vuole finalmente spezzare

di Paolo Rodari

Mea Maxima Culpa, in un film gli orrori dei preti pedofili

Nel 2012, quando uscì nelle sale, fece discutere parecchio fuori e anche dentro la Chiesa: «Mea Maxima Culpa – Silenzio nella casa di Dio», il film del regista statunitense Alex Gibney dedicato ai preti pedofili e ai loro crimini. Fece discutere soprattutto per il caso che fa da base a tutta la narrazione, la vicenda di don Lawrence Murphy (1925-1998), accusato di abusi particolarmente disgustosi, durati per vent’anni, in un collegio per minorenni sordi, la St. John School a Saint Francis, nel Wisconsin. Un caso doloroso, che mostra come per anni, fino all’arrivo di Benedetto XVI al soglio di Pietro, ci sono stati centinaia di sacerdoti che hanno abusato di minori e lo hanno fatto troppo spesso grazie a vescovi impreparati, che al posto di intervenire li spostavano di diocesi in diocesi. I loro crimini sono stati una gravissima vergogna, uno scandalo, un’offesa inaudita, tanto che prima di Francesco, già Benedetto XVI chiese più volte perdono.

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Il documentarista Alex Gibney racconta la vicenda del pedofilo americano padre Lawrence Murphy, per poi spostarsi in Europa, dove svela casi simili avvenuti in Irlanda e Italia

Joseph Ratzinger nel 2005, durante la via crucis al Colosseo poche settimane prima la morte di Giovanni Paolo II e il seguente conclave, fece capire che se fosse stato eletto al soglio di Pietro la lotta alla pedofilia sarebbe stata al centro del suo pontificato: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa», disse. E mantenne le promesse. Fu lui a denunciare le omissioni e ad aprire la strada che ha portato a far sì che la Santa Sede abbia più potere rispetto a prima.

Può sembrare strano, ma fino a pochi anni fa tutto dipendeva dal vescovo locale che, se voleva, poteva di fatto insabbiare.
Molto è cambiato con Francesco. A lui si deve soprattutto il coraggio di usare parole, sulla pedofilia, che nessuno aveva mai usato. Le ultime due settimane fa, in una delle sue omelie più gravi: «I capi della Chiesa non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso presentate da familiari e da coloro che sono stati vittime di abuso». Gli abusi del clero sui bimbi, e in particolare i suicidi di chi non ha retto alla pena, «pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza, e su quella di tutta la Chiesa». Per questo, «chiedo perdono anche per i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa». Parole gravi, come quelle pronunciate poco dopo: gli abusi dei preti sono «atti esecrabili che hanno lasciato cicatrici per tutta la vita».

Francesco per primo ha invitato le vittime di abusi sessuali in casa sua: per la prima volta sei vittime di abusi sessuali commessi da preti (tre uomini e tre donne provenienti da Germania, Irlanda e Regno Unito) hanno partecipato – è accaduto due settimane fa – a una sua messa a Santa Marta e si sono poi fermati a dialogare per tre ore con lui.

Anche Benedetto XVI incontrò alcune vittime durante i viaggi apostolici negli Stati Uniti, in Australia, Malta, Regno Unito e Germania. Dopo anni di silenzio il suo gesto ruppe una inconcepibile ipocrisia. Bergoglio, tuttavia, ha fatto qualcosa di più: ha fatto entrare le vittime lì dove, fino a qualche anno fa, i loro nomi creavano soltanto imbarazzo e irritazione.
Già di ritorno dal viaggio in Terra Santa Francesco aveva detto ai giornalisti che il crimine di pedofilia è paragonabile a una «messa nera». E di culto sacrilego ha parlato ancora successivamente: «Da tempo sento nel cuore un profondo dolore, una sofferenza, tanto tempo nascosto, dissimulato in una complicità che non trova spiegazione». Per il Papa sono atti «più che deprecabili. È come un culto sacrilego perché questi bambini e bambine erano stati affidati al carisma sacerdotale per condurli a Dio ed essi li hanno sacrificati all’idolo della loro concupiscenza».

È forse questa la riforma più importante che Bergoglio sta portando nella Chiesa. Non soltanto quella della curia romana ma anche, e soprattutto, quella del clero. Ratzinger aprì la via di questa grave riforma. Ma c’è voluto l’arrivo di un religioso al timone della Chiesa per dare un esempio che oggi preti e vescovi non possono più non seguire. Un religioso come religioso è il cardinale Sean O’Malley arcivescovo di Boston. Fu lui fra i primi a rompere, dopo l’era del cardinale Bernard Law, il tabù di una diocesi macchiata da crimini orrendi commessi dai suoi preti. Di lì il vento nuovo iniziò a entrare nella Chiesa. Non a caso è al cappuccino O’Malley che il gesuita Francesco ha affidato la Commissione pontificia per la Tutela dei Minori da lui creata lo scorso dicembre. Una Commissione che ha aperto le porte anche alle vittime. Fra queste l’irlandese Marie Colllins che lo scorso marzo disse a Repubblica: «Non è scontato che la Chiesa chieda a una vittima della pedofilia dei preti aiuto per migliorare la protezione dei minori. Tuttavia ritengo che questo sia un passo decisivo. Non si può cambiare se la voce di chi ha subìto abusi non è ascoltata».

«Mea maxima culpa» ha il pregio di parlare di un tema che per essere risolto deve essere conosciuto. Forse anni fa un film siffatto avrebbe spaventato il Vaticano. Oggi, a parte qualche imprecisione nella narrazione che a volte infastidisce il pubblico meno ingenuo, serve a non dimenticare che la pedofilia è un crimine che nessuno può permettersi di occultare.

espresso.repubblica.it

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